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PITTORI: Maestro di Domagné

Estasi di Ostia

Estasi di Ostia

 

 

MAESTRO DI DOMAGNE

1885-1888

Domagné, chiesa di san Pietro

 

Estasi di Ostia

 

 

 

La vetrata di trova nella chiesa di san Pietro a Domagné e raffigura il celebre episodio dell'estasi di Ostia. La scena riflette l'impostazione celeberrima che ne ha dato Ary Scheffer: il giovane Agostino e la madre Monica sono seduti uno di fianco all'altra nella loro camera affacciati alla vista del mare. I loro volti esprimono la trasfigurazione che Agostino ben descrive nelle sue Confessioni.

Ai loro piedi un'iscrizione indica Saint Augustin e sainte Monique. Entrambi hanno un volto assai giovanile dallo sguardo curioso e contemplativo. Indossano semplici tuniche dalle tinte forti che esaltano il viso circondato dal nimbo dei santi. Con la mano sinistra Monica tiene stretta la mano di Agostino che le offre il suo braccio.

La vetrata si trova nella navata sud della chiesa ed è contrassegnata dal numero 8. In realtà presenta due scene: la prima è l'estasi di Ostia, con Agostino e Monica; la seconda descrive la resurrezione del figlio della vedova di Naïm.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

A Domagné fin dal XII secolo si fa menzione della presenza di un rettore e di alcuni nobili che ne portano. Nell'anno 1207 Roberto di Domagné, cavaliere, confermò ai monaci di Sainte-Croix de Vitré il possesso del bosco di Pierre-Blanche e delle praterie di Russerie. La primitiva chiesa costruita fra il XV e il XVI secolo era a navata semplice con una copertura piana, con abside rettilinea, fiancheggiata da una doppia cappella a nord e da una cappella semplice a sud. Alcune finestre che adornavano queste cappelle erano vetrate dipinte, che purtroppo sono andate distrutte. Il coro e la sagrestia risalgono al 1718 e al 1722, e il fondo della navata al 1766. L'altare maggiore risale al 1637. Una di queste cappelle dipendeva dalla signoria di Neuville. La chiesa fu ricostruita fra il 1885 e il 1888 su progetto dell'architetto Gelly. Nel corso dei lavori furono scoperti sarcofagi di calcare e bare di ardesia. Il timpano del portale fu scolpito nel 1888 da Charles Goupil.