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ElenA RIGAMONTI: IL FASCINO DI AGOSTINO NELLA SCRITTURA CONTEMPORANEA

Bucefalo in una scena della rappresentazione Scintilla d'Africa presso il parco storico-archeologico

Bucefalo in una scena della rappresentazione "Scintilla d'Africa"

 

 

 

IL FASCINO DI AGOSTINO NELLA SCRITTURA CONTEMPORANEA: TITOLI E TEMI DEL NOVECENTO

di Rigamonti Elena

 

 

 

2 settembre 2009

 

Perché questo titolo stasera?

Tenuto conto che quasi ogni giorno, nel mondo, viene pubblicato un libro su Agostino, non ci sono dubbi sul fascino che egli emana ancora oggi. D'altronde Sant'Agostino è giustamente considerato, rispetto ad altri santi, più per quello che ha scritto che non per un'immagine, un'icona. Forse per questa ragione è stato il primo Santo ad avere un proprio sito nel web dove si possono rintracciare tutti i suoi scritti e tanti scritti su di lui, senza contare che Le Confessioni possono essere considerate uno dei best-sellers della letteratura mondiale. Perché piace il nostro Agostino? E dico nostro proprio in questa sede, in questa settimana, in questo luogo, Cassiciacum.

E, soprattutto, perché piace agli scrittori, agli scrittori di tutti i tempi, e ancor più agli scrittori del Novecento?

Non so se capita anche a voi, di imbattervi ovunque in citazioni, in brani, in storie, in saggi che rimandano alla scrittura di Agostino. E' il mistero del suo fascino, il fascino di un uomo che ha affrontato il proprio destino, è sceso in se stesso trovando il modo di risalire e scrivendone il percorso. Proprio la novità dell'autobiografia sta qui: la novità di scrivere un'opera di teologia raccontando se stessi. E forse è proprio questo percorso che affascina: riconoscere in sé il bene e il male, le paure e le angosce, il dubbio e la ricerca, il senso della caduta e del fallimento, il fiuto per la felicità, la cifra della grazia, della saggezza e dell'amore.

Non è forse lo stesso percorso che cercano di fare gli uomini di questo tempo? Al percorso si aggiunga il desiderio di spiegarne le ragioni, di darne testimonianza, di lasciarne una traccia. Sono i percorsi psicoanalitici (Freud, Jung, Lacan, Steiner, propri del '900), maieutici, morali, sentimentali che accomunano ogni percorso intellettuale e umano: Agostino affronta il dentro dell'uomo con tutte le sue miserie e le sue bellezze, ci viaggia attraverso e ricolloca ogni intuizione, ogni deduzione, ogni riflessione su un nuovo piano.

Dice Lucien Jerphagnon dei suoi studenti allorché propose loro un seminario su Agostino, che "salvo qualche sporadico caso di grave allergia ideologica" essi "accantonavano ogni orientamento e manifestavano curiosità". "Non che si fossero minimamente convertiti "ma era come se avessero tratto un'altra dimensione dell'esistenza o come se l'avessero sperimentata con un altro modo di esprimerla". 1600 anni dopo Agostino, Agostino fa brillare una luce sempre nuova, uno stupore, una passione da innamorato (datemi un innamorato e saprà di cosa parlo). E non solo per il gusto di far brillare una luce, bensì per l'auspicio che la luce possa illuminare altri oltre se stessi. Questo è invece il limite degli scrittori e intellettuali contemporanei: essi scavano sì dentro se stessi, non sempre riescono a cavarci qualcosa e per la maggior parte di loro non vì è interesse a migliorare quella degli altri.

La riuscita di Agostino, invece, è di raggiungere con successo i suoi interlocutori: colto con i colti, popolare nelle lettere e nelle omelie. L'inquietudine della creatura è inquietudine esistenziale ed è tale però perché una forza trascendentale la muove, l'attraversa, la spinge a stancarsi di tutto, a non trovare requie in nulla perché solo Dio è la vera Requie dell'uomo cioè il vero riposo proprio come recita la celeberrima frase di Agostino: Et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te! I latinisti esperti concorderanno nel dire che la frase in latino è più densa della traduzione in italiano: Ed inquieto è il nostro cuore fino a quando non trova requie in Te! Gérard Dépardieu, recentemente innamoratosi di Agostino, ha detto: "Questa prosa risuona in me, e solo dopo riesco a comprenderla. E' necessario fare l'abitudine alla sua eco. Le domande che pone costituiscono il nostro quotidiano. E' questione di saper ascoltare, quella capacità di ascolto che oggi ci manca."

Le pagine di Agostino hanno forgiato la cultura occidentale, soprattutto quella letteraria: da Rousseau che scrive le Confessioni, Baudelaire che è fortemente condizionato dalla tradizione agostiniana del Giansenismo, Petrarca con il Secretum, Anselmo e la tradizione francescana, allo stesso Tommaso d'Aquino (altro padre della Chiesa). Quindi Agostino serpeggia nella letteratura e nella saggistica contemporanea continuamente, sia per confermare le sue tesi sia per contraddirle, ma sempre partendo dalle sue intuizioni, dalle sue proposte, dalle sue passioni. Il filosofo Derrida, scomparso di recente, considera le Confessioni come un'opera chiave della storia della filosofia paragonandolo all'Ecce homo di Nietsche, anticristiano per eccellenza: due autobiografie apparentemente antitetiche ma in qualche modo animate e mosse da una medesima passione, la passione del divino, confessata o respinta. Senza contare che il movimento esistenzialista con Kierkegaard, Sartre, Heidegger, non sostiene altro che la verità non ha senso se non è verità per me, se non è per il singolo. Se non coglie la verità nella sua relazione inseparabile dalla creatura singola e la sua finitudine. Vi propongo ora il mio percorso fra gli innumerevoli temi e sterminati esempi che si possono scegliere della scrittura agostiniana. Anch'io ho seguito le mie passioni, le mie inclinazioni ...

 

1. IL CONCETTO DI AMORE (De Beata vita)

2. LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE (Le confessioni)

3. IL PENSIERO PEDAGOGICO (De Magistro)

4. IL POTERE E LA GRAZIA (De Civitate Dei)

 

 

1. IL CONCETTO DI AMORE

Una grande scrittrice, pensatrice, filosofa e teologa, Hannah Arendt, nel 1929, pubblica a Berlino "IL CONCETTO DI AMORE IN AGOSTINO" come tesi di laurea, nel quale evidenzia, l'influenza della scrittura di Agostino sul mondo intellettuale in 3 punti importanti.

a) la coesistenza dei procedimenti di pensiero più diversi (filosofici, letterari, teologici, pedagogici)

b) il vincolo dogmatico che va aumentando con l'età l'autorità della legge divina indica dall'esterno ciò che la lex interna, cioè la coscienza, sarebbe in grado di prescriverci se non fossimo distratti dalla predisposizione al peccato

c) uno sviluppo biografico accertabile che condiziona il mutamento del pensiero Agostino parla di amore come inclinazione, un pendere verso l'altro, il prossimo, secondo il comandamento cristiano "Ama il prossimo tuo come te stesso" e hai questa possibilità solo se sei mosso da Dio e dal suo comandamento.

Le Confessioni anticipano tutte le opere della tradizione paolina (che ricordiamo volentieri nell'anno paolino appena concluso), d'altronde possiamo considerare Agostino come un vero discepolo di Paolo. L'amore per l'altro parte dal presupposto che l'uomo conosca il bene e il male del mondo e desideri vivere nel bene. Quindi il primo step è conoscere se stessi, percorso non facile, trovare la forza di ricercare il bene, poi di mantenere lo status di tale bene (beatitudine). Nel De Beata vita, infatti, Agostino dimostra come tutti gli uomini siano inclini a vivere felici, ma che ogni singolo individuo intende per propria felicità cose diverse.

Questo non si sa se sia una cosa buona, ma veicola il principio che tutti gli uomini vogliono essere felici. La beata vita è la vera vita come diversamente intesa da ciascuno. La vita felice è la vita che va mantenuta e che non può essere persa. Al contrario, come si intende nella società, al tempo di Agostino e a quello della Arendt e al nostro, la vita terrestre è una mors vitalis o una vita mortalis, una vita pervasa dal senso di morte (nascosto sotto il frastuono del consumismo).

Dunque eravamo alla conoscenza del sè, al ri-conoscere il bene e il male e alla tensione verso il bene. Il successivo step è considerare la memoria come qualcosa fuori di noi perché c'era prima di noi: il Creator viene prima del creatum: la creatura non sarebbe nulla senza la sua origine che la costituisce (della serie viene prima l'uovo o la gallina?)

Quanti libri abbiamo incontrato su questo sentirsi nulla. Non riconoscere le proprie origini, non trovare le proprie radici, non provare desideri, non avere memoria (libri sull'assenza del padre, della madre, della casa natia, della terra d'origine, della patria). D'altronde non è proprio Agostino colui che abbandona le incertezze della filosofia a favore della verità rivelata per scoprire le implicazioni filosofiche della sua nuova fede? La seduttività di Agostino per la Arendt è dunque quella che aleggia sulla sua opera non sistematica, sull'impossibilità di imprigionare Agostino in una coerenza che gli fu ignota. In altri suoi articoli la Arendt sostiene che Agostino è l'iniziatore del romanzo psicologico e autobiografico moderno (da Moritz a Goethe, da Svevo a Virginia Woolf.

In questi autori,il concetto di grazia lascia il posto allo sviluppo autonomo del sè: dalla fine del romanticismo, si vive come al tempo di Agostino (che vide la fine del mondo ellenico e inizio del tempo cristiano) un'analoga sequenza nel rapporto col mondo confuso, disperso, smarrito, curioso, privo di vera fede, nel quale la ricerca della felicità - che rimane aspirazione assoluta per il futuro, non ha più come oggetto il divino, ma si ripiega prima sull'amore romantico, poi nella fiducia dei tempi storici e politici, poi nella conquista del mondo/supremazia delle razze, nella follia degli "ismi" (nazismo, fascismo, comunismo, e, soprattutto, oggi, consumismo e qualunquismo). Bisogna anche distinguere i significati del vivere per vocazione o per professione. Nella vocazione si ricerca la felicità; vocazione è sinonimo di eccitamento da ec-citamento, citatorium = chiamata.

Nella professione v'è condanna all'ordine del puro dovere. E' stato il protestantesimo a porre fine alla vocazione non riconoscendo altra società legale, altro tipo di legame fra gli uomini che la famiglia e lo stato. Ma Dio è Dio perché può salvare e se c'è salvezza è perché può esserci sempre la possibilità di sentirsi nuovamente ec-citati, chiamati. Vocazione significa poter cercare la propria soddisfazione, il proprio appagamento. Il problema della società umana è che all'eccitamento iniziale ne deve seguire uno più profondo per compiere appieno e mantenere la propria beatitudine. Dal fascino del cuore inquieto di Agostino si deve passare all'accettazione della grazia, ricchezza senza fine, per un vivere senza possibilità di limite e dove tutto è fatto per amore del destino dell'altro. Il richiamo ad Agostino quale stella fulgida del pensiero è sempre lì nelle opere di tante epoche diverse: William Blake con Libri profetici Tagore con tutti i suoi testi Kahlil Gibran con il Profeta Leon Tolstoj con la Confessione ma anche San Giovanni della Croce con Fiamma d'amore viva Calderon de la Barca con Il veleno e l'antidoto Soren Kierkegaard con Timore e Tremore Ignacio de Loyola e i suoi Esercizi spirituali.

 

 

2. LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE = LA PAROLA VEICOLA EMPATIA

La comunicazione interpersonale domina il pensiero agostiniano proprio in un periodo in cui l'uomo, angosciato dalla minaccia dell'incomunicabilità, si circonda e affonda nei mezzi di comunicazione tecnologica (web-internet-telefonia) che abbattono le distanze spazio-temporali ma che spesso non incidono sulla solitudine e sulla trasmissione vera di emozioni e sentimenti. In Agostino, invece, l'essere e l'agire sono alleati per la vera comunicazione. Non vi è affermazione di Agostino sulla comunicazione che non si trovi ripresa nella psicologia o nella filosofia o nella sociologia o nella teologia d'oggi. Quindi non è difficile dimostrare l'attualità del suo pensiero in merito. La cifra della sua conversione non deve essere intesa come qualcosa di compiuto per sempre; l'uomo Agostino non viene creato tutto fatto, ma come un programma che si deve compiere e realizzare.

Ciò significa che egli è libero e ha la sua storia. Con la sua volontà libera può volgersi; solo amando ci si offre e ci si dona. Il linguaggio di questa comunicazione è carico di quell'allusività che fa intendere senza mai rivelarla totalmente, tutte le complessività della persona. L'uomo moderno cerca la propria autonomia e indipendenza da solo, rinuncia al bene, a farsi buono, ad inclinarsi verso l'altro. In Agostino, nella comunicazione, l'autonomia del sé e la dipendenza dall'altro sono compresenti: a volte predomina l'uno o l'altra. Nella scrittura contemporanea invece si è come esasperata la quota dell'autonomia a discapito della dipendenza. L'appartenenza (miglior concetto di dipendenza) è essenziale in Agostino. Ogni uomo, per lui, appartiene all'una o all'altra città (città terrena e città divina). L'uomo moderno dice "Io non appartengo a nessuno, solo a me". Non è vero. In ogni caso tu appartieni. Lo sostiene Giacomo Contri, psicoanalista, allievo di Lacan. Agostino non ti dà una terza possibilità; oltre l'alternativa a=b, oppure b=a: tertium non datur (o con lui o contro di lui).

La negazione ad "appartenere" genera l'io scomposto, il rifiuto a desiderare e da ciò l'infelicità, il disastro personale e collettivo. Meglio soli e infelici o felici con? Porsi fuori dalla felicità è come rinunciare a vivere, a essere uomini. Mi piace leggervi qui un brano, sempre dalle Confessioni, per dare un esempio di quanto sia efficace la comunicazione scritta di Agostino che parla di sé ma si accomuna all'esperienza di tutti gli uomini. Si tratta del brano La tristezza calò buia nel cuore (in latino contenebratum est cor meum): dove risalta questo verbo "contenebrarsi" del cuore di Agostino perché il suo amico è morto. E prosegue: "Dovunque guardavo era la morte. Il mio paese divenne un patibolo, un supplizio, la casa paterna mi era penosa e strana: tutto quello che avevo condiviso con lui, senza di lui si convertiva in uno strazio enorme.

I miei occhi lo cercavano invano dappertutto e odiavo tutte le cose perché non le tenevano fra loro e non potevano più dirmi -Eccolo viene!-, come quando era in vita e mi mancava. Ero divenuto un enigma angoscioso a me stesso. Chiedevo a quest'anima perché fosse triste e mi opprimesse tanto e lei non sapeva rispondere e se dicevo Spera in Dio, lei non ubbidiva, giustamente, perché quella persona concreta che le era tanto cara e che aveva perduta, era migliore e più vera del fantasma in cui le si ordinava di sperare.

Non è forse una pagina degna della letteratura contemporanea, molto più forte, direi, di molte pagine della letteratura contemporanea. Solo il pianto mi era gradito e aveva il posto del mio amico nelle gioie dell'animo. E più avanti: "Ero stupito che vivessere ancora gli altri mortali quando era morto lui che avevo amato come fosse immortale, e ancor più ero stupito di vivere io stesso, per un altro lui, quando l'altro era morto". Ci ricordano queste parole l'esclamazione di Re Lear di Shakespeare, un altro grande, anche se non contemporaneo, quando muore Cordelia: "Perché un cane, un cavallo, un topo devono avere respiro e lei no?" Il dolore è così tangibile tra le parole di Agostino al punto che anche noi viviamo empaticamente la perdita del suo amico. E dopo il brano sul dolore, passiamo ad un altro famoso sulla gioia, sull'esperienza dei sensi spirituali dell'interiorità.

Credo che tutti la conosciate: Tardi ti ho amato. - Ecco, eri dentro di me Tu ed io fuori, fuori di me ti cercavo e informe nella mia irruenza mi gettavo su queste belle forme che tu hai dato alle cose. Eri con me, io non ero con te, le cose mi tenevano lontano, le cose che non ci sarebbero se non fossero in Te. Mi hai chiamato e il Tuo grido ha lacerato la mia sordità (udito), hai lanciato segnali di luce e il Tuo splendore ha fugato la mia cecità (vista); ti sei effuso in essenza fragrante, ti ho aspirato e mi manca il respiro se mi manchi(odorato); ho conosciuto il tuo sapore ed ora ho fame e sete (gusto); mi hai sfiorato (tatto) e mi sono incendiato per la Tua pace". L'anno scorso, su questo testo, ha reso una bellissima omelia il celebrante della messa, padre ... E' un testo lirico ma molto complesso che si ispira alla dottrina dei sensi spirituali di Origene, un altro Padre della Chiesa vicino all'esperienza dei mistici che utilizzano le metafore dei 5 sensi.

 

 

3. IL PENSIERO PEDAGOGICO

Nella realizzazione individuale del sé Agostino distingue, all'inizio del processo formativo, il concetto di scienza (istruzione) e sapienza (educazione). La pedagogia agostiniana valorizza, si è già detto, il dentro, la sfera dell'interiorità, dopo la processazione dei sensi (di tradizione aristotelica), esperienza empirica, si passa a quella intellettuale basata sull'esperienza interiore con la guida del Maestro che stimola la ricerca personale e la maturazione dello spirito. Se si conosce solo ciò che si ama, la conoscenza è un atto d'amore tra un soggtto che desidera conoscere e un oggetto che comincia ad esistere ai nostri occhi perché noi lo prendiamo in considerazione. Anche il titolo del meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini di quest'anno si ispira alla pedagogia agostiniana: "LA CONOSCENZA E' SEMPRE UN AVVENIMENTO".

La conoscenza è mossa da una scintilla simile a quella della fase iniziale dell'innamoramento: serve desiderare, porsi in ascolto, inclinarsi, fidarsi, rischiare, stupirsi. Non si desidera quella che già si possiede. Si cerca il nuovo, il diverso, il bello. Si deve motivare a raggiungerlo allettando con dolcezza e strategie di interesse, col gioco, con le domande, suscitando dubbi, indirizzando verso la verità. Le stesse vie scelte e promulgate da pedagoghi moderni come la Montessori e Steiner. Di recente, sul tema del bullismo, ho ripescato un brano delle Confessioni, il famoso furto delle pere, che vi leggerei a riprova della modernità delle parole agostiniane come riportato nella citazione di Patané 1964.

 

IL GUSTO DEL PROIBITO NEI GIOVANI

Quelle pere, "per nulla allettanti, sia per bellezza che per sapore", furono il furto commesso da Agostino sedicenne e dai compagni. "Ne facemmo un enorme bottino, non per mangiarne a sazietà, ma per gettarle ai porci, anche se certamente qualcuna ne mangiammo: ma il nostro unico piacere fu quello di commettere un atto proibito".

Un furto banale e di nessuna conseguenza quale a molti forse sarà capitato di commettere in gioventù e che non parrebbe presupporre malizia. Eppure Agostino vi si sofferma in una disamina psicologica spietata dei motivi che avevano condotto al furto: analisi spietata che noi, sollecitati da avvenimenti di ben più grave portata toccanti la socialità giovanile delle bande di bulli che assillano le nostre città, siamo tentati di rapportare alle nostre attuali preoccupazioni. Il capitolo è in effetti un piccolo trattato di psicologia giovanile e sociale. Anche il male, dice Agostino, ha uno scopo, l'acquisto di un bene o di qualcosa che tale sia ritenuto. Eppure quel furto giovanile non ha scopo, parrebbe proporsi come pura volontà del male, come il male per il male. Quali ne sono i moventi? Che cosa può spingere dei ragazzi abbandonati a se stessi e sazi di giuochi ad intraprendere il male? L'indagine di Agostino insiste su due direzioni, una sociale, l'altra individuale. Il gusto del male nella collettività giovanile si accompagna a quello della lode, della stima dei coetanei.

Nella collettività giovanile il senso di appartenenza al gruppo si fonda sul riconoscimento di una individuale capacità di iniziativa che nella violazione della legge e dell'ordine, manifestandosi come coraggio personale, ha maggiore opportunità di rivelarsi, e, conseguentemente, di esprimere a favore del gruppo una valenza di solidarietà. Il desiderio di farsi riconoscere del gruppo e di esprimere per esso la propria solidarietà è, nelle indicazioni della moderna psicologia, una delle fonti principali degli atteggiamenti giovanili. Già a proposito della depravazione dei sensi aveva scritto Agostino: "Godevo di fare il male non solo per sensualità, ma anche per desiderio di lode. Cosa c'è di più deplorevole del vizio? Io per non essere vituperato diventavo più vizioso. E quando non avevo commesso nulla che mi mettesse alla pari di quegli sciagurati, fingevo di aver commesso quel che non avevo commesso, per non sembrare da meno in quanto ero più innocente e per non essere ritenuto più vile in quanto ero più casto". E a proposito di questo furto aggiunge: "Solo solo non l'avrei fatto - ne ho preciso il ricordo - da solo non l'avrei fatto certamente. Dunque in quell'atto io amai anche la complicità di coloro che con me lo fecero ..." E ancora: "Perché trovavo una soddisfazione nel non agire da solo?

Forse perché difficilmente uno ride da solo? ... Si dice: - Andiamo, facciamolo -, ed uno si vergogna di non essere impudente". La componente psicologica individuale di fronte a cui Agostino assume una posizione moralistica è data dalla rivendicazione giovanile - potenziata nel gruppo - della individuale libertà che si manifesta nel gusto per l'evasione da un mondo di regole di costrizione costruito dagli adulti, nella difficoltà giovanile di riconoscersi in quell'ordine e di trovare il proprio posto nell'organizzazione societaria: "mi compiacqui di agire contro la legge con la forza...Giunsi a tanto da godere ciò che era proibito, non per altro, se non perché era proibito". La puntualità di questa disamina psicologia ci fa considerare quanto sostanzialmente identica sia nel corso dei millenni la psicologia umana e come nelle civiltà evolute ne siano assolutamente identiche le manifestazioni. E, ancora, le pagine dei sogni notturni peccaminosi, in età più adulta.

Si domanda Agostino : "Io dove sono, quando sogno qualcosa che da vigile non voglio minimamente, a cui non voglio dare retta". Non è un caso che gli studiosi di psicoanalisi hanno individuato in queste pagine agostiniane sull'incapacità di controllo della coscienza di una parte che nel sonno emerge, una sorta di anticipazione della nozione di inconscio: ci sono delle forze, delle potenze nella psiche che si sottraggono al controllo della razionalità. Agostino si chiede: "Ma io dove sono, quando sogno questo? Chi è che sogna questo?" Complessità dell'uomo! Grandiosità della confessione del peccato passato, presente e futuro, intrecciata con la grazia divina di Colui che perdona il peccato, il male. Come dice Georges Bernanos nel Diario di un curato di campagna: Tutto è Grazia e muore presso un prete che praticamente ha rinnegato la sua vocazione. Quindi tutto è grazia e lo dice lì, cioè lo dice nel luogo della massima perdita apparente di fede. Tutto è Grazia, quindi, tutto è perdonato e, in qualche modo tutto è di nuovo in gioco.

 

 

4. IL POTERE E LA GRAZIA

Il tema della gestione del potere o, come si direbbe oggi, della politica, è spesso presente nelle opere di Agostino. Le sue analisi e le sue idee sono state spesso spunto di riflessione per politici e studiosi di ogni epoca e, ancora una volta, per quelli dei nostri tempi. In particolare, negli anni settanta, nel pieno delle riflessioni sociali e politiche, Giuseppe Prezzolini, figura tra le più prestigiose della cultura italiana si rese protagonista di molte polemiche sempre attuali come la critica alla società, il ruolo dell'intellettuale nel mondo sociale, l'intromissione ed estromissione dei poteri fra stato e chiesa. Proprio Prezzolini trova nel pessimismo cristiano di Agostino una via di mediazione con il pessimismo naturalistico di Machiavelli riferendosi all' opera politica e sociale di Agostino per eccellenza, il De Civitate Dei, e a Il Principe e i suoi discorsi del Machiavelli. Lo scontro tra successo e virtù, bene comune e risultati, si basano sulla convinzione pessimistica della natura umana. Se fossimo tutti buoni non ci sarebbe bisogno di regole e di Stato: contratti, patti, convenzioni, sono le parole del compromesso. Non sono gli anni in cui tutti abbiamo esperienza di giudici, di maestri, di amministratori, di generali che debbono, se vogliono fare il proprio dovere, agire contro voglia, anzi contro coscienza, nel nome di un'altra coscienza, e possono commettere atti che essi sono i primi a deplorare ma che sono necessari.

Così il comandante di una nave, che non direbbe una bugia a nessuno per scopi personali, ingannerà i passeggeri, se è necessario, per condurre la nave in salvo da una tempesta. Il generale sacrificherà alcuni uomini per salvarne altri più importanti agli scopi della guerra. Tutto è permesso, tutto è lecito in nome dello Stato, in nome della vittoria comune, in nome della politica. Ma non tutto è permesso in nome del cristianesimo e perciò lo stato non può essere cristiano. Gli stati possono vivere soltanto dimenticando la morale cristiana, anche se coloro che la dirigono sono personalmente credenti e cristiani. Esiste dunque l'uomo di Stato cristiano, con la sua coscienza, ma non esiste uno Stato cristiano.

Nel trattare di Stati si deve avere a che fare con i concetti di Giustizia e di Pace. Se pensiamo all'idea di giustizia, ci viene subito alla mente una forza attiva (operativa, dominante), per esempio, quella di un eroe che combatte; quando pensiamo invece all'idea di pace, ci riferiamo a qualcuno che si rassegna a cedere, qualcuno che si abbandona e si ritira. Lo stesso appello di Papa Paolo VI, nel 1967, non richiamava forse il nostro destino di poveri uomini che debbono decidere tra fare la guerra per via della giustizia o lasciare che la giustizia sia violata per amore della pace? Il coltello non è stato ancora trovato, come ci ricorda il buon Manzoni, per tagliare esattamente il giusto dall'ingiusto. Insomma, Agostino, insiste, per esempio, nel dire che la guerra va considerata non dal punto di vista del male che con essa si fa, ma dei beni che se ne possono ottenere. Condurre una guerra agli occhi di uomini malvagi può essere una felicità, ma agli uomini buoni una necessità. Si può dunque, da cristiani, condurre una guerra, ma non goderne. Non c'è consenso alle ingiustizie degli uomini tant'è che Agostino non aspetta il mondo nuovo da loro, bensì dalla grazia di Dio. Si aprirebbero qui pagine e pagine sulla paga dei soldati, sull'obiezione di coscienza, sulla strategia della tensione, sulle lotte della chiesa sudamericana. Le due città di Agostino furono create una terrena, ossia dominata dall'amore di se stessi fino al disprezzo di Dio, e una divina dominata dall'amore di Dio fino al disprezzo di se stessi. Non è mai esistito uno Stato cristiano. Gesù afferma infatti: "Il mio regno non è di questo mondo" e ancora "Date a Cesare quello che è di Cesare".

Qual è il modello di stato etico, di stato cristiano? Forse quello temporale dei Papi? Lo stato dei gesuiti che ci fu in Paraguay? Le colonie puritane del Nord England? Lo stato del re cristianissimo di Francia? Il Welfare state di Roosevelt? Amor di patria, resistenza, Kennedy e Cuba, l'America e il Vietnam, l'Iraq, l'Afghanistan, la Colombia, la Palestina. Per essere uomini della città di Dio non occorre la logica della città terrestre bensì tendere ad una vita altra, dare tesimonianza di una vita differente (grazie alla fede) da quella di altri uomini... "Da questo capiranno che siete miei fratelli" Farsi uomini nuovi, farsi buoni per rinnovamento intimo, per conversione; è la cosa più difficile del mondo, ma risponde alla propria inquietudine, di chi non sa perché è venuto al mondo, di chi si sente separato dal Tutto e porta con sé il tormento di questa divisione. Come S. Francesco che si rivoltò contro se stesso (ripudiando ricchezze e potere) per acquistare la libertà interiore. La città di Dio dunque è sociale anche se non esiste un cristianesimo sociale. La città di Dio esiste in quanto dato constatabile. "Dio non è un pozzo di petrolio morale e la Chiesa una compagnia petrolifera che lo sfrutta". L'uomo ha bisogno di città, anzi si può dire che la vita esiste come città, come società. L'asserzione grave è il supporre che non esiste l'altra città. Le città non si dividono in città dei puri e degli impuri; anzi nella città di Dio ci sono i peccatori. La città del mondo è empia perché fa della morale la propria bandiera con orgoglio e superbia. E' la lotta contro Pelagio. E' una lotta che anima Agostino e lo fa scagliare contro con tutte le sue forze.

Fare polis significa misurarsi con l'intreccio di bene e male, attraversarlo, farsi contaminare, e ciò nonostante discernere l'uno dall'altro e trovare la strada. Il vero male non è il contrario del bene ma il suo scimmiottamento. Le pagine di Calvino, Lutero, Hobbes, Kant, Hegel, Niebuhr, von Balthasar, Socci, Baget Bozzo, Simen Weil, sono piene di riferimenti a questi temi, senza contare don Luigi Giussani che fin dal 1982 ben esprime in questa frase la situazione della città cristiana dei nostri tempi.... "Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza ovunque. Ma quando il cristianesimo è annunciare nella realtà quotidiana, sociale, storica, la presenza permanente di Dio diventato uno tra noi - Gesù Cristo presente nella sua Chiesa - oggetto di esperienza come la presenza di un amico, di un padre, di una madre, orizzonte totale che plasma la vita, ultimo amore, centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la realtà tutta, senso e scaturigine di ogni azione, allora esso non ha patria".

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1. James J. O'Donnell SANT'AGOSTINO. STORIA DI UN UOMO Mondadori, 2007 collana "Le Scie"

2. Lucien Jerphagnon SANT'AGOSTINO E LA SAGGEZZA Lindau srl, 2008 collana "I Pellicani"

3. Giacomo Tantardini IL CUORE E LA GRAZIA IN SANT'AGOSTINO Città Nuova-Nuova Biblioteca Ambrosiana, 2006

4. Hannah Arendt IL CONCETTO D'AMORE IN AGOSTINO SE, 2001 (1929 in Berlin - tesi laurea) collana "Conoscenza religiosa"

5. Giuseppe Beschin S. AGOSTINO. IL SIGNIFICATO DELL'AMORE Città nuova, 1983

6. Henri Marrou S. AGOSTINO E LA FINE DELLA CULTURA ANTICA Jaca Book, 1986 (già in Paris 1938-49-71)

7. I Libri di 30giorni IL POTERE E LA GRAZIA ATTUALITA' DI SANT'AGOSTINO Omicron, 1998

8. Giuseppe Prezzolini CRISTO E/O MACHIAVELLI Rusconi, 1971

9. Salvatore Fermiano RIFLESSIONI CRITICHE SULLA CONVERSIONE DI S. AGOSTINO Edizioni Il Tripode, 1970

10. Leonardo R. Patané IL PENSIERO PEDAGOGICO DI S. AGOSTINO Editrice Patron, 1967

11. Luigi Alici IL LINGUAGGIO COME SEGNO E COME TESTIMONIANZA. UNA RILETTURA DI AGOSTINO Edizioni Studium, 1976

12. Massimo Onofri CHE COSA VUOL DIRE PARLARE?: IL MAESTRO SANT'AGOSTINO Theoria, 1985

13. Marco Vannnini INVITO AL PENSIERO DI SANT'AGOSTINO Mursia, 1989

14. Henri Marrou SANT'AGOSTINO Mondadori, 1960

15. Carlo Cremona AGOSTINO D'IPPONA: LA RAGIONE E LA FEDE Bompiani, 2004

16. Giuliano Vigini SANT'AGOSTINO:L'AVVENTURA DELLA GRAZIA E DELLA CARITA' San Paolo, 2006

17. Reale Giovanni - Sini Carlo AGOSTINO E LA SCRITTURA DELL'INTERIORITA' San Paolo, 2006

 

Agostino nasce a Tagaste (Souk Ahras) nel 354 e muore a Ippona (Annaba) Algeria nel 430.