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PITTORI: Maestro di Guérande

Estasi di Ostia

Estasi di Ostia

 

 

MAESTRO DI GUERANDE

1880-1890

Guérande, chiesa collegiata di sant'Aubin

 

Estasi di Ostia

 

 

 

La vetrata, assai vivace nella coloritura, illustra la scena dell'estasi di Ostia narrata da Agostino nel IX libro delle Confessioni. L'impostazione della scena richiama l'analoga e celeberrima opera di Scheffer con qualche variante. L'autore ha immaginato che l'episodio si sia svolto in pieno giorno con un bel cielo azzurro.

Sullo sfondo si nota il mare con una probabile spiaggia al cui limite si intravede in lontananza una montagna e poco distante un promontorio o un'isola con una torre fortificata. Il balcone, dove si trovano Agostino e Monica, è collegato a una spettacolare scenografia di antiche architetture a colonne, su cui si aggrovigliano piante verdeggianti. La scena è focalizzata sui due personaggi: Monica alza la mano destra e volge lo sguardo verso l'alto nella sua ricerca di raggiungere l'eterna beatitudine. Agostino davanti a lei, con il braccio destro appoggiato ad una sua gamba, la osserva silenzioso e premuroso, quasi seguendo e accompagnando il suo percorso spirituale.

Con la mano sinistra il santo tiene fermo su una panca un rotolo di carta su cui sono scritte parole o frasi che li hanno indotti all'ascesa spirituale. Entrambi portano in testa il nimbo dei santi ed entrambi hanno un volto decisamente giovanile, quasi fossero trasfigurati.

 

L'episodio è narrato da Agostino in alcune delle pagine più belle delle Confessioni dedicate al commosso ricordo della madre Monica. L'esperienza mistica che viene narrata ebbe luogo tra i due a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

Al centro della città medievale sorge la bella collegiata di sant'Aubin. Secondo il cartulario Redon, nell'854 la chiesa di Guérande ospitava le reliquie di Saint-Aubin. La sua attuale struttura deriva dalla sovrapposizione di vari edifici, fra cui i resti della chiesa romanica con alcuni capitelli e un sarcofago antico nella cripta. La navata e i pilastri sono gli ultimi resti della chiesa romanica originale che fu incendiata nel 1342 dalle truppe di Louis de La Cerda nell'ambito della guerra di successione della Bretagna. Il corpo di fabbrica, ricostruito a partire dal 1380, tuttavia è fondamentalmente in stile gotico fiammeggiante e al suo esterno mostra ai visitatori decisi elementi architettonici del XV e XVI secolo. Al suo interno si scopre un delicato gioco d'intarsi di vetro in un tripudio di colori raffiguranti la storia di Margherita di Antiochia e di San Domenico che riceve il Rosario.