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PITTORI: Maestro di Montbron

Agostino vescovo e l'episodio dell'estasi di Ostia

Agostino vescovo e l'episodio dell'estasi di Ostia

 

 

MAESTRO DI MONTBRON

1887-1890

Montbron, chiesa di san Maurizio

 

Agostino vescovo e Estasi di Ostia

 

 

 

La vetrata ha una doppia scena: nella parte superiore è stato raffigurato Agostino vescovo mentre impugna una penna per scrivere su un libro aperto. Il volto del santo è sbiancato e se ne intravedono solo i lineamenti. Nella parte inferiore la scena propone il celebre episodio dell'estasi di Ostia. L'impostazione risente del modello di Scheffer che ha avuto molteplici imitazioni.

 

La chiesa apparteneva ad un ex convento che nei secoli XII e XIII dipendeva dall'abbazia di Cluny. A nerd c'è una cappella del XVI secolo; l'abside e il campanile romanico furono ricostruiti da Paul Abadie nel XIX secolo. All'interno è ancora ben conservata la statua equestre di san Maurizio realizzata in legno policromo nel XII secolo.

La chiesa venne costruita durante l'episcopato di Girard II, un vescovo energico, dotato di acuta intelligenza.

Essa sostituì una precedente chiesa, probabilmente gravemente danneggiata nel corso delle incursioni vichinghe. Fondata da un barone de Montbron, questo priorato era costituito da almeno sei religiosi la cui missione era quella di celebrare due messe al giorno nel convento e di distribuire elemosine ai poveri. Durante i disordini religiosi dal 1562 al 1670 il priorato di Montbron cadde in rovina e i contadini occuparono li territori dei monaci. La vita religiosa è ricominciata nel 1985 con l'arrivo dei Canonici Regolari di Sant'Agostino.

La chiesa è stata riparata più volte e recentemente ristrutturata, con la creazione di una sacrestia nel 1857 e di un fonte battesimale. Il coro è stato interamente ricostruito dall'architetto Paul Abadie nel 1860. Il campanile originariamente in legno e ottagonale fu ricomposto nel 1882. Colpito da un fulmine nel 1883, è stato completamente ricostruito in pietra nel 1887 dall'architetto Warin.

 

Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25