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2023: Sironi Annarita

L'Arco di Traiano e il colonnato corinzio a Timgad

L'Arco di Traiano e il colonnato corinzio a Timgad

 

 

"L'Africa di Agostino: un viaggio in immagini e parole alla ricerca di un santo"

 

Martedì 5 settembre 2023

ore 21 nella Sala del Pellegrino

Cassago Brianza

 

 

 

Il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge solo una pagina.

 

Agostino è noto soprattutto come Dottore della Chiesa, il cui genio ha profondamente marcato il pensiero occidentale fino ai nostri giorni.

Il suo nome evoca le Confessioni, le grandi opere contro le eresie, il De Civitate Dei o il De Trinitate, due scritti che esprimono la sua dottrina sociale e il mistero teologico della Trinità.

Spesso lo immaginiamo immerso in un mondo di solitudine e di silenzio, di studio e di preghiera. La numerosissima iconografia che lo ritrae ce lo presenta sovente in estasi, davanti a un libro, nel suo studio, vescovo o semplice monaco.

Certo la vita contemplativa è un aspetto irrinunciabile di Agostino, una esperienza che incominciò a vivere proprio qui a Cassago nella villa dell'amico Verecondo.

Ma ... ma c'è un ma.

Perché i suoi interventi, le sue opere, le sue lettere in realtà non sono dottrine astratte, libresche o accademiche. Al contrario sono l'espressione di un insegnamento vivo, destinato a nutrire gli affamati di verità che si rivolgevano a lui, con domande e richieste di ogni tipo.

La necessità e l'urgenza di intervenire laddove era necessaria la sua presenza ha indotto Agostino a viaggiare per tutto il nord Africa, sia per raggiungere le città dove si svolgevano conferenze, sinodi o dibattiti, sia per incontrare vescovi, amici o comunità di fedeli.

Agostino fu un gran viaggiatore: non solo dall'Africa si traferì in Italia, a Roma, a Milano, a Cassago per poi tornare nel paese natale di Tagaste, ma poi, malgrado la sua fragile salute, siccome le sue responsabilità erano aumentate, soprattutto dopo la sua consacrazione a sacerdote nel 391 e a vescovo nel 395, dovette sobbarcarsi il peso di frequenti trasferimenti a servizio della comunità cristiana. Tutto questo nonostante la sua indole lo inducesse a tutt'altro: nella lettera 10 dell'anno 389 Agostino aveva in effetti dichiarato apertamente che non amava i viaggi e li evitava quando era possibile, perché erano incompatibili con la vita di studio e di preghiera che aveva scelto.

Per di più Agostino si lamenta più volte che i viaggi lo distolgono dalle sue attività pastorali, dall'occuparsi dei poveri, dei bisognosi, degli ammalati e dall'applicare la giustizia dato che rivestiva la carica di giudice imperiale. Ma al contempo riconosce che i suoi viaggi sono necessari per il bene della Chiesa d'Africa e il rispondere agli inviti del clero e dei fedeli di altri paesi e città è una urgenza irrinunciabile. “Non mi sono mai assentato – dirà nella lettera 122 – in modo arbitrario, ma ciò fu a motivo di una doverosa necessità, la stessa che ha forzato i miei santi fratelli e colleghi nell'episcopato a sopportare le fatiche dei viaggi per terra e sul mare nonostante la mia debole salute.”

La lotta contro le eresie, quella donatista in particolare, che era una piaga che stava devastando la Chiesa d'Africa, lo avrebbe condotto non solo a Cartagine, ma ovunque fosse necessario per rincuorare i fedeli, strapazzati dalle feroci angherie del braccio armato dei circoncellioni. Lui stesso sfuggì fortunatamente a un attentato, ma alla fine, grazie a lui, la chiesa cattolica riuscì a chiudere definitivamente ogni contesa.

Agostino era ormai un uomo troppo famoso, troppo conteso: lui stesso era dibattuto nel garantire un giusto equilibrio fra le necessità dei fedeli della sua diocesi e le necessità della Chiesa universale. Per quanto poco incline, era diventato un viaggiatore che visitava le comunità che lo invocavano: nel sermo 17, dopo una visita a Bulla Regia, parlando del suo vescovo, scrive “egli mi ha trattenuto, mi ha ordinato, mi ha supplicato, mi ha costretto a parlare con voi.”

Un simile viaggiare, andare per paesi e campi, per agrum dirla alla latina, non è forse il pellegrinare così caro ad Agostino? Non è forse il percorrere la vita per giungere alla meta con la compagnia di tutti coloro che camminano fianco a fianco con noi?

Certo non possiamo, questa sera, ripercorrere le strade di Agostino, ma sicuramente qualche passo lo possiamo fare, per introdurci in un mondo di tanti secoli fa, che però rivive ancora oggi alla luce delle parole di Agostino.

 

 

TIMGAD

Timgad, l'antica Thamugadi romana, era uno degli accampamenti militari più vasti e ricchi che i Romani abbiano costruito in Africa e sorgeva a più di 1300 metri in un paesaggio di colline ondulate su un altopiano spazzato dai venti ai piedi dei Monti Aures. La fondò l'imperatore Traiano nell'anno 100 come colonia romana per ospitare 15000 soldati veterani che avevano combattuto contro i Parti. Era collocata lungo la strada fra Thevaste e Lambesi dove aveva sede la Legio III Augusta. Una strada la collegava direttamente a Tagaste.

Agostino ne parla nella lettera 43 quando condanna le efferate stragi e gli incendi compiuti dai Circoncellioni che agivano impuniti grazie alla protezione del tiranno Ottato. Agostino molto probabilmente passò per questa città verso l'anno 422 di ritorno da Cartagine per recarsi a Tubune: la strada dopo Musti, prima di giungere a destinazione, raggiungeva Teveste, Tamugadi e Lambesis.

Il sito archeologico con i suoi reperti, che per vastità ed importanza sono i meglio conservati in Algeria, è definito la Pompei d'Africa. Progettata da Lucio Munazio Gallo, legato imperiale di Traiano, questa città militare aveva per base un quadrato perfetto di 370 metri circa di lato.

La città ebbe uno sviluppo repentino e arrivò a coprire ben 50 ettari, contro i 12 iniziali.

Lungo l'antica via principale del Cardo Maximus sono ancora ben visibili le abitazioni. Nel sesto isolato si incrociano il Cardo sud e il Decumanus Maximus, che costeggia il Foro e termina con il maestoso Arco di Traiano, che conserva una iscrizione che spiega l'origine della città: «L'imperatore Traiano Augusto Germanico, figlio del divino Nerva, Sommo Pontefice, Padre della Patria, per fa terza volta Console e rivestito per la quarta volta del potere tribunizio, fondò con l'aiuto della III Legione Augusta la colonia di Tamugadi, essendo legato imperiale e propretore L. Munazio Gallo».

La città aveva ben 14 terme pubbliche per servire 20.000 abitanti, che funzionavano a legna di cui sono stati rinvenuti resti di cedro fossilizzato.

Il teatro poteva contenere 4.000 spettatori. Il Campidoglio, che fu costruito alla fine del II secolo, sorge su un punto elevato vicino al Mercato: è un tempio enorme con una scalinata di 28 gradini. In origine aveva sei colonne alte 14 m, due delle quali sono ancora visibili.

Alla dominazione romana ne seguì una bizantina, con la costruzione di una fortezza ancora oggi visibile nella parte a sud e una necropoli cristiana con più di 9.000 sarcofagi. La città godette di una pacifica esistenza e, a partire dal III secolo, fu cristianizzata. Nel IV secolo divenne un centro donatista. In seguito ad un saccheggio berbero, Timgad venne definitivamente abbandonata e sommersa dalle sabbie del Sahara, che hanno favorito il suo ottimo stato di conservazione. Nel 1881 iniziarono i primi scavi archeologici. Numerosi edifici che costituivano la città romana sono ancora da scoprire, mancano infatti il circo e l'anfiteatro per i gladiatori.

 

TIDDIS

La città, l'antica Castellum Tidditanorum, si trova poco distante da Cirta, lungo la strada che portava a Cuicul e Icosium. È probabile che Agostino vi sia passato qualche volta percorrendo le strade che portavano a queste due città. In origine era un villaggio berbero, fondato nel neolitico. Le iscrizioni libiche, le stele fenicie, le monete preromane sono i testimoni di una vita anteriore alla civiltà romana. Sotto gli Antonini e sotto i Severi divenne la Respublica Castellum Tidditanorum.

Il sito archeologico di Tiddis, a 30 km circa da Costantina, si trova in piena regione numidica. Tiddis era una di quelle cittadine fortificate che proteggeva, verso sud, Costantina e tutta la zona costiera dalle incursioni berbere.

Tiddis conserva memorie notevoli dell'epoca romana, con un arco per la porta della città, resti di templi e anche una chiesa bizantina, con due battisteri. L'antica Tiddis, che deve il suo nome al sorprendente colore rosso del terreno della campagna circostante (tiddis in arabo significa rosso), si trova su un pendio piuttosto ripido e quindi la propensione dei Romani per le vie diritte dovette cedere il passo alla praticità e il cardo si inerpica serpeggiando il fianco della collina. Le rovine sono piuttosto estese e fra le più importanti vanno ricordate le cisterne e i canali dell'acqua.

Pare che l'antica Tiddis si affidasse unicamente all'acqua piovana, quindi ogni casa e ogni edificio aveva una cisterna per immagazzinarla (se ne conoscono più di 40). Si entra in città passando per la porta nord del Cardo e quasi immediatamente a destra si arriva a uno degli edifici più originali della città romana, il Tempio di Mithra con il grande fallo alato inciso. Sopra il sito vi è una specie di sauna naturale, poichè dalle profondità del suolo viene aria calda e umida. Alla fine del V secolo la città divenne sede di un vescovado e di due basiliche cristiane.

 

CIRTA

Cirta, l'odierna Costantina in Algeria, fu la città che Agostino raggiunse durante il suo primo viaggio da vescovo. Siamo nell'anno 395 e Agostino percorse, in compagnia dell'amico Alipio che fu presente a Cassiciaco, la strada che provenendo da Cartagine passava da Tagaste, prima di raggiungere Cirta. “Mentre mi recavo alla Chiesa di Cirta, son passato per la città di Tubursico e vi ho conosciuto, sebbene in un incontro purtroppo brevissimo, Fortunio, vescovo di quella città, in tutto quale voi, pieni di bontà, siete soliti presentarlo. Avendogli fatto sapere ciò che ci avevate detto di lui e il desiderio che avevo di vederlo, non si rifiutò affatto di ricevermi. Andai pertanto da lui; mi sembrò doveroso dare questo segno di deferenza alla sua età piuttosto che esigere ch'egli fosse il primo a venire da me. Mi recai dunque da lui insieme con non poche persone che in quella circostanza si trovavano per caso in mia compagnia.” (Lettera 44, 1,1)

Affrontò un nuovo viaggio a Cirta nel 400 dove fu impegnato a rispondere alle accuse di Petiliano vescovo donatista. “Voi sapete che abbiamo spesso cercato di portare a conoscenza di tutti il sacrilego errore degli eretici donatisti, e di confutarlo non tanto con le nostre, quanto con le loro parole ... Ora, mentre mi trovavo nella Chiesa di Cirta ed erano presenti Assenzio e il mio collega Fortunato, vescovo della città, i fratelli mi consegnarono una lettera, che il vescovo di questo scisma, dicevano, aveva inviato ai suoi presbiteri. Leggendola, rimasi sorpreso … ma poiché alla lettura erano presenti alcuni che conoscevano l'eleganza e la ricercatezza del suo stile, si misero a convincermi che il linguaggio era proprio il suo. Io tuttavia, chiunque ne fosse l'autore, pensai di doverla confutare, perché, quale che ne sia stato lo scrivente, non apparisse, di fronte agli ignoranti, come uno che aveva detto cose valide contro la Chiesa cattolica.” (Contra Litteras Petiliani 1,1,1)

Cirta fu capitale del regno di Numidia e poi romana e bizantina. Città dell'antico regno dei Massili, nella parte orientale della Numidia, dopo la morte del re Micipsa, nel 118 a. C., con l'arbitrato di Lucio Opimio dell'anno successivo, il regno venne suddiviso tra Giugurta e Aderbale.

Nel 112 a. C. Giugurta attaccò Aderbale e assediò Cirta, conquistandola e mettendo a morte il rivale e diversi commercianti di origine italica. L'episodio diede inizio alla guerra che Roma condusse contro Giugurta. Catturato e giustiziato nel 105 a. C. il regno numida fu ridotto alla sola parte orientale e mantenne Cirta come capitale.

Dopo il 46 a. C., con la sconfitta dei pompeiani e del re Giuba I ad opera di Cesare nella battaglia di Tapso, il regno numida venne incorporato nella nuova provincia dell'Africa Nova, mentre venne concesso all'avventuriero di Nuceria Publio Sittio e alle sue truppe, il territorio della città di Cirta. La condizione della città non doveva essere quella di un'effettiva colonia romana: una vera fondazione coloniale, con il nome di Iulia Iuvenalis Honoris et Virtutis si ebbe probabilmente solo sotto Augusto, tra il 36 e il 27 a. C.

Con la riforma dioclezianea del 303, Cirta divenne la capitale della effimera nuova provincia della Numidia Cirtense, che già nel 313 venne nuovamente riunita con la Numidia Miliziana in un'unica provincia di Numidia. Cirta, distrutta agli inizi del IV secolo, fu ricostruita sotto Costantino I e rimase la capitale della provincia unificata.

 

DJMILA

L'odierna città di Djmila in epoca romana era nota come Cuicul. Agostino non cita questo luogo nei suoi scritti, ma è alquanto probabile che ci sia passato più volte percorrendo la grande arteria stradale che da Cartagine attraversava tutto il nord Africa.

La città romana fu fondata come colonia romana, sotto Nerva (96-98), o più probabilmente sotto Traiano (98-117) ad alcuni chilometri da Cirta come presidio militare, su uno stretto altopiano triangolare alla confluenza di due fiumi. Il luogo venne scelto soprattutto per la ricca terra coltivabile che lo circondava. La città venne costruita secondo il modello romano: al centro il Foro, con due vie a formare gli assi principali, il Cardo Maximus e il Decumanus Maximus.

Le possibilità di espansione e di costruzione erano però limitate dalla natura del suolo, tanto che il teatro dovette essere costruito fuori dalle mura della città. Con l'affermarsi del cristianesimo nel IV secolo (il primo vescovo di Cuicul è menzionato nel 255), sul pendio della città furono costruiti una basilica e un battistero, che oggi costituiscono le rovine più importanti dell'intero sito.

Scendendo si arriva alle Grandi Terme, che sono enormi e occupano una superficie di più di 2500 mq. e in certi punti si possono ancora vedere i canali e le tubature usati per il trasporto dell'acqua e per incanalare il vapore. La strada prosegue e arriva al nuovo foro dedicato all'imperatore africano Settimio Severo.

Quattro strade uscivano da Cuilcul: a ovest una proseguiva per Sétif con un Arco di Trionfo, costruito nel 216 d. C. in onore dell'imperatore Caracalla. A nord c'era la strada per Jijel; a est la strada andava a Costantina, mentre quella a sud portava a Timgad. In un angolo del Foro si trova il Tempio di Septimio, da cui si arriva al vecchio foro. Un teatro venne costruito sotto Antonino Pio (138-161), nuove terme più vaste sotto Commodo (180-192). Venne costruito anche un secondo foro ("Foro severiano"), iniziato sotto Caracalla (211-217).

In centro città c'è un altare del III secolo e di fianco il passaggio al mercato passando sotto un arco sul Cardo Maximus. In questo mercato i tavoli dei venditori sono ancora appesi alle pareti e all'incirca all'altezza della spalla, nella parete che dà sul foro, ci sono sei buchi dove erano infilati i pali che corrispondevano ad altrettante unità di misura. Altre tre cavità costituivano le misure standard per i prodotti agricoli: quando si voleva acquistare dell'olio o del grano, una di queste cavità veniva riempita e l'acquirente metteva sotto di essa il suo contenitore. Il mercato porta il nome del cittadino Cosinius Primus che ne sostenne le spese.

 

TIPASA

Nel 395 Agostino fece un viaggio per recarsi a Cirta: in tale occasione passò certamente per questa città che si trova lungo il percorso. Questo viaggio fu dettato dalla necessità di partecipare alla ordinazione episcopale di Profuturus. Una strada collegava direttamente Ippona a Tipasa con una carreggiata che variava fra gli 8 e i 12 m. Era lunga circa 100 km, cioè all'incirca due giorni di viaggio. Da Tipasa passava la strada principale che da Cartagine conduceva a Sicca Veneria e Cirta.

Splendidamente adagiata sulle rive frastagliate dal mare del Mediterraneo, l'antica Tipasa giace sulle rovine di una colonia fenicia, che nel I° secolo d. C. fu occupata dai Romani. L'imperatore Claudio la trasformò in colonia militare, dopodiché divenne un municipium. L'antica città romana venne costruita su tre colline che dominavano il mare. Delle case, molte delle quali erano state costruite sulla collina centrale, non resta alcuna traccia. Restano invece le rovine di 3 chiese (la basilica di Alessandro, la Grande Basilica e la basilica di Santa Salsa), due cimiteri, le terme, un teatro, un anfiteatro ed un ninfeo. Il Decumanus Maximus è in realtà la vecchia strada che andava da Cherchell (Cesarea di Mauritania) a Icosium (Algeri). E' largo più di 14 m e per un tratto di 200 m è in buone condizioni. Dopo il Tempio Nuovo la strada prosegue attraversando la zona residenziale e arriva sul mare alla Villa degli Affreschi.

Il Cristianesimo venne introdotto fin dai primi secoli, e nel III secolo la città fu sede vescovile. Nonostante ciò gran parte della popolazione continuò a credere nel paganesimo, fino a che, secondo la leggenda, nel IV secolo una ragazza cristiana di nome Salsa gettò la testa di un idolo a forma di serpente nel mare, gesto che provocò la sua lapidazione da parte della popolazione infuriata. Il suo corpo, poi, miracolosamente restituito dal mare, venne sepolto sulla collina sopra il porto, in una piccola cappella su cui successivamente venne eretta la basilica di Santa Salsa.

La città prosperò fino all'invasione dei Vandali nel 430. Gli abitati, per la maggior parte cristiani, rifiutarono di aderire all'arianesimo e fuggirono in Spagna.

Oggi tutta la zona archeologica con la ricca vegetazione marina è protetta da un parco nazionale.

 

ALGERI

La città era conosciuta ai tempi dei Fenici e dei Romani con il nome di Icosium. Fu fondata da alcuni pescatori locali berberi verso il 400 a. C. Nel 146 a. C. Icosium entrò a far parte dell'Impero Romano ma il villaggio crebbe di importanza solo quando 3000 veterani romani vi si stabilirono come coloni durante l'epoca di Augusto. La città di quasi 15000 abitanti, ottenne i diritti di colonia latina dall'imperatore Vespasiano. La città romana esisteva in quello che fino al 1940 era il "quartiere marittimo" della città di Algeri. Rue de la Marine seguiva le linee di quella che era una strada romana, e un acquedotto in rovina era visibile dalla "Porta della Vittoria" di Algeri fino al 1845. I cimiteri romani esistevano vicino a Bab-el-Oued e Bab Azoun.

Icosium rimase parte dell'Impero Romano fino a quando fu conquistata dai Vandali nel 430. La conquista araba ha trasformato completamente il volto della città imponendo architetture e modi di vivere di quella cultura.

La presenza cristiana in Algeri è oggi limitata alla presenza della Basilica di Nostra Signora d'Africa, che sorge su un promontorio e ha la facciata rivolta al mare a nord del centro di Algeri.

Dopo che papa Pio IX proclamò l'8 dicembre 1854 il dogma dell'Immacolata Concezione, Louis-Antoine-Augustin Pavy, decise di costruire ad Algeri una grande chiesa per il pellegrinaggio alla "Nostra Signora". La prima pietra della basilica venne posta il 14 ottobre 1855 e consacrata dal cardinal Lavigerie nel 1872.

La custodia del santuario venne affidata ai Padri bianchi e alle Suore missionarie di Nostra Signora d'Africa, o Suore bianche. Al centro della cupola, sopra la statua della Vergine, venne realizzato un decoro in ceramica da Mohamed Boumehdi (1924-2006), un artista algerino musulmano.

Sullo sfondo del coro si affaccia un grande affresco che rappresenta Maria nella gloria, venerata dal cardinale Lavigerie e circondata da personaggi che si riferiscono al passato cristiano del Nord Africa: i santi Cipriano e Agostino, le sante Perpetua e Felicita, Monsignor Lavigerie, i martiri dell'Uganda (1886), Padre Siméon Lourdel (1853-1890), Charles de Foucauld e il cardinale Duvall.

Nella cappella di sant'Agostino, una serie di affreschi dipinti nel 1998 dal pittore messicano Salvador Lyra Castillo, che risiedeva ad Algeri, illustrano alcuni episodi della vita di Agostino e precisamente la sua giovinezza, gli studi a Cartagine, il pianto di Monica per il figlio, il battesimo a Milano, l'estasi di Ostia, l'incontro di Agostino con un bambino in riva al mare, la scrittura delle Confessioni, Agostino che insegna da vescovo e la morte del santo.