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PITTORI: Oliviero Gatti

Gloria mistica di sant'Agostino che offre la sua regola alla posterità agostiniana

Gloria mistica di sant'Agostino che offre la sua regola alla posterità agostiniana

 

 

OLIVIERO GATTI

1614-1618

Collezione Privata

 

Gloria mistica di sant'Agostino che offre la sua regola alla posterità agostiniana

 

 

 

Il tema della posterità agostiniana si diffonde notevolmente soprattutto nel Seicento, che fu il secolo d'oro della diffusione dell'Ordine agostiniano. Ritroviamo questo soggetto in forme magniloquenti anche in questo esempio do Oliviero Gatti un incisore piacentino che lavorò soprattutto a Bologna. Il grandioso evento è realizzato con una acquaforte in dodici piatti. Fu disegnato dall'artista e composto dal fratello Marco Antonio Viani da Bologna e dal fratello Paolo da Wadowicz. Il tema e la sua struttura furono approvati dalle competenti autorità di Roma e ottenendo la concessione della licenza alla stampa dai superiori.

Il tema riprodotto ha un significato alquanto celebrativo e vuole manifestare l'importanza raggiunta dai monaci nell'ambito della società del tempo. Viene descritta la grande famiglia agostiniana nei suoi numerosi e rigogliosi rami assieme alle congregazioni in cui si è suddivisa nei secoli, o anche i movimenti religiosi che in qualche modo si ispiravano ad Agostino o ne seguivano la regola. In qualche caso sono rappresentati i più famosi esponenti dell'Ordine. Il testo che accompagna l'opera spiega bene lo spirito che animava il pittore: "Mysticae Agustiniensis Eremi Sacrum Gloriae Decorisq. Theatrum"

L'immagine è una notevole espressione del barocco italiano dove Agostino è posto al centro di una miriade di personaggi, nobili, fedeli, monaci, religiosi, vescovi, cardinali e persino papi, che gli fanno da corona. Il santo è seduto su una specie di trono e imbraccia un grosso libro sorretto da un frate, dove si legge la sua regola.

Una copia della stampa si trova anche nella sacrestia della chiesa di sant'Agostino a Naro.

 

 

Oliviero Gatti

Nato a Piacenza verso il 1579 Oliviero Gatti fu un pregevole incisore allievo di Agostino Carracci. Conosciamo poco della sua vita, se non che era originario di Piacenza e che si trasferì a Bologna in una data imprecisata. Tra le sue incisioni note quella più antica raffigura un san Girolamo abbracciato al Crocefisso che risale al 1602. Un'altra, che reca la stessa data raffigura uno stemma cardinalizio, forse del cardinal Sacchetti. Queste incisioni rivelano già un buon livello esecutivo. Alla morte di Carracci nel 1602 Gatti entrò nella bottega di Giovanni Luigi Valesio (1585-1650), un valente artista bolognese che godeva di molta stima fra i suoi contemporanei. Le ultime incisioni di Gatti risalgono al 1628 e consistono nella illustrazione in 52 fogli degli Emblemata di Paolo Macchio. Nel 1626 venne aggregato alla Compagnia dei Pittori di Bologna, pagando 20 lire, anziché le 40 lire che avrebbero dovuto pagare i forestieri. Questo sconto dipendeva dalla sua presenza in città da oltre trent'anni. Ciò significa che si trasferì a Bologna da Piacenza nel 1596 a circa 17 anni. Anche la sua data di morte è incerta, per quanto si trovi che lavorò nella città di Bologna fino alla morte verso il 1648. Delle sue opere esistono due raccolte, la prima curata da A. Bartsch, in Le peintre graveur, pubblicata a Vienna dal 1802 al 1821 e una seconda dal titolo "The Illustrated Bartsch", in particolare al volume 19, parte prima, dal titolo Italian masters of the seventeenth century, edita a cura di John T. Spike dalla Abais Books di New York nel 1981. Una ulteriore raccolta delle sue opere venne realizzata dalla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna e dalla Associazione per le Arti Francesco Francia. Quest'ultima raccolta fa parte della sezione terza del Catalogo generale della raccolta di stampe antiche della Pinacoteca Nazionale di Bologna Gabinetto delle stampe. Bartsch ha pubblicato 140 lavori di Gatti, tra i quali compaiono le opere sicuramente più significative, mentre Bertelà e Ferrara hanno pubblicato 86 incisioni delle quali 23 non sono citate da Bartsch.