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LA FEDE NEGLI OPUSCOLI MORALI-TEOLOGICI DI AGOSTINO

Immagine p. Giancarlo Ceriotti al Parco Rus Cassiciacum fra Massimo Didoni (sinistra) e Mario Colnago

p. Giancarlo Ceriotti al Parco Rus Cassiciacum fra Massimo Didoni (sinistra) e Mario Colnago

 

 

 

LA FEDE NEGLI OPUSCOLI MORALI-TEOLOGICI DI AGOSTINO

"La fede non è un atteggiamento del corpo che si prostra, ma dell'animo che crede ... In realtà noi ignoriamo quando viene a noi con il cuore uno che già vediamo presente con il corpo" (De catechizandis rudibus 5, 9)"

di p. Giancarlo Ceriotti

Cassago Brianza 2 settembre 2013

 

 

 

Premessa

 

Le celebrazioni centenarie del battesimo (387-1987) e dell'elezione presbiterale di Agostino (391-1991), illustrate dalla lettera apostolica Augustinum Hipponensem del Beato Giovanni Paolo II, hanno favorito e incrementato gli studi di spiritualità e di teologia, con particolare riferimento alla Chiesa e ai sacramenti. Non si deve neppure trascurare il contributo del magistero ordinario di Benedetto XVI, appassionato lettore e devoto cultore del pensiero agostiniano proposto con frequenza ed esposto con amore e competenza ai fedeli. Il Battesimo, dono di Dio e porta della fede, scrive Benedetto XVI, "introduce alla vita di comunione con Dio e permette l'ingresso nella sua Chiesa" (Porta fidei 1).

L'aveva ben compreso il catecumeno Agostino che, con una semplice frase, esprime la nuova realtà che l'ha completamente trasformato; "E fummo battezzati e si dileguò da noi l'inquietudine della vita passata" (Conf. IX,6,14). Ne parla ai Manichei, con i quali ha condiviso nove anni di errori: "Nel santo lavacro battesimale inizia la rigenerazione dell'uomo nuovo che progredisce in uno più rapidamente e in un altro più lentamente; molti tuttavia progrediscono nella vita nuova, applicandosi senza ostilità e con amore" (De moribus Eccl. catholicae I,35,80).

Vescovo manifesta e condivide coi fedeli la gioia della salvezza e loda il Signore: "Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio; non solo siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo Stesso. Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di voi? Se Cristo é il capo e noi le membra, l'uomo totale é lui e noi" (Io. ev. tr. 21,8). Ai Donatisti, che l'accusano dei traviamenti ed errori giovanili durante la permanenza cartaginese, non rinnega il deplorevole passato, che giudica più severamente degli stessi Donatisti, ricorda il cambiamento operato dal Battesimo nella Chiesa milanese, nota in tutto il mondo, per mano di Ambrogio, padre nella fede. A Cartagine, con gli amici, siamo vissuti male, é vero: in un modo siamo partiti, ma in un altro siamo tornati: alii ivimus, alii redivimus (en. ps. 36,III,19).

L'adesione a Cristo, prima ancora del Battesimo, é ben evidenziata dalla preghiera iniziale dei Soliloqui: "Ormai te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto" (I,1,5).. Il desiderio torna spesso nella predicazione: "La vita del buon cristiano é tutta un santo desiderio" (Io. ep. tr. 4,6) e una risposta d'amore: "Ti vuole tutto colui che ti ha creato - Totum exigit te , qui fecit te (sermo 34,7). Al termine della vita lo ripete ancora ai Pelagiani: "Viviamo più sicuri, se ci affidiamo totalmente a Dio - Tutiores vivimus, si totum Deo damus (De dono perseverantiae 6,12).

 

 

Luci e ombre [1]

 

In epoca costantiniana la pacificazione e il riconoscimento della Chiesa, aumentano le conversioni di massa, non sempre positivamente motivate. Il livello spirituale si abbassa e si diffondono strane teorie: la grazia battesimale é inammissibile e la ricompensa finale é uguale per tutti, sostiene Gioviniano, confutato da Girolamo (Adversus Iovinianum 1, 1), indipendentemente dall'impegno morale. Un po' d'acqua e un po' di fede non si negano a nessuno: sono sufficienti alla salvezza.

"Si battezzino subito, si dice, poi si insegnerà loro ciò che concerne la condotta e i costumi". La Chiesa si riempie così di usurai, falsari, ubriaconi, adulteri, continua il vescovo Agostino, "e pubbliche prostitute che continuano la loro turpe professione" senza la minima idea di cambiare vita (De fide et operibus 6, 9; 15, 25). In un'omelia afferma: "Ora la Chiesa é piena di buoni e cattivi. Una moltitudine la riempie: é una massa così pesante che rischia di portare al naufragio" (s. 250, 2).

La fede cristiana non é ancora riuscita a scalfire la coscienza di molti. Invece di penetrare nell'intimo é rimasta esteriorizzata alla superficie, a livello di culto e di riti (De vera religione 1, 1), senza divenire esperienza di vita. E' più facile, constata amaramente il vescovo d'Ippona, eliminare gli idoli dai templi che dai cuori (en. ps. 98,8). I frequenti e premurosi richiami pastorali di vescovi santi, che annunziano la parola di Dio, dispensano i sacramenti e proclamano la verità, eliminano errori e abusi, combattono mali e peccati (De agone christiano), elevano il tenore di vita mediante le opere buone (De fide et operibus), scuotono le coscienze e aprono i cuori. In De catechizandis rudibus il vescovo mette in guardia i principianti (rudes) dai nemici che operano all'esterno (errori dottrinali ed eresie) e all'interno (cattivi cristiani) della Chiesa (7, 11; 25, 28).

Non mancano uomini e donne di ogni età e condizione che seguono Cristo, praticando forme di esigente ascetismo, che vanno dalla castità, verginale, matrimoniale, vedovile, al monachesimo (De sancta virginitate, De bono viduitatis, De opere monachorum).

"Allora i giusti riempivano la Chiesa di buon frumento: vendevano i loro beni e dicevano addio al mondo" (Psalmus contra partem Donati 182-183). Una splendida pagina del De vera religione descrive con ammirazione la larga diffusione monastica in terre deserte e lontane: "Nessuno ormai si meraviglia più delle migliaia di giovani e fanciulle che hanno rinunziato al matrimonio per vivere in castità ... moltissimi sono coloro che si mettono su questa strada al punto che la solitudine delle isole e di molte terre un tempo deserte viene riempita da uomini di ogni genere, i quali, abbandonate le ricchezze e gli onori di questo mondo, vogliono dedicare tutta la vita al sommo e unico Dio" (3, 5).

La pagina anticipa la scoperta della castità e prelude alla bellezza e fecondità delle Confessioni (VIII, 19, 27) e richiama la testimonianza luminosa di anime belle e ardenti: "Diffondetevi ovunque, fiamme sante, fiamme belle. Voi siete la luce del mondo e non siete sotto il moggio. Colui, a cui vi applicaste, fu esaltato e vi esaltò. Diffondetevi e manifestatevi a tutte le genti" (XIII, 19, 259). La riflessione agostiniana, riferita agli Apostoli, ha particolare rilevanza per quanti s'impegnano decisamente nella via del bene e progrediscono nel cammino di conversione. Nel Discorso della montagna (394) afferma che, dopo la risurrezione, gli Apostoli hanno vissuto pienamente le beatitudini evangeliche, senza peccati e cedimenti (I, 4, 12): affermazione respinta e rettificata nel 427 , quando terminò il De doctrina chrustiana (Retr. I, 19, 3).

Nella vita di Agostino, particolarmente nel periodo di Tagaste [2], quando desiderava deificari in otio, come rivela a Nebridio (ep. 10,2), ci fu un momento di falsa sicurezza, favorita dalla grazia battesimale che aveva rinnovato totalmente il cristiano, garantendogli santità e grazia. Inoltre la pace del monastero, l'ambiente chiuso e protetto, l‘amicizia condivisa e partecipe favoriscono il cammino e la crescita spirituale. Il ministero sacerdotale, a contatto con la massa di problemi e difficoltà dei peccatori, e la quotidiana richiesta di perdono nella preghiera del Signore ci rendono sempre più consapevoli della condizione di peccatori, bisognosi di perdono e di misericordia. Possidio, al termine della biografia, ricorda infatti le parole di Agostino: Nessuno può uscire da questa vita senza un'opportuna penitenza (31,1-3).

 

 

De fide et symbolo  [3]

 

L'8 ottobre 393 si riunì ad Ippona, sotto la presidenza del primate di Cartagine Aurelio, il primo concilio plenario della Chiesa d'Africa. Ad Agostino, sacerdote da un triennio (391-93), segnalato per cultura, scritti e predicazione, intellettuale di fama, come lo definisce G. Madec [4], fu affidato l'incarico di tenere la prolusione sulla fede e il simbolo degli Apostoli che i partecipanti solevano recitare all'inizio delle riunioni. La scelta di Agostino era una buona occasione per elevare il livello religioso e culturale del clero africano, abbastanza scadente. Che non godesse buona fama risulta dal rapporto epistolare tra il diacono cartaginese Quodvultdeus (epp. 221 e 223) e il vescovo di Ippona (epp. 222 e 224), tra gli anni 427-428. Il diacono avverte Agostino della carenza culturale dei cartaginesi (ep. 221, 2); altrove la situazione, specie in campagna, era certamente più grave. Come conferma Agostino a proposito dell'amico Sansucio, vescovo di Turris, del circondario di Ippona, non particolarmente dotato in campo letterario ma sicuro e retto nella fede (ep. 34, 6). 

Il discorso fu talmente apprezzato da richiedere la pubblicazione. Il De fide é dunque la rielaborazione corretta e ampliata del discorso (Retr. II,17), ed é la sua prima opera sulla fede. Nonostante le affinità, soprattutto nella spiegazione degli articoli del Credo, la prospettiva e lo svolgimento del tema sono diversi. Rivolgendosi a vescovi, che da pastori e uomini di spirito hanno il compito di difendere la fede dagli sbandamenti e deviazioni degli eretici (dogmi trinitari e cristologici, problemi dottrinali ed ecclesiologici, morali e vita cristiana), Agostino applica i risultati della sua formazione filosofica (valore e significato del linguaggio, interiorità, relazione e persona, creazione) e della sua carriera ecclesiastica (Scrittura, storia della Chiesa, impegno morale).

Secondo Madec resterà sempre un artigiano appassionato della pastorale del Simbolo e dei principi esegetici scritturistici [5]. Nella conclusione, dopo la spiegazione dei vari articoli, ammonisce i nuovi cristiani: "Questa é la fede che, con brevi formule, é offerta dal Simbolo ai nuovi cristiani perché la conservino. Queste brevi formule sono presentate ai fedeli affinché, credendo, si sottomettano a Dio, sottomessi a lui vivano rettamente, vivendo rettamente purifichino il loro cuore e, una volta purificato il cuore, comprendano ciò che credono" (10, 25).

 

 

L'intelligenza della fede

 

Le prime citazioni bibliche delineano il rapporto fede e vita, accordano lingua e cuore, sviluppano il tema fede e ragione, su cui molto si è scritto e si continua a scrivere. Punto di partenza è l'affermazione: "Il giusto vivrà di fede" (Ab 2, 4; Gal 3, 11). Precede e anticipa la frase famosa di Isaia (7, 9) nella versione dei 70, che Agostino conosce e cita nella duplice redazione. latina; Nisi credideritis, non intellegetis o non permanebitis: se non crederete, non comprenderete o non sarete stabili.

I due testi sono intercalati dalla citazione paolina: "Con il cuore si crede per ottenere giustizia, con la bocca si fa professione di fede per avere la salvezza" (Rm 10,10). L'Apostolo collega insieme le coppie fede e giustizia, la quale impegna il credente, e fede e salvezza, dono e grazia di Dio. Vanno di pari passo: l'una aspira alla giustizia eterna a cui siamo diretti, l'altra si preoccupa della salvezza del prossimo. Concetto esposto in precedenza all'amico Onorato nella prima opera del periodo sacerdotale (391): "Qualunque sia l'ingegno per cui eccellono, essi strisciano per terra, se Dio non è con loro. Ma Dio è con loro se nel tendere a lui hanno a cuore la società umana: non si può trovare nulla di più sicuro di questo gradino per ascendere al cielo" (De utilitate credendi 10, 24).

Dispensare la parola di Dio è operare la salvezza. Sin dalle prime pagine del discorso, parlando del Verbo (2, 3-3, 4), ne approfitta per valorizzare il significato delle parole, che veicolano la verità e favoriscono la comunione: "A che altro, infatti, aspiriamo se non a trasferire la nostra stessa anima, se fosse possibile, nell'anima di chi ci ascolta perché la conosca e la osservi bene, cioè a fare sì che, pur rimanendo in noi e senza distaccarci , tuttavia forniamo un indizio tale per cui l'altro faccia la nostra conoscenza e, per quanto ci è consentito, dalla nostra anima sia prodotta, per così dire, un'altra anima con la quale si riveli? Lo facciamo a parole, con il suono della voce, l'espressione del volto, i gesti del corpo; sono molti, infatti, gli espedienti, a cui ricorriamo quando desideriamo mostrare ciò che è dentro di noi" (3, 4).

Per non dilungarci, a completamento di quanto scritto in De doctrina christiana, mi servo di alcune riflessioni del Madec nel sermone 43 sulla fede [6]. E' la formula più completa e popolare, piena di luoghi comuni agostiniani, con le note e celebri espressioni: credo ut intellegam et intellego ut credam. La supremazia della fede sulla ragione si rivela soprattutto nella diversità tra la parola umana e la divina: Intellege ut credas verbum meum, crede ut intellegas Verbum Domini (s. 43, 4, 8).

Due passi del commento evangelico a Giovanni, simili per contenuto ed espressione (Intellectus est enim merces fidei e Fides enim meritum est, intellectus praemium), riaffermano l'dea fondamentale: per comprendere bisogna credere. Nel primo caso, con la citazione di Isaia, richiama il primato e l'eccellenza della fede sulla comprensione (Io. ev. tr. 29, 6); nel secondo invita i fedeli progrediti a nutrirsi del cibo solido della parola di Dio. I deboli si nutrano del latte della fede e accolgano senza esitazione la parola che non comprendono ancora. La fede è un merito e l'intelligenza è la ricompensa dello sforzo del nostro intelletto per penetrare la parola di Dio: si purifica, liberandosi dall'inevitabile fatica umana, e si chiarisce nella sua luce. Quando si ama, è un'idea ricorrente nella riflessione agostiniana, si accetta lo sforzo e non si fatica.

Se la cupidigia impone tante fatiche agli avari, la carità dovrebbe forse esserne esentata? (Io. ev. tr. 48, 1). Il tema torna con frequenza sin dalla prima opera alla preghiera conclusiva del De Trinitate, e oltre. Agostino rimane fedele all'autorità di Cristo, di cui nulla è migliore, e non vuole mai staccarsi da lui nella ricerca: "Riguardo poi a ciò che si deve raggiungere col pensiero filosofico, ho fiducia di trovare frattanto nei platonici, temi che non ripugnano alla parola sacra. Tale è infatti la mia disposizione che desidero di apprendere senza indugio le ragioni del vero non solo con la fede ma anche con l'intelligenza" (Contra Acad. III, 20, 43).

"Dirigendo la mia attenzione a questa regola di fede per quanto mi hai dato, per quanto mi hai concesso di potere, ti ho cercato, e ho desiderato di vedere con l'intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato, Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa' sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore" (De Trin. XV, 28, 51). Il discorso di Agostino si apre sul contenuto e sul valore dell'atto di fede: richiede l'accordo e la concordanza tra lingua e cuore, ossia adesione alla verità rivelata e purificazione della fede, che si realizza con le opere di giustizia: compito affidato innanzitutto ai teologi e agli uomini spirituali (De fide 1, 1).

 

 

Opuscoli teologici

 

Tra gli impegni del ministero episcopale ha grande importanza l'attività catechistica di preparazione alla fede e alla iniziazione sacramentale, che Agostino ha impostato secondo le virtù teologali: ciò che dobbiamo credere (Simbolo), sperare (Padre nostro), amare (Decalogo). E' ora, senza tralasciare il ministero della Parola, di richiamare i testi della fede che qui interessano maggiormente. Per quanto possibile, seguiremo le Retractationes, privilegiando però l'ordine logico più del cronologico. Alcuni testi, come Il Combattimento cristiano (De agone christiano ) e La fede e le opere (De fide et operibus), li abbiamo già incontrati, segnalando problemi e perplessità. Il primo, degli inizi dell'episcopato (396-397), e il secondo, durante la polemica pelagiana (412-413), sono recensiti in Retr. (II, 3 e 38). Il primo, scritto in linguaggio semplice per i fratelli di scarsa cultura latina, contiene la regola della fede e la norma del vivere.

La vita è una lotta continua contro numerosi avversari: il diavolo, il male, il peccato. Nella seconda parte è messa in risalto la fede, che professa gli ultimi articoli del Simbolo, con particolare riferimento al giudizio finale di Cristo. L' altro è la risposta al quesito di alcuni fratelli laici, impegnati nello studio della Scrittura, sulla distinzione tra fede e opere buone in vista della salvezza. Agostiniana è certamente La fede nelle cose che non si vedono (De fide rerum quae non videntur, la chiama Agostino), composta intorno al 400. Non è recensita in Retr. perché si tratta probabilmente di un discorso. L'autore della lettera agli Ebrei scrive: "la fede è un modo di possedere già le cose che si sperano, di conoscere già le cose che non si vedono" (11, 1).

Nel seguito dell'epistola Dio loda la fede di uomini esemplari, di cui fornisce un elenco dettagliato (11,2-23). Rispondendo al conte Dario, autore della lettera 230, il vescovo conferma l'autenticità del testo e glielo invia con altre opere: La pazienza, La continenza, l'Enchiridion sulla fede, speranza e carità (ep. 231, 7).

Breve difesa della fede, reagisce alle accuse, di stampo manicheo, di coloro che ritengono il cristianesimo contrario alla ragione, perché richiede fede in cose non viste. La fede in Cristo è confermata dal compimento nella Chiesa delle antiche profezie delle Scritture. La conclusione esorta a crescere in una fede più matura e adulta. Anche se il titolo, L'utilità del credere (De utilitate credendi), è accattivante e non mancano cenni cristiani, riferiti a Cristo e alla Chiesa, alla Scrittura sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, il discorso non è tanto sulla fede quanto sulle motivazioni che rendono possibili le relazioni umane in clima di fiducia e apertura vicendevoli. Prima opera del periodo sacerdotale (391), ne parla diffusamente in Retr. I, 14.

In linea col De agone, anche se il tema affrontato e l'approccio alla Scrittura sono più approfonditi, e non mancano chiarimenti e rettifiche (Retr. I, 19, 1-9), è di non poca utilità il Discorso della montagna (De sermone Domini in monte), ricordato in precedenza riguardo alla impeccabilità e persistenza delle conseguenze del peccato orinale (ignoranza del bene, debolezza morale), rimesso dal battesimo. Coevo al De fide, tratta diffusamente dell'impegno morale e della crescita spirituale, collegando insieme le beatitudini evangeliche e i doni dello Spirito Santo. Di un certo intereresse è il Commento alla lettera di Giacomo alle dodici tribù (Expositio Epistolae Iacobi ad duodecim tribus). L'opera, recensita in Retr. II, 32, è andata perduta.

Sono semplici annotazioni marginali al testo di Giacomo, raccolte in un libro dalla diligenza dei fratelli del monastero episcopale di Ippona. Mi sarebbe piaciuto conoscere il parere di Agostino sulla fede e le opere, confrontato con la questione 76, dal medesimo titolo, del De diversis quaestionibus 83.

G. Madec nell'introduzione alle Retractationes, parla della pastorale del Simbolo, già accennata, e scrive che Agostino se ne serve varie volte come struttura dei principi sintetici della dottrina cristiana [7], fornendo le opportune indicazioni, nel De agone christiano (13,15-33,35), nel primo libro del De doctrina christiana (I,5,5-21,19) e nell'Enchiridion (2, 7; 3, 9; 10, 34-13, 41; 14, 53-15, 56; 17, 64-66; 23, 84; 28, 108). Il passo della Dottrina cristiana è una sintesi della fede, dal mistero trinitario al cristologico del Verbo incarnato, vero Dio e vero uomo, morto e risorto, rivelato da Dio a chi crede. Al Verbo spetta il giudizio finale; la Chiesa è corpo di Cristo e sua sposa.

"Questo contiene la fede e così è da credersi che stiano le cose; né l'anima né il corpo dell'uomo andranno completamente distrutti ma gli empi risorgeranno per subire delle pene inimmaginabili mentre i buoni risorgeranno per la vita eterna " (I, 21, 19). Ultimo e più completo a livello teologico e dottrinale, di cui parla brevemente in Retr. II, 63, è certamente il Manuale della fede, speranza e carità. Scritto e inviato al funzionario imperiale Lorenzo nel 427, desideroso di avere tra le mani (ecco la spiegazione del titolo) una sintesi della fede e della vita cristiana. Accompagna il libro con il seguente augurio: "Giungerai a sapere tutto ciò che desideri, quando imparerai tutto ciò che si deve credere, sperare e amare"

 

 

Conclusione

 

Avviandoci al termine della relazione è opportuno soffermarsi sulla beatitudine della fede, che accompagna il credente e lo mette in relazione con Dio. In un sermone, che sarebbe bello leggere interamente, Agostino commenta gli episodi evangelici di Mt 11, 49-50 e Lc 11, 27-28: "Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre... Beati coloro che ascoltano la parola di Dio". Sottolinea l'atteggiamento di Maria che credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede ... Ha fatto certamente la volontà del Padre Maria santissima e perciò conta più per Maria essere stata discepola del Cristo che essere stata madre di Cristo ... Anche Maria è beata, perché ha ascoltato la parola di Dio e l'ha osservata. Ha custodito infatti più la verità nella sua mente, che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente , di ciò che è portato nel grembo (s. 257, 8).

L'dea ritorna nei discorsi sul Credo: la Vergine Maria, madre di Cristo, è più beata per la fede che per la divina maternità: "La Vergine Maria partorì credendo quel che concepì credendo. Piena di fede e concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose all'angelo: sono la serva del Signore. Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò possa giovare anche a noi" (s. 215, 4). Nel vangelo non mancano uomini e donne di fede autentica e sincera, lodati e proposti da Cristo a modello di vita, come il centurione che si professa indegno d' accoglierlo in casa: Basta una parola! (s. 62/A) Quanto mai significativo è il comportamento della donna guarita dal flusso di sangue. Agostino ne parla varie volte (62, 63, 63/A, 63/B; 77). Descrive i diversi atteggiamenti: La donna, piena di fede, pensa: Se tocco il mantello, sarò guarita! Gesù chiede: Chi mi ha toccato? Gli Apostoli replicano: Non vedi quanta gente si accalca? Il vescovo nota la differenza tra la folla che preme , pressa e opprime, mentre la fede tocca! Altrove dirà che la folla è una turba, turbata per conto suo (s. 103, 3, 4).

Il breve sermone 63, quasi un intermezzo, parla del sonno di Cristo sulla barca, figura della Chiesa. Soffia il vento, sei in pericolo, il cuore è agitato. Cristo dorme! Risveglialo, ricordati di lui. Il vescovo ammonisce i fedeli a non lasciarsi abbattere dalle onde nel turbamento del cuore; Sveglia Cristo, ripete, attraversa il mare nella calma, arriverai alla patria. Gesù, guarendo le malattie del corpo, all'esterno, desidera essere cercato per guarire l'interno. La donna toccò l'orlo e fu guarita; "anche noi dobbiamo toccare, cioè credere, per essere salvati" (s. 63/A,3). Nel sermone seguente (63/B) Agostino ripete: Cristo si tocca con la fede. La figlia di Giairo simboleggia il popolo giudaico; la donna simboleggia la Chiesa dei pagani. Gesù è venuto per entrambi: "Il mondo ha udito e ha creduto; lo aveva udito il popolo giudaico e prima lo crocifisse, ma poi arrivò a credere proprio a lui. Anche i giudei diventeranno credenti, ma alla fine del mondo". Nella conclusione Agostino si sofferma sullo sviluppo della Chiesa ad opera di Paolo, il più piccolo degli Apostoli: "ogni giorno la donna tocca la frangia e ogni giorno viene guarita" (s. 63/B, 3).

Tra i sermoni dedicati a Marta e Maria, che accolgono Gesù nella loro casa (Lc 10, 38-42), meritano di essere citati insieme, perché si completano e coinvolgono a vicenda, il 103 e il 104. Argomento del primo è l'unità, del secondo le due vite. Marta è indaffarata nelle attività domestiche, Maria, seduta ai piedi del Signore, si nutre della sua parola. Marta, affaticata, chiede l'aiuto della sorella, ma il Signore invece, con un dolce rimprovero, elogia l'unità, l'unica opera necessaria, che valorizza anche la Trinità. Maria ha scelto la parte migliore, la dolcezza della verità, che nessuno le porterà via; cesseranno le opere della necessità, o meglio della misericordia, legate al tempo presente, il tempo della fede. Tutto il discorso, che esalta e delinea i pregi e le caratteristiche di entrambi, gioca sui due termini: azione (Marta) e contemplazione (Maria).

La superiorità di Maria, che anticipa la vita futura e definitiva, ha valore e significato simbolico. Marta non è un simbolo: è la realtà quotidiana della vita, guidata dalla fede, sostenuta dalla speranza, operosa nella carità: "Passa la fatica e viene il riposo, ma si arriva al riposo solo unicamente attraverso la fatica. Passa la nave e si arriva nella patria; ma alla patria non si arriva se non per mezzo della fatica ... Io sono sicuro che non andremo a fondo perché siamo trasportati dal legno della croce" (s. 104, 7). Nella fatica del pellegrinaggio e nelle prove della vita siamo accompagnati e sostenuti dalla fede e dalla preghiera: "Perciò, chiediamo, domandiamo, bussiamo. Solleciti questo, in noi, una pietà piena di fede, non l'irrequietezza della carne, ma la sottomissione della mente, così che ci apra colui che ci vede intenti a bussare" (s. 145, 1).

In un trattato sull'avarizia, commentando le parole di Timoteo (1 Tm 6, 7-10), il vescovo ci invita a scoprire e cercare le vere ricchezze, quelle interiori, che nessuno può rapire. Riguardo alla fede cattolica, il cui fondamento sicuro ed autentico è Cristo (Ench. 1, 5), usa una bella immagine: "Amate queste ricchezze e attingetene subito colmandovene; la sorgente non è nascosta, se il cuore è aperto; la chiave della fede apre il cuore; apre e monda il luogo dove tu debba riporle. Non ti sembri angusto: le tue ricchezze, il tuo Dio, quando entrerà, egli sarà a dilatarlo" (s. 177, 4).

Altra immagine significativa è la radice: "La fede è come una radice buona, che trasforma la pioggia in frutti. Il contrario è dell'incredulità, dell'errore diabolico e della bramosia di possesso, cattiva radice di ogni male, simile a radice di pianta spinosa, che trasforma anche la "dolce pioggia in spine pungenti" (en. ps. 139, 1). Le omelie dell'ascensione (ss. 261-265), da completare con quelle segnate da lettere alfabetiche, commentano la beatitudine dei puri di cuore del Discorso della montagna: "Sono dunque molto stolti quelli che cercano Dio con gli occhi del corpo, perché si vede col cuore" (I, 2, 8). Questo è il motivo dell'insistenza sulla purificazione del cuore: "andiamo insieme verso la patria, dove tu non dovrai chiedere niente a me né io a te. Ora camminiamo insieme nella fede, per godere poi insieme nella visione ... Pensa prima a purificare il cuore; applicati a questo lavoro, sollecita te stesso a farlo, insisti in quest'opera" (s. 261, 3-4). Temi significativi e rilevanti delle omelie sono Cristo e la Chiesa, intimamente uniti tra loro: "Come la donna è gloria dell'uomo, così la Chiesa è gloria di Cristo" (s. 262, 6, 5). Gloriosa è l'esaltazione e l'ascesa di Cristo alla destra del Padre, che professiamo nel Simbolo. In terra molti, anche tra i Giudei, hanno visto Gesù: vedere Cristo con gli occhi del corpo, ma è grande cosa "non è grande cosa credere in Cristo con gli occhi del cuore" (s. 262, 3, 3).

Agostino si sente in dovere di rimproverare i superficiali dalla vita spensierata e dispersa, incapaci di scavare dentro di sé, nel proprio intimo, dove albergano tante ricchezze insospettate (en. ps. 76,7). Ugualmente riprende coloro che non sentono mai il bisogno di parlare e comunicare la propria fede. Chi non ne parla mai, dimostra, avverte categoricamente Agostino, di non credere. La frase introduttiva del De catechizandis rudibus si presta a molte prospettive sia sulla fede che sul cuore, punto centrale di riferimento per la vita intellettuale, morale e spirituale.

Nel cuore, "dove io sono chiunque sono" (Conf. X, 3 ,4), pone il centro dell'essere e di propulsione delle attività, che da lì si irradiano; è il centro dell'interiorità e il luogo di eccellenza dell'unione con Dio: "Parla nel mio cuore con verità. Tu solo sai farlo ... e mi ridurrò nella mia stanza segreta ove cantarti canzoni d'amore fra i gemiti, gli inafferrabili gemiti che, durante il mio pellegrinaggio, sospira il ricordo di Gerusalemme nel cuore proteso in alto veso di lei, Gerusalemme, mia patria e mia madre, e verso di te, suo sovrano e illuminatore, padre e sposo ... " (XII, 16, 23) [8].

Ci sarebbe molto da dire, ma le difficoltà di lettura e scrittura non me lo permettono.

Prima di chiudere richiamo un episodio, di cui si accorsero anche i chierici: durante l'omelia perse il filo del discorso, mettendosi a parlare di manicheismo. Lo interpretò come un segno di Dio, confermato qualche giorno dopo da Fermo, manicheo, che gli espose il caso. Convertitosi alla fede, divenne monaco e poi sacerdote. Possidio lo ricorda con simpatia e rispetto, lodando il Signore (Vita 15). Personalmente, giudicando il fatto con gli occhi della fede (habet et fides oculos suos) di Agostino, e tenendo presenti i 40 anni di ministero e la sua passione verso i lontani, cercati, accolti e amati per liberarli dall'errore ed avere la vita (C. litt. Petil. II, 37, 89), non ritengo il fatto isolato. Diffondere l'amore di Cristo, tenere alta la fiamma della fede, condividere la beatitudine dell'ascolto sono doveri fondamentali dei pastori, che desiderano non tanto la presenza di numero, materiale e fisica (corpore), quanto la presenza qualitativa, viva e spirituale (corde) dei fedeli.

Ai fedeli e a noi, nella conclusione del De fide, non resta che augurare fede, sottomissione a Dio, vita retta, purificazione del cuore, comprensione della verità creduta.

 

 

 

 

Note al testo

 

(1) - Cf. G. Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Milano 1975.

(2) - Cf. G. Folliet, Deificari in otio, Augustin, Ep. 10, 2. Recherches Augustiniennes Paris 1962, pp. 225-236

(3) - Cf. Sant'Agostino, La fede cristiana, a cura di G. Ceriotti, Roma 1998

(4) - G. Madec, S. Agostino, Le Ritrattazioni, Roma 1994, p. XXIX

(5) - Op. cit. pp. XXVIII-XXIX

(6) - La patria e la via, Roma 1993, pp. 145-150

(7) - Op. cit., p. XXIX, per l'Enchiridion vedi pp. L-LI

(8) - Cf. I. Bochet, Cuore, in A. Fitzgerald ed. Agostino Dizionario enciclopedico, a cura L. Alici e A. Pieretti, Roma, 2007, pp. 524-534