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Santi dell'Ordine Agostiniano: Rita da Cascia

Santa Rita in una raffigurazione in ceramica del 1861

Santa Rita in una raffigurazione in ceramica del 1861

 

 

Santa RITA DA CASCIA

1370 - 1447

 

 

Avrebbe potuto essere una mediocre o anche una pessima cristiana, inasprita dalla sofferenza e provocata alla ribellione. Fu, invece, una Santa . Sono parole di Agostino Trapè, il più recente e prestigioso biografo agostiniano di santa Rita, figura tra le più popolari della storia cristiana. Rita nacque a Roccaporena, uno dei verdi castelli soggetti a Cascia, nel 1370-1371 da Antonio Lotti e Amata (il cognome non è noto), che la battezzarono nella chiesa di santa Maria della Plebe a Cascia col nome di Margherita. Crebbe sotto le attente cure dei genitori, ma soprattutto del Signore, come attesta il miracolo delle api: mentre i genitori lavoravano nell'orto, la culla incustodita di Rita fu presa di mira da uno sciame di api, che, stranamente, entrarono ed uscirono dalla bocca della piccola senza pungerla. Crescendo aiutò la sua famiglia sia nei lavori dei campi, sia in casa, senza tralasciare la propria formazione religiosa e scolastica, un'eccezione per quei tempi. Il Signore suscita vocazioni là dove gli uomini concorrono a fomentarle e a formarle. Il sereno ambiente familiare e religioso concorse a crescere in Rita, fin da giovanissima, la vocazione monacale. Ma i genitori, ormai anziani, preferirono sposarla, nel 1387-1388, con un giovane del posto, Paolo, figlio di Ferdinando Mancini, per averla vicino e poter avere in famiglia l'appoggio di un uomo. Rita era buona, umile, religiosa, caritatevole, abituata a compiere serenamente il proprio dovere: Paolo, invece, secondo padre Agostino Cavallucci, autore della prima biografia della Santa nel 1610, era un uomo feroce, che atterriva nel parlare e spaventava nel conversare. Rita con lui seppe talmente conversare che lo ridusse tutto umile e tutto al servizio di Dio, tanto da formare un'armoniosa convivenza familiare da tutti ammirata. La vita familiare fu semplice e laboriosa: educare i figli (i gemelli Giangiacomo e Paolo Maria) cristianamente, occuparsi con amore dei vecchi genitori, attendere alla casa e all'orto, rasserenare e ristorare il coniuge al rientro da una giornata non sempre tranquilla. La vita matrimoniale così scorreva quando una sera del 1401 qualcuno bussò alla porta di casa e annunciò che Paolo, tornando da Cascia, era stato assalito dai suoi nemici, che da tempo meditavano di vendicarsi dei torti subiti. Il fatto che fosse disarmato, in linea con la sua nuova vita cristiana, lo rese facile preda dei suoi omicidi.

Accorsa con i figli sul luogo del delitto, con il cuore colmo di dolore, Rita, superato il primo smarrimento, espresse subito il suo perdono per gli assassini e agì sui figli per convincere anche loro a perdonare. Il suo eroico perdono e la sua azione di pace divennero un binomio inscindibile da attuare con ogni mezzo. Perdonare come Cristo perdonò, sulla croce, i suoi crocifissori. Perdonare per interrompere la vendetta a catena. Ad un anno dalla morte di Paolo, morirono anche i figli, quasi uno dopo l'altro. Nel giro di un anno aveva perso tutta la sua famiglia rimanendo sola. A 30 anni, ancora giovane, forte e capace di amare, scelse di donarsi ai bisognosi. Ormai sola, sentì riemergere fortemente la vocazione monacale. Si recò allora a Cascia, presso il monastero di Santa Maria Maddalena, dove con grande umiltà chiese di entrare come monaca agostiniana per vivere secondo la Regola di S. Agostino. Fu rifiutata, non tanto perché vedova, ma in quanto il marito era stato assassinato: troppo recente era l'omicidio e quindi ancor vivo l'odio e il desiderio di vendetta. Rita si sforzò in ogni modo per tentare una completa rappacificazione tra i parenti di Paolo e i suoi assassini, che infine riuscì a far incontrare davanti ai pacieri e, poi, in chiesa, dove la fine delle ostilità fu suggellata con un abbraccio. L'opera pacificatrice di Rita offrì un esempio che rimase profondamente impresso nella mente dei suoi contemporanei e vive ancora oggi in tanti devoti, presso cui è nota come la santa dell'impossibile. Nel 1407 fu accolta nel monastero. Per 40 anni si dedicò totalmente a Dio, proseguendo la sua opera di pace e carità. Come S. Agostino, scelse la carità, la saggezza, l'amore, il servizio a Dio e all'uomo. La sua devozione per la Croce fu così grande che il venerdì santo del 1432, dopo aver seguito una predica sulla passione, presa dall'amore per Cristo Crocifisso, fu trafitta alla fronte, fino all'osso, da una spina della corona, che le procurò un dolore durato fino alla morte. Nel 1443 si ammalò gravemente e dovette rimanere a letto per lunghi anni. Durante la sua dolorosa malattia, che sopportò con animo forte e sereno, tra le nu­merose visite ricevute è da ricordare quella di una parente di Roccaporena, nel gennaio del 1447, rigido e nevoso. Questa parente, prima di congedarsi, le chiese se avesse bisogno di qualcosa.

Rita, sorridente come sempre, le fece una richiesta veramente singolare per la stagione: due fichi maturi e una rosa. La parente la salutò un po' perplessa. Ma quando andò nell'orto di Roccaporena, con stupore vide che nel roseto spoglio e innevato era fiorita una rosa e che l'albero del fico portava due frutti maturi. L'ultimo desiderio terreno di Rita era stato miracolosamente soddisfatto. In ricordo di questo episodio, Rita è rappresentata con una rosa tra le mani. E il 22 maggio, anniversario della morte avvenuta nel 1447, vengono distribuite rose rosse davanti ad ogni chiesa intitolata alla Santa. In occasione della sua beatificazione nel 1628, si tenne un solenne festeggiamento il 16 luglio nella chiesa di sant'Agostino in Roma, alla presenza di 22 cardinali e di una folla immensa. Fu dichiarata santa solo il 24 maggio 1900 a San Pietro in Roma da papa Leone XIII. Nella storia del popolo umbro Rita è la sorella minore di due grandi santi: il patriarca S. Benedetto da Norcia e S. Francesco d'Assisi. Ma Rita è, forse, la più amata dal popolo ed è lei che Papa Leone XIII definì la più preziosa perla dell'Umbria.