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AFRICA ROMANA: Thelepte

Venator in lotta con un leone in un combattimento al circo, mosaico da Thelepte ora al Museo del Bardo

Venator in lotta con un leone in un combattimento al circo

 

 

THELEPTE

 

 

 

Thelepte, che si trova sulla stessa strada romana, a trentuno chilometri (diciannove miglia) da Cillium, in una zona paurosamente desolata, sembra l'ultimo posto al mondo dove ai Romani potesse venir in mente di far sorgere una città. Lungo strade costruite a regola d'arte - molte pavimentate in pietra - troviamo una vera foresta di colonne; tutt'intorno soltanto, rovine.

Thelepte conserva le rovine, di difficile lettura, di una città che ebbe importanza soprattutto in età cristiana. Vi si riconoscono le vestigia di numerose basiliche e quelle dell'abitato bizantino, posto sui rilievi tra lo uadi e la ferrovia; a sud di questa sorgeva il teatro e, sulle rive del corso d'acqua, le terme romane, che conservano le imponenti volte del frigidarium, le cui arcate in rovina si innalzano di più di trenta metri. Questi stabilimenti, una volta una solida, massiccia costruzione, erano fra i bagni romani più importanti fuori di Cartagine.

Sotto la dominazione romana, ci si chiede, questo deserto poteva mai essere una terra tanto fertile? Da dove veniva l'acqua? Era portata fin qui dalle lontane colline? Terme così importanti richiedevano provviste enormi di legna; e dove sono le foreste che avrebbero dovuto fornirle? Furono costruite per ospitare cinquecento, forse mille persone alla volta. E dove sono le popolazioni che le avrebbero usate?

Oggi quei bagni lussuosi sono stati trasformati dai beduini in stalle per i loro cammelli. Geograficamente l'esistenza di Thelepte si può spiegare soltanto con la sua posizione strategica. Di qui una strada lunga settantacinque chilometri portava a nord-est fino a Tebessa, la prima città-guarnigione romana; un'altra di eguale lunghezza attraversava il deserto fino a Gafsa.

Da Thelepte arriva un pannello di mosaico che illustra una scena di combattimento in un anfiteatro che oppone un venator a un leone. La belva, pur insanguinata e trafitta da una lancia, cerca di assalire il suo avversario, un gladiatore dai muscoli potenti. Più dietro si vede la sagoma di un altro leone pronto a scattare. Degli spettatori nella cavea seguono la scena con il fiato sospeso. Il mosaico risale al III secolo d. C.