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PITTORI: Maestro di Malinalco

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

MAESTRO DI MALINALCO

1710-1720

Malinalco, chiesa del Divino Salvatore

 

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

Questa scena appartiene al Retablo della cappella del Sagrario

chiesa dell'ex convento agostiniano oggi parrocchia del Divino Salvatore.

Si tratta di una imponente struttura costituita dal convento della Trasfigurazione e dalla chiesa del Divin Salvatore. Il convento è stato fondato nel 1540 da frati agostiniani e costruito con l'aiuto degli indigeni. Il piano terra dell'edificio conventuale e la chiesa sono stati costruiti contemporaneamente e sono stati terminati nel 1560. Il chiostro alto è stato aggiunto intorno al 1580 mentre l'intero sito è stato decorato dal pittore Simón Pereyns. La facciata della chiesa è in stile rinascimentale, nella varietà plateresca, dove si distinguono alle basi dei pilastri o dei fregi le teste degli angeli, le rosette e le conchiglie. Nel convento vennero realizzati tre cicli pittorici: il primo raffigura orti e giardini, il secondo ha uno stile rinascimentale, mentre il terzo propone l'iconografia cristologica della passione.

Le quattro pareti del chiostro inferiore sono affrescate con composizioni di piante diverse della flora selvatica, fogliami intrecciati, oltre a medaglioni con i simboli di Gesù Cristo, Maria Regina del Cielo e l'emblema agostiniano. In questi affreschi è stato possibile identificare con precisione la flora e la fauna indigena del tempo nell'area di Malinalco. Le piante rappresentate sono state selezionate in moda da includere solo quelle di importanza culturale: ad esempio compare l'huacalxochitl, che era utilizzata in medicina per combattere le infezioni così come nelle cerimonie azteche per decorare eroi militari mentre il tlatoani o il cacique.

Alcune di queste piante curative sono ancora oggetto di ricerca come l'yolloxochitl o "fiore del cuore" o "piccolo uovo". Questa pianta appare due volte negli affreschi nel chiostro sulla parete esposta a sud e ad ovest, era usato per strofinare il corpo durante una cura, e la sua bevanda infusa curava la malattia di cuore oltre a essere considerato efficace contro l'infertilità. Entrando nel chiostro di Malinalco si ha l'impressione di essere nei "giardini del paradiso".

Negli affreschi di Malinalco troviamo la presenza di diversi animali, come conigli, pappagalli, lucertole, tlacuache e scimmia che si arrampicano su un albero. Nei tempi pre-ispanici, si riteneva che le anime convertite in uccelli aspirassero i diversi fiori, così come le api dipinte negli affreschi che simulano succhiando diversi germogli: in questi affreschi ci sono anche due farfalle, api e molti uccelli. Nell'interpretazione del pensiero di Agostino esse simboleggiavano le anime liberate dell'uomo. Sulla parete rivolta verso est si trova l'albero della sapienza rappresentato da un sapota che è l'unico albero di frutta nei murales che assomiglia ad un albero di mele, vicino all'albero c'è un serpente che ipnotizza un piccolo uccello simboli, l'uno e l'altro del male e del bene. Il chiostro alto sviluppa temi dipinti anche in altri conventi agostiniani e furono realizzati nel 1580. Nell'angolo sud-ovest sono rappresentate le scene della preghiera nei giardini; a sud-est troviamo il Cristo seduto al bordo della Croce e la Crocifissione; sul lato nord-est si trovano scene pietose: mentre a nord compare la Resurrezione e la Pentecoste. Nella monumentale scalinata che collega i due chiostri sono conservati solo i dipinti del soffitto: un medaglione con un pellicano che nutre i piccoli, un simbolo di Cristo che costituiva un'esortazione ai frati a tenere conto del luogo in cui vivevano e delle minacce che potevano subire.

 

La scena che viene qui narrata appartiene agli episodi leggendari descritti nella iconografia agostiniana. L'atteggiamento del corpo del santo manifesta la sua meraviglia di fronte alla scelta che dovrebbe fare. E' vestito con il saio nero dei monaci del suo Ordine ed ha proprio l'aspetto tipico di un frate con la barba lunga e la tonsura in testa.

L'episodio è relativo a una leggenda che nasce probabilmente in Italia. Diversi pittori si sono ispirati a essa che trae spunto da passi delle sue meditazioni: il santo è presentato innanzi al Cristo crocefisso ed alla Vergine, mentre, pregando, si domanda: "Hinc a vulnere pascor", e, volgendosi verso Maria, soggiunge: "Hinc lactor ab Ubere", concludendo: "Positus in medio quod me vertere nescio, Dicam ergo Jesu Maria miserere". Sembra che l'episodio prenda spunto da un passo della S. Aurelii Augustini Hipponensis episcopi et S. R. E. doctoris vita di Cornelius Lancelotz (1574-1622) O.S.A. edito ad Anversa nel 1616.

Lancillottus scrive, riportando parole apocrife di Agostino: "Positus in medio quo me vertam nescio. Hinc pascor a vulnere, hinc lactor ab ubere." La medesima scritta fu riportata da Francesco Francia e poi da Kartarius, un incisore nativo di Viterbo, che lavorò a Roma fra il 1560 e il 1570, nella sua stampa della Vita di Agostino edita nel 1570.

La prima immagine di Maria "Galactotrephousa" (così era chiamata in Oriente, mentre in Occidente veniva appellata come "Maria Lactans") è di origine copta e si trova in una cella monastica di Banit in Egitto e in una caverna eremitica del Monte Latmos in Asia minore (entrambi del sec. VI - VII) nonché a Roma in un frammento di scultura del secolo VI rinvenuto nel Cimitero di San Sebastiano. L'immagine paleocristiana della Virgo lactans, che nella rappresentazione del gesto materno per eccellenza evidenziava l'incarnazione del Cristo in una creatura terrena, fu recuperata nel secolo XII e incontrò enorme successo a partire dal XIII secolo, in coincidenza con la diffusione, promossa dai crociati, delle icone della Galactotrephousa che stimolò una fiorente produzione d'immagini devozionali sia nella pittura che nella scultura.