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PITTORI: Maestro bergamasco

Sant'Agostino con un monaco in cattedra che insegna

Sant'Agostino con un monaco in cattedra che insegna

 

 

MAESTRO BERGAMASCO

1450-1470

Bergamo, chiesa di sant'Agostino

 

Sant'Agostino con un monaco in cattedra che insegna

 

 

 

Questo affresco trecentesco si trova nella ex chiesa di sant'Agostino a Bergamo e raffigura un monaco agostiniano in cattedra che insegna a degli studenti. Al suo fianco si nota la figura del vescovo Agostino che sembra osservare e suggerire al monaco insegnante argomenti di studio. L'affresco fa parte della decorazione del soffitto di una campata e fu dipinto da un anonimo pittore dell'orizzonte artistico e culturale bergamasco.

Grande fu il contributo delle famiglie cittadine all'ampliamento e all'abbellimento del convento agostiniano annesso alla chiesa. Già nel primo Trecento numerose furono le donazioni con la richiesta di sepoltura e della committenza di affreschi, alcuni dei quali sono ancora parzialmente visibili. Dopo l'incendio del 1403 e l'introduzione della Congregazione dell'Osservanza la generosità delle famiglie favorì le opere di ristrutturazione. Alla fine del Quattrocento il convento contava settanta stanze, tanto che fu spesso scelto come sede dei Capitoli generali della Congregazione di Lombardia. Vi potevano essere ospitati quaranta frati. L'incendio del 1403 non toccò fortunatamente le strutture della chiesa che conservò l'impianto trecentesco. Ai lati si aggiunsero nel tempo molte cappelle. La navata era interrotta da una struttura muraria, detta "poggiolo", che divideva lo spazio dei fedeli da quello dei frati. Chi poteva spingere lo sguardo oltre il "poggiolo" verso l'altare maggiore poteva vedere in tutta la sua maestosità "la machina ... per oro, ornamenti e intagli una delle più vaghe che nell'antichità risplendessero" come racconta lo storico agostiniano padre Donato Calvi. Si trattava di un polittico quattrocentesco composto a quanto sappiamo da opere di scultura "colorite" e dorate, tanto grande da occupare un terzo del coro. Assolutamente straordinario era il soffitto, costituito da tavelloni di laterizio decorati con i soggetti iconografici più diversi. In totale erano 1632 le raffigurazioni composte talmente irregolarmente che è impossibile comprendere quale criterio iconografico abbia suggerito gli accostamenti. La qualità dei dipinti lascia supporre un'esecuzione artigianale, priva di raffinatezze.

Accanto a santi, profeti, angeli musicanti, strumenti della Passione erano immagini inattese di contenuto profano, oggetti di uso quotidiano e soprattutto animali. Possiamo immaginare che il significato allegorico, sicuramente voluto dai dottissimi frati fosse maggiormente accessibile ai fedeli abituati alle simbologie. In altri settori troviamo figure di monaci, forse veri e propri ritratti, si accompagnavano a uomini illustri dell'antichità forse a sottolineare la conciliazione tra la fede cristiana e l'antichità classica secondo i principi di quella cultura umanistica e neo platonica che anche gli Agostiniani propugnavano. Tanta ricchezza di pitture era resa possibile dalle elargizioni dei fedeli. Numerosissimi i legati testamentari così come i committenti delle cappelle che si aprivano ai lati della navata. Molte appartenevano a famiglie di mercanti provenienti dalle valli che si erano trasferite in città. Accanto ai conti Calepio troviamo menzione dei Bonelli, dei Negro Roncalli di Valle Imagna, dei Carrara da Serina, degli Zonca, dei Busi da San Pellegrino, dei Rota da Rota Imagna, dei Morandi, tutti arricchitisi con il commercio fiorente dei panni di lana. Anche il pavimento della chiesa era completamente rivestito di lastre sepolcrali, alcune delle quali sono oggi conservate lungo lo scalone del Palazzo della Ragione. La comunità agostiniana continuò con impegno la propria attività religiosa e culturale fino alla soppressione avvenuta nel 1797. Fra i suoi monaci studiosi degli ultimi secoli ricordiamo Padre Donato Calvi, autore di "un'Effemeride sagro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo" edito nel 1676.