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PITTORI: Filippo Ricci

Sant'Agostino lava i piedi del Cristo pellegrino di Filippo Ricci

Agostino lava i piedi a Cristo

 

 

FILIPPO RICCI

1741

Ripasantrone, Pinacoteca Civica

 

Sant'Agostino lava i piedi del Cristo pellegrino

 

 

 

 

L'opera, eseguita con materiali a olio su tela, fu realizzata nel 1741 e misura 278x175 cm. Il dipinto appartiene al gruppo delle pale d'altare della chiesa degli Agostiniani di S. Elpidio a Mare, acquisite da Gera nel 1971, restaurate su suo interessamento presso il laboratorio di Dante De Carolis a Firenze, e infine donate nel 1972 al Comune di Ripatransone. Filippo Ricci appartiene ad una bottega familiare che deve i suoi inizi a Natale e a Ubaldo Ricci, formatisi presso lo studio di Carlo Maratta a Roma. La scena si svolge su uno sfondo architettonico per gran parte coperto dalle figure di monaci agostiniani e dagli angeli che partecipano alla scena del lavaggio dei piedi del Cristo pellegrino. Cristo, seduto sopra di un basso sedile, è vestito con l'abito tradizionale del pellegrino: indossa dei sandali, un corto mantello sul quale sono collocate delle conchiglie di san Giacomo e regge il bastone del pellegrino.

In ginocchio davanti a lui è sant'Agostino, avvolto dalla cocolla nera dei monaci agostiniani, intento misticamente a asciugargli il piede sinistro dopo averlo lavato su una bacinella buccellata. Alla scena assistono tre monaci vestiti con l'abito agostiniano. Dal vestito di Agostino fuoriesce la cintola, mentre gli elementi simbolici distintivi del suo grado di vescovo sono stati umilmente deposti ai piedi del Cristo. Si possono agevolmente notare la mitria, il pastorale e il galero collocati a terra, davanti ai gradini. A coronamento della tela trovano posto dei cherubini e delle figure angeliche, che sorreggono altri attributi agostiniani: la cintola, il libro della Regola e il cuore ardente.

 

L'opera è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Ripasantrone nell'ambito della rete dei Musei Piceni.

 

Questa leggenda mette in luce la carità di Agostino e divenne molto cara agli Eremitani ed ai Canonici. Secondo M. Aurenhammer, che lo affermò nel suo Lexikon der christlichen Ikonographie (Vienna, 1953), la leggenda sarebbe stata elaborata in Spagna, dove in effetti appare per la prima volta. Da lì si diffuse nelle Fiandre.

Probabilmente fu estrapolata da qualche frase di Giordano di Sassonia, che nel suo Liber vitasfratrum scrisse: "Unde in Vitaspatrum legitur, quod sanctus Apollonius fratribus suis praecipiebat attentius, ut advenientes fratres quasi Domini susciperent adventum: "Nam et adorari adventantes fratres propterea", inquit, "traditio habet ut certum sit in adventu eorum adventum Domini nostri iesu Christi haberi, qui dicit: Hospes fui et susceptistis me". Et hoc sumpta est illa laudabilis observantia Ordinis, ut fratres hospites recipiantur cum genuflexione et manuum deosculatione."

N. CRUSENIUS nel suo Monasticon Augustinianum, I, 7 pubblicato a Vallisoleti nel 1623 a sua volta scrive: "Ad interiora deserti secedens, Christum hospitio suscipit, pedes lavat et audit: 'Augustine, Filium Dei hodie in carne videre meruisti; tibi commendo Ecclesiam meam.' S. Prosper et alii ", dove questi alii sarebbero Ferdinando vescovo di Tarragona e Jean Maburn canonico regolare.

Il primo a produrre questo tema iconografico fu Huguet, ma sarà Bolswert con le sue incisioni a diffonderlo ampiamente. La valenza di questo soggetto è teologicamente importante sia perchè abbondano i testi agostiniani che sottolineano il valore dell'ospitalità al pellegrino, e perchè Agostino stesso diede molta importanza all'ospitalità nei suoi monasteri. Già nelle Costituzioni Agostiniane del 1290 si trova il passo che stabilisce per i pellegrini la possibilità di lavarsi i piedi nel monastero. Nel 1686 si ribadisce che bisogna lavare i piedi dei pellegrini come se fossero la persona di Cristo.

Il tema di Agostino che lava i piedi al Cristo ha un grande valore anche teologico, poiché secondo la tradizione degli agostiniani eremitani, Agostino quando era monaco a Tagaste si sarebbe ritirato in un eremo con finalità di pura contemplazione. L'apparizione di Cristo in forma di pellegrino, gli avrebbe imposto di ritornare al mondo per testimoniare con la parola e le opere la vita cristiana.

Spesso la scena è accompagnata dal testo "O grande padre Agostino, ti affido la mia Chiesa", tratto da un apocrifo ambrosiano. E' un chiaro segno per giustificare la vita mista fra contemplazione e azione propria degli eremitani, con l'invito a seguire l'esempio del santo fondatore.