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PITTORI: Giuseppe Ghezzi

Madonna della Cintura con Agostino e un vescovo a Monte San Martino

Madonna della Cintura con Agostino e un vescovo

 

 

GHEZZI GIUSEPPE

1690-1700

Monte San Martino, chiesa di sant'Agostino

 

Madonna della Cintura con Agostino e un vescovo

 

 

 

Questa bella tela si trova nella chiesa di sant'Agostino a Monte San Martino e probabilmente venne dipinta da Giuseppe, uno dei più interessanti esponenti della famiglia Ghezzi dedita all'arte in genere e alla architettura. La pala raffigura la Vergine con il Bambino mentre sta per consegnare la cintura ad Agostino, vescovo e Dottore della Chiesa, che la riceve con molto garbo e devozione con la mano sinistra. La devozione alla Vergine della Cintura, secondo la tradizione, è nata dal desiderio di Santa Monica di imitare Maria anche nel modo di vestire: Monica infatti avrebbe chiesto alla Madonna di farle conoscere quale era il Suo abbigliamento durante la Sua vedovanza e, soprattutto, come vestiva dopo l'ascesa al cielo di Gesù. La Vergine, accontentandola, le apparve coperta da un'ampia veste di stoffa dozzinale, dal taglio semplice e di colore molto scuro, ossia in un abito totalmente dimesso e penitenziale. La veste era stretta in vita da una rozza cintura in pelle che scendeva quasi fino a terra. Maria, slacciatasi la cintura, la porse a Monica raccomandandosi di portarla sempre e le chiese di invitare tutti coloro che desideravano il Suo particolare patrocinio ad indossarla. Fra i primi ci fu sant'Agostino e, poco per volta, la cintura divenne uno dei tratti distintivi dell'ordine degli Agostiniani e di quanti hanno regole di vita che traggono spunto da sant'Agostino. La cintura nel mondo romano ed in questo contesto in particolare, aveva un valore simbolico ed indicava un legame (non a caso giocava un ruolo importante nel matrimonio dell'età classica), in un rapporto certamente di livello impari, di sottomissione che comportava una protezione, espressa da parte della Madonna nella forma del Patrocinio. Nella coroncina da recitarsi ogni giorno da parte dei "cinturati" questo accessorio viene interpretato come l'umanità di Cristo che per amore ha sparso il Suo sangue per le Sue creature. Portare la cintura equivale ad avere di fronte a sé il volto del Redentore e deve aiutare a tenere un comportamento aderente al Vangelo, secondo la volontà del Signore. Sono frequenti le immagini in cui si ritrae la Vergine, in alto, tra santa Monica e sant'Agostino in atto di donare la propria cintura: la Madonna appare con il Bambino in braccio, elemento che manca nel racconto tradizionale e non indossa affatto un abito scuro ma è raffigurata quasi sempre con la veste rosa e azzurra: il colore penitenziale rimane solo per la cintura che offre ai fedeli anche perché il nero o il marrone sono due colori capaci di evidenziare il particolare all'interno della composizione pittorica. L'iconografia della Madonna della Cintura è simile in vari casi a quella della Vergine del Rosario e la stessa Cintura si può confondere con quello strumento di preghiera: come nel caso della Madonna di Pompei, anche la Vergine della Cintura viene sovente raffigurata fra due santi uno di sesso maschile e l'altro femminile.

 

Sul portale d'ingresso alla chiesa di sant'Agostino si legge la data 1729, che tuttavia non corrisponde all'anno di fondazione bensì all'epoca in cui vennero eseguiti importanti lavori di ristrutturazione del complesso agostiniano. La data corrisponde, dopo un periodo di abbandono, all'anno in cui la chiesa venne affidata agli Agostiniani Scalzi. Una bolla di papa Innocenzo X nel 1652 ne aveva decretato la soppressione e solo nel 1707 chiesa e convento ritornarono attivi quando vennero consegnati agli Agostiniani Scalzi. I lavori di ristrutturazione furono ultimati nel 1735. Nel pavimento del coro si trova la tomba del benefattore, Giovan Battista Manilio Urbani, che permise con i suoi lasciti la ristrutturazione della chiesa. L'impianto architettonico della chiesa risale alla prima metà del Settecento, così come la sistemazione del portale d'ingresso e la costruzione di alcuni ambienti monastici. L'interno della chiesa conserva diverse cappelle: la prima sul lato destro conserva una tela con la Madonna, il Bambino e san Francesco attribuita a Giuseppe Ghezzi (1634-1721), un membro di una importante famiglia di artisti di Comunanza. Nel secondo altare di destra la decorazione evidenzia girali di vite con grappoli d'uva, aggrappati alle colonne. Negli stalli centrali del Coro nell'abside è stato riprodotto lo stemma araldico della famiglia Urbani, con il leone rampante sormontato dal pavone (1581). Il complesso venne espropriato nel 1861 e la sua proprietà trasferita al comune. Alle origini, nel 1468, il complesso con la chiesa erano già nella disponibilità dell'Ordine eremitano di sant'Agostino.

 

 

Ghezzi da Comunanza

La vicenda artistica dei pittori Ghezzi da Comunanza si avvia alla fine del Cinquecento con Sebastiano (1580-1645), pittore ed alchimista oltre che ingegnere e architetto militare, revisore delle fortezze ecclesiastiche sotto Urbano VII. A Comunanza, tra il 1604 e il 1607, nella chiesa della Beata Vergine del Rosario (detta del Ponte), dipinse l'altare maggiore e quello del Crocifisso. Nel 1609, nella minuscola chiesa di S. Maria delle Grazie di Case di Ciotto dipinse la "Madonna delle Grazie, S. Giuseppe e S. Caterina". Nel 1613, ad Ascoli, lavora nel chiostro di S. Angelo Magno e dipinge le lunette del chiostro di S. Domenico con "La Nascita di S. Benedetto". E' attivo anche a S. Vittoria in Matenano e a Sarnano nella chiesa degli Agostiniani. Ancora a Comunanza, dipinge l'affresco dell'altare maggiore della chiesa di S. Francesco "S. Francesco che riceve le stimmate" e gli stucchi dell'altare della Cappella di santa Monica. Per la chiesa Matrice di S. Caterina, ha realizzato l'altare in stucco della cappella dedicata alla Santa.

Sebastiano Ghezzi Tra il 1613 e il 1615 dovrebbe aver eseguito il ciclo a fresco con Storie di san Nicola da Tolentino nelle lunette del chiostro degli agostiniani a Sarnano, quasi completamente perduto.

Gli interessi culturali di Sebastiano confluiscono nel figlio Giuseppe (1634-1721), che vive a Roma fin da giovane. Nella città eterna all'attività pittorica associa quella di esperto di cose d'arte e restauratore. L'adesione all'Accademia dell'Arcadia e la frequentazione di ambienti colti romani gli consentono di entrare in contatto con importanti personaggi marchigiani, tra cui Papa Clemente XI Albani, che divenne un committenti del figlio Pier Leone (1674-1755).