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PITTORI: Marchisiano di Giorgio

La Vergine in trono, Agostino e santi

La Vergine in trono, Agostino e santi

 

 

MARCHISIANO DI GIORGIO

1518-1526

Tolentino, Museo del Santuario di San Nicola

 

Vergine in trono e sposalizio mistico di Caterina d'Alessandria con i santi Agostino, Nicola da Tolentino e Apollonia

 

 

 

Nel 1518 gli agostiniani della Congregazione lombarda stipulano con il maestro intagliatore Francesco Galassi un contratto per la costruzione di un'ancona per l'altare maggiore della chiesa di san Nicola a Tolentino dove porre il quadro del pittore "Marchesani". Questi, di origini slave, si era aggiudicata l'opera presentando un bozzetto migliore del rivale Pero di Francesco. Marchisiano forse si ispirò, vedi la coincidenza iconografica, al registro inferiore del olittico ora attribuito al Maestro dell'Annunciazione di Spermento del Museo Poldi Pezzoli di Milano (in deposito alla Pinacoteca di Brera).

Finalmente, dopo una lunga controversia pecuniaria, l'opera viene consegnata nel 1526. La pala che raffigura i santi Agostino, Nicola da Tolentino, ai lati della Vergine con il Bambino che celebra il matrimonio mistico con Caterina d'Alessandria, fu ceduta forse nel 1619 alla casa Sparaciari: venne suddivisa in tre elementi, di cui i due superiori restarono a Tolentino, mentre la scena principale finì alla Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Berberini a Roma.

L'opera, già in un inventario del 1729 non si trovava più sull'altare maggiore della Basilica tolentinate. Nel 1861 la pala era stata da tempo già resecata: a questa data infatti le uniche parti ancora presenti a Tolentino erano la lunetta con la Deposizione di Cristo nel sepolcro e la cimasa con l'Eterno Padre utilizzate per un periodo imprecisato come ornamenti di una cantoria. L'opera fu acquisita dalla Galleria di Arte Antica di Palazzo Barberini nel 1895 con la collezione proveniente dal Monte di Pietà di Roma, acquisita allo Stato già dal 1892. L'opera, di proprietà della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, è stata gentilmente concessa in deposito al Museo del Santuario di San Nicola a Tolentino dove può essere ammirata dopo il restauro insieme alle altre parti di cui era composta, ovvero la lunetta e la cimasa.

 

 

Marchisiano di Giorgio

Di origini slave, abbiamo sue notizie a partire dal 1498 quando resta implicato in un deplorevole episodio: vista insidiata la moglie non esita a uccidere una donna che voleva corromperla. Condannato a morte, fugge dalle Marche, ma un breve del 1507 di Giulio II lo scagiona e lo riabilita. Questa benevolenza è forse dovuta ai suoi meriti di pittore, che già nel 1500 gli permettevano di lavorare a Tolentino. La sua arte sembra legata ai pittori umbri e marchigiani del suo tempo. Il figlio Plinio ne continuerà l'opera. I suoi ultimi dipinti sono noti a Montefortino e risalgono al 1551.

 

La devozione per la Vergine fu un carattere specifico dell'ordine agostiniano. Già Agostino, nei suoi scritti, esaltò le virtù, affermando inseparabile la sua azione da quella di Cristo e proponendola come modello per tutti i credenti. Agostino si fece veicolo di precisi contenuti dottrinari che ebbero lo scopo di confutare le tesi eterodosse diffuse a quei tempi. Agostino ribadì ripetutamente e con chiarezza i concetti della maternità fisica e insieme divina di Maria nonché la sua verginità, che ne fanno il simbolo della Chiesa, nello spirito vergine, per integrità e pietà, e madre nella carità.

Dei tre vangeli sinottici quello che parla più diffusamente di Maria è il Vangelo di Luca. Vi si racconta che Maria viveva a Nazaret, in Galilea e che, promessa sposa di Giuseppe, ricevette dall'arcangelo Gabriele l'annuncio che avrebbe partorito il Figlio di Dio (Lc. 1, 26-38). Ella accettò e, per la sua totale fedeltà alla missione affidatale da Dio, è considerata dai cristiani il modello per tutti i credenti. Lo stesso Vangelo secondo Luca racconta la sua pronta partenza per Ain Karem, per aiutare la cugina Elisabetta, anziana, incinta di sei mesi.

Da Elisabetta è chiamata "la madre del mio Signore". Maria le risponde proclamando il Magnificat: « Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.» (Lc. 1, 46)

 

Secondo la tradizione cristiana Anna, Gioacchino e Maria abitarono a Gerusalemme nei pressi dell'attuale Porta dei Leoni, nella parte nord orientale della città vecchia, laddove ci sono i resti della piscina di Bethesda. Oggi in questa zona sorge una chiesa costruita dai crociati nel XII secolo e dedicata a sant'Anna. Maria, che imparò a camminare a sei mesi, rimase nel tempio dall'età di tre anni fino al periodo della pubertà e poi venne data in sposa a Giuseppe che fu miracolosamente designato dalla fioritura di una verga. Secondo il vangelo apocrifo di Bartolomeo una prima annunciazione fu data a Maria nel tempio stesso di Gerusalemme. Dio disse a Maria: «Gioisci, o piena di grazia e vaso di elezione ...  Ancora tre anni e ti manderò la mia parola; tu concepirai un figlio per mezzo del quale sarà salvata tutta la creazione. Tu sarai il calice del mondo. Pace a te, mia diletta ... »

La vera e propria annunciazione secondo alcuni avvenne alla fontana, altri invece dicono che avvenne a casa sua. L'annunciazione dell'arcangelo Gabriele a Maria è collocata secondo la tradizione il 25 marzo, per rispettare il tempo di nove mesi esatti dalla nascita di Gesù fissata il 25 dicembre

Trovandosi a Betlemme, in Giudea, con suo marito Giuseppe per il censimento indetto (Lc. 2, 1-2), tramite il console Quirino, dall'imperatore Augusto, partorì in un riparo che era forse una stalla suo figlio, al quale impose il nome di Gesù come le aveva prescritto l'arcangelo Gabriele. Il vangelo racconta il canto degli angeli e la visita dei pastori (Lc. 2, 1-20), e poi dei sapienti orientali detti i Magi. Secondo Matteo, che fa risiedere la famiglia fin da principio a Betlemme (Mt. 2, 1-11), seguono la persecuzione di Erode, la fuga in Egitto, la strage degli Innocenti e il ritorno a Nazaret.

La visione di Maria è contenuta nella Divina Commedia, dove Dante riporta la straordinaria preghiera del doctor marianus Bernardo di Chiaravalle affinché Dante stesso possa ottenere la visione della Trinità divina:

« Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. »

(Paradiso XXXIII, 1-21)