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LA FEDE NEGLI OPUSCOLI MORALI-TEOLOGICI DI AGOSTINO

a dott.ssa Anna Vescovi presenta la relazione di p. Giancarlo Ceriotti

La dott.ssa Anna Vescovi presenta la relazione di p. Giancarlo Ceriotti

 

 

 

AGOSTINO SACERDOTE E VESCOVO DI IPPONA

di p. Giancarlo Ceriotti

Cassago Brianza 5 settembre 2014

 

 

 

Premessa

 

Negli ultimi anni si è molto discusso di dottrina e di atteggiamento pastorale di Agostino. Anche a Cassago si è affrontato il tema in due interessanti convegni, cui ho partecipato anch'io con Gli scritti di Agostino presbitero e Attualità del pensiero agostiniano nella Chiesa di ogni tempo [1]. Per non ripetere quanto esposto altrove [2], mi riallaccio ad alcuni famosi autori, in particolare H. I. Marrou, profondo conoscitore dell'opera agostiniana e della cultura antica [3]. Nell'Editoriale della traduzione italiana (pp. 1-10) C. Marabelli afferma che l'opera non esaurisce ogni aspetto della complessa personalità di Agostino e neppure è un profilo che abbia l'intenzione di cogliere l'essenziale originalità del suo pensiero: è innanzitutto un saggio della cultura che cerca di collocare Agostino nel suo tempo.

S. Agostino è un punto di partenza e un costante riferimento dello sviluppo della cultura cristiana dell'Occidente. L'Autore, affrontando il tema della decadenza e della fine della cultura antica, attribuisce ad Agostino la realizzazione della cultura cristiana (doctrina christiana). Nelle appendici delle successive edizioni [4], come ha fatto Agostino nelle Rectratationes, da onesto intellettuale qual è, corregge e rettifica giudizi affrettati o non sufficientemente motivati. Lo studioso francese, che si propone di "non volere essere altro che uno storico" [5], affronta la cultura sulla base di un testo significativo del dialogo con Evodio, De quantitate animae (30, 73), composto a Roma nel 387-388.

Agostino avverte il bisogno di interpellare un uomo non solo dotto (doctissimum) ma anche eloquene (eloquentissimum), veramente saggio e perfetto (sapientissimum perfectumque), che lo istruisca sulla grandezza dell'anima umana. La citazione orienta l'analisi dall'eloquenza e dalla retorica all'amore della sapienza e allo studio della filosofia, nome grande, fascinoso e onesto, come recita in Confessioni (III, 4, 8).

Fino alla venuta ad Ippona nel 391 Agostino non era che un intellettuale [6], vissuto tra libri e tra altri letterati come lui. Non era che un letterato della decadenza, prigioniero, qualunque cosa facesse, di schemi superati e di pregiudizi sterilizzanti. Chiamato a servizio della Chiesa cattolica, di cui si riconosce figlio obbediente e devoto, afferma: "Nessuno può avere Dio come Padre benevolo se non venera la Chiesa come madre" (serm. 255/A; en. ps. 88, II, 14).

Il grosso sacrificio personale si traduce in deciso progresso spirituale: approfondisce la conoscenza di Cristo e della Chiesa (Christus totus), lasciandosi plasmare e guidare dallo Spirito: "Riceviamo anche noi lo Spirito Santo, se amiamo la Chiesa, se siamo compaginati dalla carità, se ci meritiamo il nome di cattolici e di fedeli. Siamo convinti, o fratelli, che uno possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa di Cristo" (Io. ev. tr. 32, 8). Si apre maggiormente ai fratelli (Conf. IX, 11, 13, 37), di cui conosce bisogni, limiti e problemi, da servire col cuore, la voce e gli scritti (X, 40, 70). Rileva giustamente Van der Meer che "Agostino arrivava sempre meglio a comprendere, e sempre più chiaramente diceva nella sua predicazione: che cosa può valere un uomo che si separa dalla comunità? Che vale un cristiano senza la Chiesa?" In lui il genio obbediva al pastore e da vero pastore lo spese a servizio delle anime.

Anche Hamman, accennando alla situazione della Chiesa d'Africa e alle dispute teologiche, afferma che l'atteggiamento pastorale ammorbidì il rigorismo precedente: "Il pastore ha evangelizzato il teologo" [7]. Libero dall'orgoglio intellettuale, apre mente e cuore alle preoccupazioni della vita umile e semplice degli uomini, con i quali allarga e instaura rapporti nuovi. Il dialogo a cosa aspira, dice ai vescovi, riuniti in Concilio ad Ippona nel 393, se non a trasferire la nostra stessa anima, se fosse possibile, nell'anima di chi ci ascolta, perché la conosca e la osservi bene (De fide et symbolo 3,4). Sono uomo, dice di se stesso, e vivo tra uomini (ep. 78, 8).

Conosce ciò che passa nel cuore dell'uomo, sede privilegiata della vita interiore e spirituale: "il mio cuore, dove io sono quello che sono" (Conf. X, 3, 4). Vive in funzione di questo popolo: d'ora in poi sarà lo scopo della sua vita (serm. 355, 1). La Chiesa, popolo di Dio, è il suo popolo. Per ragioni di giustizia e di carità si sente moralmente impegnato ad essere la coscienza vigile dei fedeli. A coloro che dicono di non saper leggere, perché analfabeti, o di non aver tempo di leggere o di ascoltare, perché in altro affaccendati (en. ps. 66, 10; 90, s. II, 1), egli non teme di offrire se stesso: "Siamo noi i vostri codici" (serm. 227). Si abbassa a livello degli umili e semplici, scelti e prediletti da Dio (Mt 11, 25), e non si preoccupa dei sapientoni del mondo. Per facilitare e favorire la comprensione usa il linguaggio popolare, con frequenti ripetizioni, inventa vocaboli e non trascura barbarismi e sgrammaticature. Non gli interessano le critiche dei grammatici e dei letterati. Desidera innanzitutto la comprensione dei piccoli e preferisce la fidelis e docta ignorantia alla temeraria scientia (serm. 27, 4; ep. 130, 14, 25 e 15, 28).

In De catechizandis rudibus consiglia Deogratias, diacono cartaginese incaricato della catechesi dei principianti (rudes), ad accogliere con delicatezza e simpatia i timidi e semplici di scarsa cultura (contadini, bottegai, marinai, artigiani), intimoriti di stare accanto a grammatici, poeti, oratori, avvocati. Li metta a proprio agio, convincendoli di trovarsi in una comunità di fratelli, dove non contano i titoli di studio ma la carità. Egli li ama e li tratta da figli ed essi lo venerano come padre. In un'omelia apre il suo cuore e si rallegra della loro numerosa presenza: "Voi non sareste venuti se non fosse stato l'amore a spingervi: ma quale amore? Se è amore per noi, va bene anche questo. Noi desideriamo essere amati da voi; solo che non vogliamo essere amati per noi. Noi vi amiamo in Cristo; ed è in Cristo che voi, a vostra volta, dovete amarci. E il nostro amore vicendevole gema verso Dio" (Io. ev. tr. 6, 1).

L'ambiente intellettuale precedente, scrive al giovane Dioscoro, saccente e presuntuoso, desideroso di spiegazioni letterarie riguardanti Cicerone, come se il vescovo non avesse altro da fare, non ha più nulla da offrirgli. Agostino, garbato e gentile, risponde da vescovo: sono questioni inutili per un cristiano e lo invita pertanto ad abbracciare la filosofia cristiana, che sola aiuta a comprendere l'umiltà di Cristo (epp. 117-118).

 

 

Ministero sacerdotale

 

Da questo momento, come mostra l'epistola 21 a Valerio, la Scrittura diviene il testo unico e privilegiato della sua cultura e formazione personale. Chiamato dalla Chiesa a servire i fratelli nella carità, il servo non deve contraddire il suo padrone (serm. 355, 2); non accampa scuse, non frappone ostacoli, riconosce nella decisione popolare la voce di Dio: vox populi vox Dei; abbraccia con prontezza e totale disponibilità l'invito del Signore: "Ti vuole tutto colui che ti ha creato" (serm. 34, 2). Non dissimile, seppure in diverso contesto, è l'affermazione di J. Ratzinger: Ippona "segna il passaggio dal filosofo che disputa al predicatore che annuncia" [8]. Ormai il pulpito e la cattedra episcopale sono più importanti dello studio: i bisogni e la cura dei fedeli, le esigenze della carità e l'intima adesione a Cristo lo spronano ad uniformare, senza riserve, la propria alla volontà di Dio, "senza più volere ciò che volevo io ma ciò che volevi tu" (Conf. IX 1, 1; X, 43, 70).

Nel libro X delle Confessioni, richiamando le funzioni ministeriali dell'annuncio e dei sacramenti, si domanda: "quando mai riuscirò con la lingua della penna a elencare tutti gli incitamenti e le intimidazioni e le consolazioni e le direttive, con cui mi inducesti a predicare la tua parola e a dispensare il tuo sacramento al tuo popolo" (2, 2)?

Il sacrificio di Cristo, vittorioso e vittima, sacerdote e sacrificio, che ci ha riscattato con il suo sangue, e l'eucaristia, mangiata, bevuta e distribuita insieme a quanti se ne nutrono (43, 70), sciolgono le difficoltà che lo angustiano, eliminano il timore, saziano l'umana povertà, operano il cambiamento della vita. Il curriculum formativo (grammatica, retorica, eloquenza, filosofia) ne ha fatto un "magister verbi" e gli ha offerto le basi della cultura cristiana. L'impegno pastorale pone gli strumenti culturali a servizio della verità e della Chiesa e lo apre all'ascolto del Verbo magistrum. Non sarà più l'elegante e raffinato cultore di parole umane ma l'umile discepolo di Cristo, il Maestro interiore, il Verbo maestro, che solo insegna ed istruisce. Ammonisce i fedeli a distinguere la parola umana del ministro e la Parola di Dio: "Voi ora fate ciò che allora nell'eternità faremo tutti. Allora non vi sarà alcun maestro della parola (magister verbi), ma il Verbo maestro (magistrum Verbum). Vostro dovere è fare, il nostro ammonire: voi siete uditori della parola, noi predicatori. Ma dentro, dove nessuno può vedere, tutti siamo uditori ... Io parlo fuori, lui vi scuote dentro. Tutti, dunque, dentro siamo uditori; e tutti, fuori, al cospetto di Dio, dobbiamo essere esecutori" (Serm. 179, 7).

"Sacerdote e vescovo della Chiesa di Ippona, che il Signore mi ha chiamato a servire" (ep. 124, 2), predica in continuazione la parola di Dio e dispensa con amore i sacramenti: "Sia impegno d'amore pascere il gregge di Cristo" (Io. ev. tr. 123, 4).

Nell'anniversario dell'ordinazione episcopale rivela lo stato d'animo che lo agita: "Se mi spaventa ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è titolo di un incarico ricevuto, questo di grazia; quello di pericolo, questo di salvezza" (Serm. 340, 1). "Inoltre tra voi e noi questa è la differenza: voi dovete rendere conto solo di voi, noi invece di noi stessi e di tutti voi. Il fardello è pertanto più pesante" (Serm. 339, 1). Per questo chiede aiuto ai fedeli: "Alleggerite il mio carico e portatelo con me: vivete bene" (339, 4).

S. Agostino, un monaco diventato prete e vescovo, così intitola un suo studio l'agostiniano L. Verheijen [9], rinunzia a ciò che gli sta maggiormente a cuore: il santo proposito di vita comune, lo studio, il raccoglimento, la contemplazione, a cui talvolta guarda con nostalgia (Serm. 339, 4; De op. monach. 29, 37; epp. 48; 73, 3-10; 211, 2-3), soprattutto quando gli impegni quotidiani e le fatiche apostoliche, in particolare il tribunale ecclesiale (audientia episcopalis), lo assorbono talmente da togliergli il respiro. La responsabilità sacerdotale è gravosa, il fardello (sarcina) pesante, il ministero pericoloso. Chiede pertanto al vescovo Valerio un congruo periodo di tempo per approfondire lo studio della Scrittura (ep. 21, 2), non tanto da studioso quanto da pastore, che ha cura di coloro che il Signore gli ha affidato da istruire e guidare, da santificare e salvare. La pastorale di servizio, di lunga tradizione nella storia e nella spiritualità della Chiesa, raggiunge, a detta del cardinale M. Pellegrino, il culmine in Agostino [10]. Nel sermone 339, parlando di perdono e conversione, ammonisce gli ascoltatori ad accogliere con sincerità e prontezza la parola di Dio e si qualifica il più piccolo dei servi di Dio. Il Signore, è vero, ha promesso il perdono: lo promette per bocca del suo profeta e lo promette per mezzo mio, il più piccolo dei suoi servi ... l'ha promesso per bocca del suo unico Figlio (serm. 339, 7). Il ministerium cordis et linguae nostrae (serm. 313/E 7), sottolinea l'intimo rapporto che lega lingua e cuore, parole e vita. A Paolino da Nola, desideroso di avere notizie della sua ordinazione, chiede il sostegno della preghiera: "Prega per me, fratello, affinché io confessi sempre questo con tutta l'anima e il mio cuore non sia in disaccordo con la mia lingua" (ep. 27, 4).

In un sermone, sul finire della vita, come si rileva dalla debolezza e dalla fatica, che l'accompagnano, Agostino mostra grande fiducia nella parola di Dio, che supplisce alla debolezza personale: Io, fratelli, ho forze assai limitate ma la parola di Dio ha forze grandi. Che essa agisca liberamente nei vostri cuori ... Voi certamente vedete come, io non so qual maniera, io, che pur incedo sfinito, col parlare divento forte: tanto mi sta a cuore, tanto è il desiderio del vostro profitto. Così il lavoratore che spera il frutto del campo sente di meno la fatica. "E voi sapete quali siano i frutti che mi attendo: essere con voi e tutti insieme essere frutto di Dio" (serm. 42, 1-3). La predicazione è il ministero a lui più congeniale: lo impegna in continuazione. La diversità di ruolo, di vescovo e fedeli, sottolinea la funzione del vescovo a cui tocca innanzitutto dispensare la parola di Dio, che è l'alimento che nutre pastori e fedeli: "Vi nutro col cibo di cui io stesso mi nutro; sono un servitore, non sono il padrone di casa; vi offro il nutrimento di cui io stesso vivo, attingendo al tesoro del Signore" (serm. 339, 4). Dovere principale dei fedeli è accogliere con carità e prontezza il servizio del ministro, chiunque sia (serm. 293/A).

I fedeli sono la ragione della sua vita: propter vos vivimus (Io. ev. tr. 18, 2). Per questo cerca, instancabilmente e in ogni modo, di recuperarli e salvarli nell'unica Chiesa di Cristo. Nell'anniversario dell'ordinazione, commentando Ezechiele (33, 2- 11), delinea i compiti e le responsabilità del pastore. Osservare ciò che dice il profeta, dà sicurezza: "Ma come si può stare tranquilli, si domanda, se voi siete in pericolo mortale? Non vogliamo che la nostra gloria si accompagni al vostro castigo. Ci è data sicurezza, ma la carità ci fa premurosi" (serm. 339, 2).

La carità stimola la sollecitudine pastorale: sua preoccupazione non è tanto la salvezza personale, garantita dalla coscienza, quanto la Chiesa: "Se voi non mi ascoltate e io non ho taciuto, io salverò la mia anima. Però io non voglio salvarmi senza di voi" (serm. 17, 2, 7). Il sermone 339 sintetizza chiaramente il pensiero agostiniano sul ruolo e i compiti dei pastori e dei fedeli, la responsabilità degli uni e degli altri; è una rigorosa meditazione sulla parola di Dio, proclamata nella celebrazione: viene letto un testo che incute grande timore. Fedele all'impegno episcopale ricorda ai fedeli di aver sempre parlato e di non aver mai taciuto (Serm. 339, 2).

"La parabola del servo malvagio e fannullone (Lc 19, 21-23) mi spaventa", ripete tre volte in poche righe (serm- 339, 4), e costituisce un forte richiamo alla conversione mediante le opere buone (339, 6-7). "Ascoltino tutti. Leggo le parole della Scrittura ... Che ho fatto io? Posso cancellare ciò che è scritto? Ho paura di essere io stesso cancellato. Posso tacere? Ho paura di essere io stesso cancellato. Sono costretto a predicare: pieno di spavento, impaurisco anche voi. Temete con me e godrete con me" (serm. 339, 8). Le opere di misericordia purificano il cuore (serm. 389, 5). La carità copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 9). Il testo evangelico, che maggiormente lo impressiona (me plurimum movet), è il giudizio finale di Matteo (25, 31-46). Il vangelo non è un vanto di cui gloriarsi. L'episcopato è nome di lavoro, non di onore (De civ. Dei XIX, 19). E' una grave necessità che impegna e si impone: "guai a me se non annuncio il vangelo", dice l'Apostolo (1 Cor 9, 16).

Al predicatore di verità, che annuncia la salvezza, scrive in De doctrina christiana (IV,15, 32), vero e proprio manuale di predicazione, raccomanda innanzitutto la preghiera: preghi per sé e per gli ascoltatori: sia più uomo di preghiera (orator) che di parole (dictor). La preghiera costante e il servizio generoso, lo zelo ardente e la testimonianza fedele colpiscono e incidono più profondamente delle parole. La gente ammira i predicatori che, senza divisioni e incongruenze, sono una predica vivente (Ivi, IV, 27, 50; 29, 61). Intimamente convinto della bontà del messaggio evangelico e dei risultati, che dipendono da Dio, non cede di fronte alle difficoltà e resistenze di alcuni: attende con pazienza i frutti, che prima o poi verranno. Dice di loro: "saranno domani quelli che non sono oggi" (en. ps. 37, 5; 110, 5; 126, 3; 128, 1; 139, 14). Con gli ostinati e refrattari è inutile discutere o perdersi in chiacchiere: invece di parlare loro di Dio, è meglio parlare a Dio di loro (De cat. rud. 13, 18).

Con i peccatori il vescovo è delicato e misericordioso. Il breve sermone 42, di cui abbiamo citato l'inizio e la conclusione, afferma l'universalità del peccato: tutti gli uomini sono peccatori. Dio ci purifica dalle colpe e dai peccati, senza i quali non è possibile vivere, e ci invita a vincere il peccato, che è in noi: "liberati da te stesso, elimina ii male che è in te". In varie omelie insiste sul cammino di conversione, dono di Dio e impegno dell'uomo. I molti liberati dal peccato e dall'errore, in cui eravamo anche noi, testimoniano che non bisogna disperare di nessuno (en. ps. 98, 5) . La purificazione dell'occhio del cuore, per vedere Dio, è un tema ricorrente della sua predicazione: Questo è lo scopo a cui tende la celebrazione dei santi misteri, la predicazione della parola di Dio, le esortazioni morali della Chiesa, quelle cioè riguardanti la conversione dei costumi, l'emendamento delle passioni carnali, il dovere di rinunciare a questo mondo non solo a parole ma altresì col mutare vita; questo è lo scopo cui mirano costantemente le divine e sacre Scritture, quello, cioè, di purificare il nostro intimo da ciò che ci impedisce la visione di Dio (serm. 88, 5).

Altrove, offrendo a tutti motivo di speranza, sottolinea che non c'è peccato commesso da un uomo che un altro non possa commettere se manca la grazia di Dio (serm. 99, 6). Gli stessi temi, più sviluppati, tornano in De sancta virginitate: progresso e crescita spirituale dei consacrati, impegno nelle opere buone, carità e umiltà, preghiera e grazia, confessione e accusa di peccati ... Anche i sermoni sulla preghiera del Signore (56-59) insistono sulla condizione di peccatori, sempre bisognosi di misericordia.

Commentando la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio (Lc 18, 9-14), con bella espressione rivela la sua delicatezza d'animo: "Ai peccatori che confessano i loro peccati nella preghiera non si devono aspri rimproveri ma una pietà che incoraggi, senza disperare" (De sanct virg. 32, 32). Sopporta i cattivi con pazienza senza ergersi a giudice severo e ostinato (en. ps. 54, 4; 50, 6; 99, 9); cerca i rimedi dettati dalla carità (De mor. eccl. I, 30, 64; C. Faust. V, 9; De sanct. virg. 40, 41; 52, 53; De op. monach. 28,36), secondo un principio, a cui rimarrà sempre fedele, antecedente la stessa ordinazione sacerdotale: "Rendiamoci conto che si deve aiuto all'anima dei nostri simili che fossero nell'errore e nella sofferenza ... Non odiamo i viziosi, ma il vizio, non i peccatori, ma il peccato. Dobbiamo avere volontà di soccorrere tutti, anche quelli che ci hanno danneggiati o hanno intenzione di danneggiarci o senz'altro vogliono che rimaniamo danneggiati. Questa è la vera, perfetta e sola vera religione" (De quant. animae, 34, 78).

Nel sermone su Esaù e Giacobbe, nella festa del martire Vincenzo, parla della misericordia e dell'azione della Chiesa verso i peccatori: li ama, li porta e li sopporta sino alla fine dei tempi. Contro gli scismatici Donatisti afferma con insistenza che non tocca alla Chiesa espellere o rifiutare alcuni (serm. 4, 20, 32-35). A chiarificazione di quanto scrive Van der Meer [11]: "Agostino appartiene alla schiera di pastori, che in seguito il popolo qualificherà leoni in cattedra e agnelli in confessionale", rimando alle pagine sulla prassi penitenziale antica curate da Vittorino Grossi [12]. Nel sermone 82 il vescovo, parlando di correptio pubblica e segreta, rivela grande delicatezza: a colpa pubblica penitenza pubblica, a colpa segreta penitenza segreta. Egli non è un delatore che propaga e diffonde i peccati, ma uno che corregge e salva.

 

 

Ministero sacramentale 

 

Nella Chiesa, mistero di comunione e di unità, su cui tanto insiste Agostino, è dovere del pastore radunare il popolo e tendere all'unità, senza divisioni (en. ps. 33, 2, 6-7; 44,3 3; 72, 34; serm. 138, 10), mediante la Parola e i Sacramenti, tra i quali emerge l'Eucaristia. La riconciliazione, compito del vescovo, rientra nell'elenco dei sacramenti, richiamati dalla lettera al vescovo Onorato di Tiabe, che chiede norme di comportamento durante l'invasione vandalica. Molti fedeli affollano le chiese per chiedere chi il battesimo, chi la riconciliazione, chi la penitenza da fare, tutti poi un po' di conforto e l'amministrazione dei Sacramenti (ep. 228, 8), con speciale riferimento al battesimo e all''Eucaristia, pane dei forti e forza dei martiri (Io. ev. tr. 47, 2; 84, 1). Attraverso questi due sacramenti, che strutturano la Chiesa, nata dalla passione di Cristo, i credenti diventano corpo di Cristo (Io. ev. tr. 21, 8; en. ps. 26, 2, 2), animato e vivificato dallo Spirito Santo (Io. ev. tr. 27, 8; 32, 8), nutrito dall'Eucaristia e compaginato dalla fede e dalla carità (en. ps. 39, 12).

La forza che riconosciamo nell'Eucaristia, che Agostino definisce sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità (Io. ev. tr.) è l'unità (serm. 57, 7). Due testi, tra altri, evidenziano chiaramente l'intimo rapporto che lega Chiesa ed Eucaristia: "Questo è il sacrificio dei cristiani: Molti un solo corpo in Cristo". La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell'altare, noto ai fedeli, perché in esso le si rivela che nella cosa che offre essa stessa è offerta (De civ. Dei X, 6). I fedeli dimostrano di conoscere il corpo di Cristo (l'Eucaristia), se non trascurano di essere il corpo di Cristo (la Chiesa). Diventino corpo di Cristo se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Dello Spirito di Cristo vive soltanto il corpo di Cristo (Io. ev. tr. 26, 13). Nei commenti 26 e 27 a Giovanni e nei sermoni eucaristici (227; 228/B; 229; 229/A; 272) insiste sulla partecipazione spirituale non sulla presenza materiale: all'Eucaristia si va con il cuore (corde) non con il corpo (corpore): "Non preparare le fauci ma il cuore ... Non ciò che si vede nutre, ma ciò che si crede" (serm. 112, 5). Agostino loda "i cristiani punici che chiamano il battesimo salvezza, e il sacramento del corpo di Cristo vita. Da quale fonte se non dalla tradizione antica e apostolica, come io ritengo, dalla quale le Chiese del Cristo che hanno l'intima coscienza che senza il battesimo e la partecipazione della mensa del Signore nessuno può giungere non solo al regno di Dio, ma nemmeno alla salvezza e alla vita eterna (De pecc. mer. et rem. 24, 34). Mangino coloro che mangiano e bevano quelli che bevono; si sazino e si dissetino; mangino la vita e bevano la vita. Cibarsi di lui è essere ricreati ... Lui bere che cos'è se non vivere? Mangia la vita, bevi la vita: avrai la vita" (serm. 131, 1).

I vescovi, successori degli Apostoli, fondatori di Chiese con la parola di verità (en. ps. 44, 23), sono anch'essi veri uomini di Chiesa e ministri di comunione e predicatori della verità.

 

 

 

 

 

Note al testo

 

(1) - Agostino Presbitero, Cassago Brianza 1991; Agostino Vescovo (395-1995), Cassago Brianza 1995.

(2) - G. Ceriotti, S. Agostino, Sul sacerdozio, Roma 1985; La pastorale delle vocazioni in S. Agostino, Palermo 1991; In dialogo con Agostino: uomini, cose, Dio soprattutto, Roma 2014.

(3) - S. Agostino e la fine della cultura antica, Milano 1994.

(4) - La prima edizione parigina è del 1938; la seconda è del 1949.

(5) - S. Agostino, cit., p. 440.

(6) - S. Agostino pastore d'anime, Roma 1971, p. 1222.

(7) - La vita quotidiana nell'Africa di S. Agostino, Milano 1989.

(8) - Popolo e casa di Dio in S. Agostino, Milano 1978

(9) - La Regola di S. Agostino. Studi e ricerche, Palermo 19989, pp. 201-242.

(10) - Verus sacerdos. Il sacerdozio nell'esperienza e nel pensiero di S. Agostino, Fossano 1965, 2 ed., pp. 20-22; S. Agostino, Il pastore d'anime, Fossano 1960, pp. I-XII; Vivere il Concilio da preti, Torino1981.

(11) - Op. cit., p. 1225.

(12) - S. Agostino, La riconciliazione cristiana, Roma 1983.