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Chiese agostiniane: Pennabilli

Il complesso agostiniano di Pennabilli

Complesso agostiniano a Pennabilli

 

 

CHIESA DI SANT'AGOSTINO A PENNABILLI

 

 

 

Le vicende del monastero

L'interno del monastero, sconosciuto anche agli stessi pennesi, ha subito varie modifiche. I diversi piani del Convento sono collegati da uno scalone principale che dà accesso al corridoio su cui si aprono le celle, ristrutturate nel 1920, sobriamente arredate. Numerose opere del Monastero sono state trasferite nel Museo Feretrano, in particolare alcuni dipinti come una Flagellazione e incoronazione di spine (1584) di Felice Damiani pittore della fine del 1500, una Madonna orante di autore ignoto (1700), un Ecce Homo di autore ignoto con cornice databile al sec. XVII, una Madonna col Bambino cui, per pudore, è stata dipinta la veste; e ancora una cassapanca dipinta nel Setecento, probabilmente dotale, sei vasi in cotto con lo stemma del Vescovo Begni col motto "Utroque lucet" e infine i preziosi lavori delle monache come le vesti per la Madonna del Santuario delle Grazie e, fra queste, una particolarmente cara ai pennesi perché commissionata nel 1781 in ringraziamento dello scampato pericolo per il terremoto. La storia del monastero di Pennabilli viene rivissuta attraverso due documenti d'eccezione: il primo è del 1744 ed ha come autore G. B. Contarini; il secondo, degli inizi del Novecento, fu probabilmente scritto da una Badessa.

 

GIOVANNI BATTISTA CONTARINI

Il piccolo tomo Breve ragguaglio della prima origine del Monastero delle suore Domenicane della Penna, cavato dalle antiche Scritture, Urbino 1744 nella Stamperia del SS. Sacramento, è opera del domenicano Giovanni Battista Contarini (o Contareni). Nato a Venezia il 12 settembre 1696 e ivi morto il 16 gennaio 1779, fu battezzato coi nomi di Giovanni Antonio. Entrato nella Congregazione dell'ordine dei predicatori del Beato Giacomo Salomoni, gli fu imposto il nome di Francesco Giovanni Battista Maria. Contarini era giunto a Pennabilli verso il 1740 in qualità di teologo dell'allora Vescovo della Diocesi di Montefeltro Monsignor Grisostomo Calvi, che apparteneva alla sua stessa Congregazione. Fu nominato in sostituzione di un altro domenicano, Pier Antonio Calvi nipote del Vescovo, che si era impegnato nell'aspra polemica fra pennesi e leontini per la cattedra episcopale.

Anche Contarini si impegnò a fondo sul tema della sede vescovile pubblicando la sua De Episcopatu Feretrano Dissertatio ove, in 183 pagine dà prova di aver approfondito studi e questioni montefeltrani. L'opera, di prima importanza nel quadro della storiografia feretrana, venne edita a Venezia nel 1753 dopo che il Contarini ebbe lasciato Pennabilli, sin dal 1746, per altri incarichi. Lo storico domenicano diede alla luce varie altre opere, di carattere sacro e agiografico: panegirici, sermoni e vite di santi. Per quel che concerne la diocesi di Pesaro e Urbino, egli ha pubblicato, oltre ai testi già citati, anche una Orazione sacra sopra le lacrime miracolose sparse dall'immagine di Maria Vergine, che serbasi nella chiesa di San Cristoforo della città della Penna, recitata nel terzo venerdì di marzo 1740, Venezia 1741, e La vita del beato Domenico Spadafora de' Predicatori, Urbino 1744 nella Stamperia dei SS. Sacramento.

Il suo interesse per la vita monastica è testimoniato oltre che dal presente Breve ragguaglio anche da due sermoni pubblicati in una Raccolta di panegirici ed altri sermoni sacri edita a Udine nel 1738, ove intende, fra l'altro, dimostrare: "di come le religiose nella Povertà sono più ricche; per la Castità sono più felici; sotto all'Ubbidienza sono più libere". Nella sua breve permanenza pennese venuto evidentemente a contatto con le religiose del convento ed avendo modo di consultare i documenti, volle stendere il presente lavoro per far luce "... sull'oscurità in cui giaceva la prima origine di questo convento" e per stabilire "... il tempo, e modo, in cui fu alla religione nostra Domenicana aggregato", non potendo immaginare che le sue monache sarebbero in seguito divenute agostiniane.

 

1) Breve ragguaglio della prima origine del Monastero delle suore Domenicane della Penna, cavato dalle antiche Scritture

"L'origine del Monastero di S. Antonio da Padova, costruito alla Penna, sede Vescovile del Montefeltro, nel Ducato d'Urbino, è stata sempre, fino ai nostri giorni, ignorata dai forestieri, incerta per i Pennesi e totalmente sconosciuta alle stesse Religiose che lo abitano. Sulla data precisa della sua origine si avevano solo quelle informazioni scaturite dalla tradizione popolare non sempre rispondente alla verità. Le ragioni di questa disinformazione sono molteplici: le vane vicende che hanno funestato la Provincia Feretrana; il trasferimento delle antiche carte alle Cancellerie Vescovili ed agli Archivi competenti, con passaggi da persona a persona e da un luogo all'altro; infine, la negligenza delle ricerche su un materiale documentario scarso e deteriorato. La tradizione popolare fissava l'origine del Monastero alla morte di un certo Giovanni Lucis, onorato cittadino di questa patria, uomo pio e facoltoso, la cui casa era situata dove oggi sorge il Convento, presso l'antica Rocca di Billi, che, in passato, costituiva una comunità separata dalla Penna. Si raccontava, e si credeva, che la moglie del Lucis ed alcune figlie o sorelle a lui sopravvissute, vivendo devotamente nella stessa casa, invitassero altre donne ad una comune convivenza, vestendo sin dall'inizio, o dopo qualche tempo, l'abito delle Suore Umiliate e che in questo Convento fosse professata la Regola di tale Ordine finché non fu soppresso. Le notizie che qui di seguito ho ricavato da Atti autentici conservati nell'Archivio della Città e da ciò che resta di antiche carte del Monastero dimostreranno chiaramente quanto tutto ciò sia lontano dalla verità. Non posso tuttavia negare, né mettere in dubbio, il merito di Giovanni Lucis, confermato da tutti i documenti, di essere il primo Fondatore del Convento delle Suore della Città della Penna. E' invece assolutamente falso che il Monastero sorgesse solo dopo la sua morte in quanto, per smentire chi fosse d'opinione contraria, sono sufficienti gli Atti dallo stesso Lucci istruiti, nella sua veste di Procuratore del Monastero; vi sono inoltre scritture che dimostrano ampiamente la sua sopravvivenza alla fondazione del Convento, di cui riferiremo in seguito e di cui sono prova "soprabbondante" i Rogiti di Bernardo di Filippo de' Berardi da Monte Tassi, già conservati nella Cancelleria Vescovile della Valle. Si leggeva in tali Rogiti che Papa Leone X, avendo concordato di cedere ai Fiorentini la contea del Montefeltro per compensarli delle ingenti spese sostenute nella guerra contro Francesco Maria della Rovere, cui era stato tolto il Ducato d'Urbino, aveva incaricato Ennio Filonardi, Vescovo di Veroli, di perfezionare tale cessione. Pertanto nel mese di luglio del 1520 ne fu dato il possesso a Francesco Vittorio, Commissario della Repubblica Fiorentina. Fu indetta allora in Montecerignone un'adunanza dei Deputati della Provincia Feretrana perché prestassero giuramento di fedeltà nelle mani del Commissario Fiorentino. In tale occasione, Giovanni Lucis, considerato uno degli uomini più autorevoli, saggi e capaci del Montefeltro, fu delegato a rappresentare la Città della Penna dei Billi per rispondere ai forbiti discorsi dei commissari Pontificio e Fiorentino.

A tale proposito i Rogiti di Bernardo De' Bernardi ci informano che il Lucis vinto dall'emozione o tradito dalla memoria, perse il filo del discorso e si impappinò, ma ci informano anche che in quell'anno in cui, per altro, il Monastero era già fondato, egli viveva ancora. Tuttavia la testimonianza più inconfutabile che egli sia vissuto almeno altri cinque anni dopo il 1520 ci viene dal suo ultimo testamento, rogato da Montaino Mastini il 1° Maggio 1525, nel quale nominò le Suore stesse eredi universali di tutte le sue sostanze. Se ne deduce quindi che, se anche fosse mancato nell'anno stesso in cui fu redatto il testamento, il Monastero era stato già fondato almeno otto anni prima. Per esattezza bisogna sapere che Giovanni Lucis, pur avendo stabilito in un precedente testamento che dal suo patrimonio si dovesse erigere il Monastero dopo la sua morte, decise poi di realizzare egli stesso, mentre era ancora in vita, ciò che si era prefisso, anziché affidarne ad altri la successiva esecuzione. Fra i vari Ordini Regolari prese in considerazione quello degli Umiliati, la cui Regola si professava nel Monastero di S. Matteo di Rimini e volle che proprio da questo Convento fossero prese le fondatrici di quello che progettava di erigere alla Penna; volle anche che fra i due Conventi si stabilisse una tale fusione e corrispondenza di aiuti spirituali e materiale da formare un'unica Comunità Religiosa, anche se situati in due diverse località. Questo suo desiderio fu successivamente sancito nell'Atto di Donazione che dice testualmente: (voglio) "inoltre, che il suddetto Monastero, o Chiostro di S. Antonio da Padova, sia, debba essere unito col Monastero di S. Matteo di Rimini, delle Suore Umiliate di S. Benedetto, presso le mura della città e che diventi un solo, unico Monastero, e come tale, con l'aiuto dell'altro possa vivere in modo migliore e più vantaggioso, soccorrere ed essere assistito nei bisogni e nelle necessità". Comunicò la sua proposta ed iniziò allora una corrispondenza epistolare col Generale degli Umiliati che era in quel tempo Gerolamo Lambriano, da cui ebbe il 29 Giugno 1518 la seguente risposta: "Messer Giovanni mio, conoscendo la vostra altissima devozione al mio Ordine e in particolare al Monastero di S. Matteo, sono tanto ben disposto verso voi che nulla potrebbe aumentare l'amore che a buon mento vi porto. Perciò, dovendo inviare il venerando Signor Prevosto di Bologna, con l'incarico di visitare le Suore di detto Ordine, non ho voluto che partisse senza questa lettera ecc ... Cremona 29 Giugno 1518 - Gerolamo Lambriani, Generale degli Umiliati"

Gli promise poi una sua visita personale nel mese di Settembre per concordare la faccenda in ogni dettaglio. Nel frattempo il Lucis si adoperò per predisporre le cose e soprattutto per acquistare la casa di Caterina, moglie di Gianbattista Fumarelli, da cui costruire la Chiesa per le Monache. Il 14 Giugno 1518 ne fece fare la stima dai Penti Pubblici ma l'acquisto effettivo avvenne all'inizio del 1519, come dirò più avanti. Concordate così le cose, il primo giorno del Settembre 1518, Giovanni Lucis fece un'ampia donazione di tutte le sue case, possedimenti e diritti al Monastero in costruzione, con un atto autografo (esistente nell'Archivio della Città - Atti di Gabriele Gabrielli) che comincia cosi: "L'egregio e spettabile Signor Giovanni Lucio de Lucis, del Castello di Billi, della Diocesi Feretrana" e che in sostanza si riduce a questo: che egli dona al Monastero di S. Antonio da Padova "costruito e da costruirsi... ogni cosa e tutti i beni stabili del medesimo Ser Giovanni, esistenti nella Curia e nel territorio del suddetto Castello della Penna dei Billi e le case per la costruzione del suddetto Monastero nel suddetto castello ecc." poi, riservato all'uso proprio e della moglie le sole tre stanze del primo cortile che abitava, alcuni appezzamenti di terreno, di cui potesse disporre fino alla morte, oltre alle masserizie, crediti ed animali che gli erano necessari, passa ad obbligare le Monache a somministrargli per tutta la vita sua e di sua moglie, donna Giovanna, vitto, vestiario e cavallo; ad accettare le figlie di Paolo Lucis, suo nipote, e quelle di Santa Lucis che volessero essere suore, senza alcuna dote; ad accettare inoltre tutte le altre della sua famiglia, del parentado ed anche la sua domestica, purché fossero di sani ed onesti costumi ed avessero vocazione religiosa, con quella sola dote che fosse loro possibile portare. A questo punto però, è opportuno informare che se la donazione del Lucis fu solennemente stipulata con un atto del 1° Settembre 1518, la prima fondazione del Monastero può fissarsi nel precedente anno 1517. Parecchi motivi legittimano questa affermazione: innanzitutto la frase della suddetta Carta di donazione che dice "Monastero costruito e da costruirsi"; il che significa che la costruzione era già iniziata e che ne restava una parte da costruire. Se invece il Monastero fosse stato ancora una semplice intenzione del suo fondatore, avrebbe detto "Monastero da costruirsi".

Una ulteriore prova di ciò si rileva nello stesso Atto, là dove precisa che erano già arrivate nel Monastero alcune suore e che vi si era stabilita anche la Superiora. L'Atto dice infatti: "...costruito e da costruirsi nelle proprietà del suddetto signor Giovanni, nel castello di Billi, cioè alle venerabili madri, Donna Emilia Benzi, abbadessa dello stesso Monastero, suor Veronica Borindini, suor Vittoria Piergentina Rinolfi, Suor Lucretia Rigati, suor Costanza Benzia de Nobia". Abbiamo una ulteriore riprova di ciò in due Atti istruiti dal Notaio Gabrielli l'11 e il 16 Gennaio 1518 che si concludono così: "Compilato nel Monastero recentemente ottenuto dalle Monache di S. Benedetto di Rimini, situato nel castello di Billi". Quindi, all'inizio del 1518, il Monastero anche se da poco, era già stato acquisito dalle Monache. Un'altra definitiva prova la troviamo nel testamento rogato il 27 Ottobre 1517 da Brunero Mastini della Penna, in cui si legge così: "... e anche che la Signora Anastasia lascia la propria figlia legittima, Cecilia, Suora dell'Ordine delle Suore Umiliate, erede naturale di otto ducati, che, la suddetta Cecilia dichiarò d'aver avuto e d'aver ricevuto quando entrò a far parte del suddetto Ordine religioso". Dunque, fino dal 1517, alla Penna c'erano già le Suore Umiliate, che accoglievano converse; quindi si era già dato un qualche avvio al convento, anche se le cose sarebbero state stabilite in modo autentico e solenne solo nell'anno successivo. Non appena stabilita, dopo la donazione del Lucis, la dote al nascente Monastero, le Suore Fondatrici ricorsero al Vicario del Duca d'Urbino (che era in quegli anni Lorenzo de' Medici), perché la convalidasse e porgesse al Convento, quasi più ideato che eretto, qualche soccorso. Trascriviamo interamente tale Supplica nella stessa semplicità di stile in cui fu allora concepita, per meglio chiarire i fatti e confermare le cose da noi dette: "Si supplica umilmente Vostra Signoria da parte delle devote spose di Cristo, Suore Umiliate di S. Antonio da Padova dei Billi, che espongono a V.S. come il Signor Giovanni Lucci ha voluto ciò che aveva promesso e fatto convalidare e confermare con testamento per vera donazione e concessione, come la V.S. potrà vedere dal Rogito del Notaio Gabrielli. Per la qual cosa, fiduciose nella clemenza e nella gradita promessa di V.S. umilmente domandano e pregano di essere loro sostenitore fautore e benefattore nelle loro necessità. Chiedono una valida autorizzazione scritta, per il suddetto donatore, di poter cedere i suoi beni a questo sacro Monastero per sostenere e alimentare queste venerande madri, Serve di Cristo. Domandano inoltre che V.S. faccia loro dare qualche aiuto e sussidio per poter edificare o finire questa Santa opera iniziata come promesso nei giorni passati. Chiedono anche che per la fabbrica della Chiesa e del dormitorio sia loro concesso di prendere le pietre di questi muri diroccati ed i conci per la porta della chiesa; di questo, V.S., ne faccia l'autorizzazione per iscritto". Le pietre che le Suore domandavano erano quelle della contigua Rocca dei Billi, diroccata, probabilmente, per mandato dello stesso Duca che, come racconta Berardo, Notaio di Monte Tassi, fece smantellare tutte quelle del Montefeltro; era quindi una cosa vantaggiosissima chiederne le pietre, per utilizzarle nella fabbrica del Monastero. "Pregano anche che sia loro data, ogni anno, una soma di sale... domandano poi che V.S. le esenti dalle tasse secolari e dal Focatico e che Giovanni Lucci, donatore, sia sollevato, esentato, da obblighi e gravezze secolari... dopo che dette Suore vennero a stare qui e presero possesso dei suoi beni... Domandano ancora, le suddette Suore, che sia loro concesso, con bolletta di V.S. di poter mandare, qualche volta, un paio di capretti, di agnelli, qualche paio di piccioni e polli o formaggio o altre simili cose che possano occorrere alle Suore Umiliate di S. Matteo di Rimini, loro Sorelle in Cristo e che anche esse, a loro volta, possano mandare del pesce, olio, vino ed altre cose che sono laggiù, affinché i due Monasteri possano aiutarsi l'un l'altro, perché sono uniti assieme.

Pregano altresì, che V.S. si degni scrivere a questa comunità e al Vicariato che aiutino con interventi opportuni e con qualche opera manuale affinché più rapidamente possano finire questa santa opera per poter in essa lodare il Sommo Iddio.... e pregarlo sempre in tutte le nostre orazioni che conservi ed aumenti in felicità l'Eccellenza del Signor Duca e l'eccellentissima casa de' Medici e Vostra Signoria Munificentissima, alla quale umilmente, amorevolmente, devotamente ci raccomandiamo". L'assenso del Duca fu comunicato alle Monache il 9 Settembre del 1518. Con tali aiuti richiesti al Duca e altre offerte di varia provenienza, poterono acquistare il sito per costruire la Chiesa. Come si è detto sopra, fu Caterina Fumarelli che, per 180 lire di denari, il 10 Febbraio 1519 cedette, a Giovanni Lucci ed alla Veneranda Madre Suor Laura Galvani di Rimini, una casa terrazzata, lungo la ripa del Comune e la strada pubblica. Dopo l'acquisto si pose mano alla costruzione della Chiesa con tale slancio e sollecitudine, che nello stesso anno, se non del tutto rifinita, risultò sostanzialmente completata. Leggiamo infatti, in un atto del 9 Gennaio 1520: "Stipulato nella Chiesa del Monastero", mentre nelle scritture precedenti compare sempre la formula "Stipulato nella Casa del Monastero". Lo stesso atto ci informa anche che in quel periodo, essendo stati divisi gli ordini religiosi in compartimenti provinciali, il Convento delle Umiliate della Penna e quello di Rimini, dipendevano dalla Prepositura di Bologna. Per stabilire poi chi sia stata la prima Superiora e fondatrice del convento delle Umiliate della Penna, è opportuno considerare che, sebbene la tradizione orale e alcuni documenti ci suggeriscono il nome di Suor Laura Galvani, sia più rispondente al vero attribuire tale carica a Suor Emilia Benzi. E' utile ricordare, a conferma di ciò, che l'atto di donazione del Lucci del 1 Settembre 1518 dice espressamente "Veneranda madre Signora Emilia Benzi, Abbadessa dello stesso Monastero"; identica espressione troviamo in un precedente documento in data 11 Gennaio dello stesso anno, in cui tale Giovanni Fanini si riconosce debitore della "Madre Suor Emilia della nobile famiglia de' Benzi, Patrizia riminese, Superiora delle Suore Umiliate del Monastero di S. Antonio, per la dote della Sorella Agnese. Tali fatti ci inducono a concludere che Suor Emilia Benzi, già Abbadessa del Monastero ai Rimini, al momento della fusione con quella della Penna, divenisse di fatto Abbadessa delle due comunità, continuando a vivere nel proprio convento d'origine, e nominando Vicaria, in quello della Penna, Suor Laura Galvani, anche lei riminese. Non è facile stabilire per quanto tempo Suor Laura Galvani continuasse a dirigere, con l'incarico di Vicaria, il Monastero della Penna. La troviamo nominata in parecchi documenti del 1519 e del 1520. E' certo però che dopo alcuni anni tornò al Convento di Rimini dove nel 1542, fu eletta Ministra e dove, il 1 Febbraio del 1567, passò a miglior vita.

Apprendiamo tale notizia da una lettera datata 4 Aprile 1657, scritta dalla Abbadessa di S. Matteo di Rimini, alla Abbadessa della Penna Suor Margherita Magnoni, che chiedeva qualche notizia relativa alla strettissima unione iniziale dei due Conventi. Sotto la reggenza di tanto solerte Vicaria, qual era Suor Laura Galvani, e di quelle che le succedettero nell'incarico, il Convento progredì notevolmente sia nella costruzione che nel numero delle religiose, fra le quali chiesero l'abito, dopo la morte del fondatore Giovanni Lucci, sua moglie e la domestica. Tra gli altri, troviamo i loro nomi in una atto di permuta del 27 Giugno 1539, che si conclude così: "Sono intervenute a questo capitolo la Reverenda Madre Suor Elisabetta f. di Gasparino Mastini della Penna, Onorevole Vicana di detto Monastero; Suor Marta, moglie del fu Egregio signore Giovanni Lucci dei Billi; Suor Cecilia e Suor Angela f. di Brumoro Mastini della Penna; Suor Emilia f. di Giovanni Santi di Lunano; Suor Agnese, figlia di Pietro Fanini Suor Deodata figlia di Giovanni Bedini Zucchi; Suor Lavinia di Paolo Lucci della Penna; Suor Lucrezia f. del Magnifico Signor Conte Lamberto Malatesta di Sogliano; Suor Caterina f. di Benedetto della Torricella; Suor Appollonia f. di Amedeo Marchetti; Suor Margherita f. di Agostino Buti dei Billi Suor Colomba, f. di Pietro Lucrezio Lucci di Marcato Saraceno, tutte suore professe dell'Ordine delle Umiliate, conventuali, tutte, di questo Monastero.

A proposito del Capitolo suddetto, convocato 22 anni dopo la nascita del Monastero, bisogna dire che la Superiora del Convento della Penna continuò a chiamarsi Vicaria per molti anni ancora. Solo da un Atto di retrovendita, in data 28 Febbraio 1566, apprendiamo che in seguito il Monastero della Penna cominciò ad avere, oltre la Vicaria, anche una propria Abbadessa, ma non sappiamo quando e perché ciò sia avvenuto - Dice l'Atto: "D. Antonio Cipriani della Penna dei Billi diede, cedette, retrovendette alle Venerabili Madri Angela e Luciana, rispettivamente Abbadessa e Vicaria del Monastero delle Monache ecc...". Non durò a lungo, il Monastero della Penna a militare nella Regola delle Umiliate perché tale Ordine, arricchitosi fuor di misura per le indebite appropriazioni dei Superiori che avrebbero dovuto essere integerrimi e fedeli amministratori, cadde così in profonda rilassatezza che non bastarono a porvi riparo tutto lo zelo e la saggezza del Cardinale S. Carlo Borromeo, Protettore di queil'Ordine, accreditato di piena autorità dal Pontefice, Per questo motivo e più ancora per l'orrendo attentato di alcuni degli Umiliati (comperato con 40 scudi il Sacerdote Girolamo Donato, soprannominato Farina, tentarono di dare la morte al Santo cardinale che per puro miracolo poté salvarsi), il Pontefice S. Pio V decise di sopprimere il suddetto Ordine con Bolla dell'8 febbraio 1571. Tuttavia, nella soppressione generale degli Umiliati, non vennero compresi tutti i Monasteri di Monache, tant'é vero che alcuni esistono tutt'ora. Fu, purtroppo, casualmente compreso, con quello di S. Matteo di Rimini, anche questo di S. Antonio della Penna. Così, dopo soli 54 anni di militanza nell'Ordine degli Umiliati, il Monastero rimase senza regola, senza direzione e senza capi, per un lasso di tempo quasi altrettanto lungo, cioé fino al 1624. Questa fu la ragione per cui la Comunità claustrale si ridusse tanto di numero da far temere che il Monastero restasse del tutto disabitato. - In un Capitolo adunatosi il 25 Febbraio 1621, le poche superstiti riferirono che, da 24 che erano in passato, si erano ndotte a 6: Suor Giustina Franchini, Suor Petronilla Cerbari, Suor Lavinia Fracassi, Suor Laura Fuffi, Suor Cornelia Luzzi, e Suor Marghenta, di cui non è espresso il cognome.

Le buone Suore, preoccupate per la continua, naturale riduzione del loro numero e per L'impossibilità di ammettere nuove giovani, fecero in varie occasioni le istanze più accorate per essere aggregate a qualche Ordine regolare, purtroppo, senza risultato. Il Cielo esaudì il loro ardente desiderio nel 1624, quando giunse alla Penna il Pio Domenicano Padre E Marco del convento di S. Domenico di Urbino. Nativo di S. Lorenzo in Campo, Diocesi di Fossombrone, Padre E marco, all'età di 19 anni, abbandonò il secolo, scelse l'ordine di S. Domenico e ne ottenne l'ammissione nel Convento di Urbino. Fece il Noviziato nel Monastero dei Frati Predicatori di Ancona e dopo un anno, avvicinandosi il giorno della Professione dei Voti, fece presso un Pubblico Notaio l'Atto di Rinuncia, a favore dei fratelli, di tutte le ricchezze e proprietà che per eredità gli sarebbero venute dal padre e dalla madre. Dopo la Professione dei Voti, secondo l'uso Domenicano, si applicò con profitto agli studi, per praticare la Santa Predicazione. Nel 1624, appunto, all'età di 36 anni, fu chiamato alla Penna per la predicazione Quaresimale.

Fu proprio con Padre E Marco, Domenicano, che si abboccarono le poche Suore rimaste in vita, prospettandogli la imminente e irreparabile fine del loro Monastero se non fosse stato aggregato a qualche Ordine approvato e regolare, Padre E Marco propose loro la regola osservata da S. Caterina da Siena, cioé quella di S. Domenico. Le religiose accettarono concordemente e di buon grado tale proposta del Padre Predicatore e, senza indugio, egli verbalmente ed esse per iscritto, ne trattarono col Vescovo Consalvo Durante che risiedeva allora nell'abbazia di Valle S. Anastasio. Il consenso del Vescovo fu immediato. Si incaricò della risposta il Vicario Guido Sagerini che a nome del Vescovo scrisse all'Abbadessa Suor Laura Fuffi in questi precisi termini: "Viene ora esposto a Monsignor Vescovo Illustrissimo dal M.R, Padre F. Marco di S. Lorenzo, Domenicano, la buona intenzione che ha la Veneranda Madre, assieme alle altre Monache di aggregarsi alla regola di S. Caterina da Siena. Ciò è sommamente piaciuto, tanto più che, quando Sua Signoria Illustrissima visitò il Monastero nei mesi passati, ordinò che si venisse a qualche determinazione, non parendo cosa conveniente che si sia vissuto per il passato, dalle Madri che vi sono state, per tanto tempo senza una regola espressa. Per ordine, dunque, del suddetto Monsignore, Vi faccio intendere che non solo viene approvata tale risoluzione, ma le comanda espressamente a persistere in tale santo proposito ed a porlo effettivamente in esecuzione, tanto più che ciò viene facilitato dall'aiuto e dal favore del suddetto Padre E Marco, Predicatore, che già si è offerto di procurare Costituzioni e Regola di S. Caterina, sotto la quale dovranno militare. Mentre, dunque, si stà attendendo l'effetto di questa mia, mi offro con tutto l'animo e prego da Dio ogni bene. Valle, 18 Marzo 1624".

Con questa lettera Padre E. Marco si recò al Monastero e alla presenza dei Canonici Feretrani Roberto Marconi, e Nicolò Gianetto, confessore delle Monache, di Giovanni Santo Stefanio, loro Sindaco e di Gino Palmerini, Notaio, convocò le 6 monache che lo componevano, per la stipula del seguente Atto, che porta la data del 20 Marzo 1624: "Intesa la lettera di Monsignor vescovo, di buon animo accettiamo la regola e le Costituzioni dell'ordine della Gloriosa Vergine Santa Caterina di Siena. Promettiamo con l'aiuto del Signore, della Vergine Maria e l'intercessione di S. Caterina di militare, vivere e morire in grazia di Dio in questa Santa Religione, Regola e Costituzioni. Preghiamo inoltre, Voi, Padre Predicatore, di continuare la Pia fatica che avete cominciato, di procurarci la Regola, i privilegi e le indulgenze che hanno gli altri Monasteri e Monache che sono sotto la tanto celebre e illustre Religione Domenicana". La S. Congregazione convalidò tale Atto in data 7 Ottobre 1625. Ma Padre Marco, che era alla Penna solo di passaggio, per predicare la Quaresima, dovette, subito dopo, tornare al Convento da cui era partito. Non gli fu quindi possibile dare alle nuove Suore Domenicane un'istruzione completa circa l'Ufficio del Coro, secondo il rito del loro Ordine e l'esatta obbedienza alle Costituzioni Domenicane. Procurò allora una Regola stampata e tradotta in italiano che lasciò alle Suore, con quelle poche direttive che in tanta ristrettezza di tempo gli fu possibile dare. Tornato poi nel suo Convento di Urbino, riprese la sua vita di devozione e d'apostolato che si concluse il 6 Luglio 1637.

Tuttavia le Suore, ormai ridotte a cinque, trassero ottimo profitto dagli insegnamenti ricevuti in così breve tempo: Sistemate in breve le cose, dettero al Monastero una nuova e migliore gestione instaurando un sistema di vita collettiva tale da attrarre parecchie giovani, sia della Penna che dei luoghi circonvicini. In soli 2 anni chiesero di entrare in convento 14 giovani; 16 anni dopo se ne contavano venti. In una lettera, scritta ai Vescovo nel l046, ne troviamo i nomi, sottoscritti personalmente: S. Giustina Franchini - Abbadessa, S. Petronilla Cerbari - Vicana, S. Laura Fuffi, S. Comelia Luzzi, S. Caterina Maggi, S. Mana Marconi, S. Isabella Agostini, S. Francesca Rucchi, S. Maddalena Franchini, S. Angela Tassoni, S. Alessandra Marconi, S. Domenica Giavarotti, S. Agnesa Giorgetti, S. Apollonia Galattelli, S. Chiara Zucchi, S. Girolama Franchini, S. Anna Maria Savelli, S. Francesca Onofri, più due Converse, cioè Gaspara Mastini e Livia Teresa Fabbroni. Secondo il Decreto della S. Congregazione, il Monastero avrebbe potuto accogliere fino a 24 Professe, più le converse, quante, solitamente, sono ai nostri giorni. A questo punto mi sembrano bastevoli le cose dette, per trarre dall'oscurità e chiarire l'origine del Convento della Penna. Lascio volentieri ad altri l'onere di scrivere cosa sia avvenuto negli ·ni successivi, o anche quelle cose che, sugli scarsi e antichi documenti, io non abbia rilevato o, per meglio dire, abbia volutamente tralasciato. Il mio unico scopo è stato quello di narrarvi quale sia stata la nascita di questo Monastero, la sua primitiva organizzazione e, infine, quando e come sia stato aggregato alla nostra Regola Domenicana.

 

FONTI DOCUMENTARIE

- Rogiti di Berardo de Berardi - Cancelleria Vescovile della Valle;

- Rogiti di Montaino Mastini - Archivio della Città;

- Atti di Francesco Olivieri - Archivio della Città;

- Carteggio del Monastero di S. Antonio da Padova;

- Atti di Francesco Zucchi - Archivio della Città;

- Storia degli ordini Monastici - Tradotta dal Fontana e stampata in Lucca;

- Cancelleria Vescovile della Penna;

- Archivio del Convento di S. Domenico di Urbino;

- Rogiti di Gino Palmerini - Archivio della Città.

 

2) Memorie sul monastero di una badessa d'inizio Novecento

Il Monastero di S. Antonio prosperava già da quasi due secoli (Per l'esattezza è utile ricordare che dall'Aggregazione all'0rdine Domenicano (1624), al Decreto Napoleonico di espulsione claustrale (1810), intercorrono esattamente 186 anni. Per ricapitolare la cronologia religiosa del Monastero elenchiamo in successione i vari Ordini di appartenenza delle Monache di Pennabilli: - Umiliate (1517-1571) - 54 anni - Senza Regola (1571-1624) - 53 anni - Domenicane (1624-1816) - 192 anni -Agostiniane (1816- ... Per quanto concerne la cronologia storica, invece, rileviamo che dall'ultima notizia fornitaci dal Contarini sul Convento (risalente al 1646), alla "Continuazione delle Memorie" che riprendono dal 1810, intercorrono 164 anni di vuoto totale, impossibili da colmare) e le Monache, aggregatesi all'Ordine Domenicano, vi conducevano la propria specchiata esistenza, quando Dio, nei suoi disegni imperscrutabili, permise che la Chiesa e specialmente gli ordini regolari, soffrissero, in gran parte del mondo cattolico, la più ostinata persecuzione. Dalla Francia si propagò in Italia, dove, lo stesso Stato Pontificio fu assoggettato alla comune sciagura. Napoleone, eletto Imperatore dei Francesi (1804) e Re d'Italia (1805), usurpato il Dominio temporale della Chiesa (1808), proibì a chiunque, la Professione dei Sacri Voti; condusse in schiavitù lo stesso Pontefice ed i più alti Prelati della Chiesa e infine, con decreto del 25 Aprile 1810, obbligò le Suore e tutti i Claustrali ad uscire dai loro Conventi. Rimase quindi deserto anche il Monastero di questa Città, assieme agli altri monasteri di Pietrarubbia, di Macerata Feltria, di S. Agata e di Montecerignone.

Sciolte così le Comunità Religiose, alcune Suore rientrarono in seno alle proprie famiglie, altre trovarono asilo presso persone affidabili, in devota attesa del lieto giorno in cui il Signore avrebbe allontanato la momentanea tempesta. Giunse poi, secondo i disegni della Divina Provvidenza, il felice tempo (1814) della riapertura dei Sacri Chiostri, con l'immortale Pio VII: Gerarca Supremo della Chiesa, era reduce dal lungo esilio coi Cardinali e i Vescovi, tra i quali merita speciale menzione il Pastore di questa Diocesi, Monsignor Antonio dei Conti Begni, che, appena giunto nella sua Sede, si prefisse come compito primario quello di ristabilire gli Ordini Religiosi del Montefeltro, nominando una Congregazione di scelti Cardinali perché proponessero il più utile espediente per raggiungere sì lodevole scopo. Sorsero purtroppo difficoltà gravissime per cui non poté subito esaudire i pii desideri del Pontefice. Intanto, però Monsignor Antonio Begni, chiamata dalla casa materna Madre Teresa Margherita Cavalieri, ultima Badessa del Monastero di questa Città e sentite le Religiose della sua Diocesi, si adoperò con tutte le forze per ridare nuova vita ai Chiostri delle Monache già chiusi, devastati e manchevoli di ogni suppellettile. Ritenne di dover escludere dal progetto di riapertura, per l'infelicissima ubicazione e per la mancanza dei conforti più necessari ad una Comunità, il solo Monastero di S. Giovanni Battista di Pietrarubbia, lodato, peraltro, sin nelle più antiche relazioni di visita dei Vescovi Feretrani. Monsignor Begni, poi, solerte Pastore, per dare nuovo asilo alle Monache di detto Monastero, di cui un buon numero, rispetto al nucleo preesistente, era ancora in vita, decise di unirle alle poche superstiti di S. Antonio della Penna.

Le Monache Domenicane di Pennabilli e le Agostiniane di Pietrarubbia non potevano, però, nonostante la fusione conventuale, praticare 2 Regole diverse nell'ambito dello Stesso Monastero. Fu deciso quindi, col consenso unanime delle Religiose e con licenza del Sommo Pontefice, accordata mediante un rescritto dalla S. Congregazione dei Regolari, datato 14 Giugno 1816, che si osservasse la Regola Agostiniana già professata dalle Religiose di Pietrarubbia, le quali costituivano la maggior parte delle Suore riunitesi nel Monastero di Pennabilli. Così predisposte le cose, Monsignor vescovo, col consenso della S. Commissione appositamente deputata, stabilita la dotazione per il mantenimento delle Suore, ordinò i necessari restauri alla fabbrica del Convento, affidando alla suddetta Madre Teresa Margherita Cavalieri la cura di riportare tutto allo stato primitivo e di recuperare gli Arredi Sacri della Chiesa da chi li deteneva, per acquisto fattone o per concessione d'uso - dopo che la menzionata Badessa ebbe, con piena soddisfazione del Vescovo, superato il difficile incarico, si unirono nel Monastero di S. Antonio 24 Suore: Teresa Margherita Cavalieri - Anna Teresa Venturini - Reginalda Venturini e Lucrezia Ciacci, già coriste Domenicane alla Penna, Nicola Ferri - Maddalena Balducci - Serafina Capelli - Cecilia Salvi - Anna Maria Santinelli - Giovanna Bagnolini - Luigia Biandi - Crocefissa Forduna - Colomba Carigi e Annunciata Carigi, coriste Agostiniane in Pietrarubbia, inoltre, 10 converse e cioè Vincenza Mazzarini - Lucia Mariani - Gioseffa Agostini - Fortuna Vedini - Caterina Vedini Maddalena Petrucci, Domenicane; Rosa Menghini - Teresa Muccioli - Caterina Fabbri - Chiara Lattanzi, Agostiniane.

Il giorno 28 Agosto commemorativo del Santo Vescovo e Dottore della Chiesa Agostino, la cui Regola si sarebbe stabilita nel Monastero di Pennabilli, fu scelto per la vestizione delle Converse e per la professione dei Voti. Le religiose si prepararono alla nuova, solenne vestizione con un ritiro di dieci giorni, impiegati in Santi Esercizi e, con un devoto Triduo, alla festa del Santo Patriarca ed alla Funzione Religiosa. Giunto poi il lietissimo giorno, Monsignor Vescovo si portò alla Chiesa del Monastero e, celebrata la Santa Messa, lesse un'analoga, elegante Omelia, dopodiché vestì dei sacri abiti, benedetti il giorno precedente, le fervorose Vergini e ricevette dalle religiose che prima erano Domenicane la promessa giurata di osservare da allora in poi la Regola dell'Ordine di S. Agostino, vivendo in perpetua clausura e, dale altre, già Agostiniane, la conferma della loro primitiva Professione. Compiuto così il Sacro Rito, Monsignor Vescovo assistette alla elezione delle Madre Abbadessa e Vicaria. Mediante uno scrutinio segreto risultò Superiora la Madre Teresa Margherita Cavalieri, che era già badessa del Monastero prima della soppressione e, con uguale, concorde partito, risultò Vicaria la Madre Nicola Ferri, già Abbadessa in Pietrarubbia. Benedette l'una e l'altra dal Pio Prelato, la funzione terminò con l'Inno Eucaristico.

Per seguire poi la chiara volontà del Sommo Pontefice, fu stabilito che tutte le Religiose, presenti e future, abbracciassero la "Vita Comune" per "maggior perfezione" delle sacre vergini, alle quali, Monsignor Vescovo accordò il favore della S. Comunione quotidiana. Nella seguente solennità di Ognissanti, fu invece il Confessore Ordinario del Monastero che vestì delle Sacre Lane le Religiose corali Mariangela Laghi e Fortunata Sandini, del soppresso Monastero di Pietrarubbia, che, per indisposizione di salute, non poterono prima unirsi alle altre Consorelle. Nel 1860 il governo Piemontese, invaso lo Stato Pontificio, costituì il Nuovo Regno d'Italia. Il Commissario per le Marche, Lorenzo Tiraleno, con decreto del 3 gennaio 1861 ordinava la soppressione degli Ordini Religiosi e l'incameramento dei loro beni. Il Parlamento di Firenze confermava, poi, tale ordinanza con le Leggi del 22 Giugno e 7 Luglio 1866. Anche il Nostro Monastero, quindi, retto dall'Abbadessa Madre Maria Antonia Begni, fu spogliato di tutti i suoi beni (Di tali beni, in seguito, con grandi sacrifici, fu possibile recuperate all'Asta Pubblica solo il podere di S. Lorenzo e la casa Fattoria-Foresteria. Il podere dei Billi, invece fu riacquistato da chi ne era già divenuto possessore).

La Comunità si ridusse così ad uno stato di estremo bisogno, costretta a vivere, quasi esclusivamente con le miserevoli pensioni (£. 29,70 mensili), assegnate alle Monache già professe. Inoltre, il fabbricato stesso del Monastero (confiscato fin dal 1861, inventariato di tutto ciò che conteneva da un delegato di Pubblica Sicurezza che, accompagnato da altre persone, violò la Clausura e vi fece irruzione), poté essere abitato solo dalle Monache già professe. Tale concessione, ottenuta dietro domanda delle Monache, come prevedeva la legge, sarebbe cessata con la morte dell'ultima Religiosa, essendo il fabbricato proprietà del Demanio che ne pagava i restauri e le spese di ordinaria manutenzione. Accadde poi che l'Intendenza di Finanza di Pesaro, mentre dal 16 gennaio 1891 erano ancora viventi 6 Monache Professe, chiese al Municipio di Pennabilli l'elenco delle Religiose esistenti in Convento per concentrarle, con le Francescane, nel Convento di S. Chiara di S. Agata Feltria. Per compilare tale elenco le Monache senza pensione dovettero vestirsi da secolari per figurare come inservienti delle altre. Si sollevò una lunga controversia riguardo Suor Raffaella Mazza e Suor Chiara Muti che si dissero professe; si ricompose la questione quando si dichiarò che avevano già professato prima della soppressione, ma senza ufficialità e solennità, nei giorni precari della mutazione del Governo. Intanto, con l'aiuto del Signore, restava fermo anche il progetto di concentramento a S. Agata. Infatti l'intendenza di Finanza chiese al Municipio di Pennabilli (22 Aprile 1891) se, come la legge prevedeva, volesse ottenere la cessione del Monastero. Le clausole inerenti ne prevedevano l'uso al solo scopo di pubblica utilità e, se si riteneva necessario per motivi d'umanità, di destinarne una parte ad abitazione delle anziane Monache. Il 9 maggio dello stesso anno il Consiglio Comunale esprimeva voto favorevole su ambedue le proposte. Morivano nel frattempo tutte le Monache pensionate, l'ultima delle quali, Suor Teresa Reali, si addormentava nel Signore il 10 Agosto 1892. Di tale decesso, tuttavia, a causa del disordine regnante neglungo tempo; così le altre Monache poterono vivere indisturbate nella loro casa mentre il Comune trattava col Fondo Culto, con l'Intendenza di Finanza e col Ricevitore del Registro di S. Leo l'affare della cessione che andava per le lunghe in quanto il canone annuo di £. 5 per l'orto era ritenuto esoso; il Comune chiedeva, inoltre, che il contratto prevedesse il diritto di alienazione e la libertà di ogni restrizione.

Il diritto d'alienazione, nel caso in questione, era piuttosto controverso, dato che alcune sentenze giurisprudenziali dissentivano dalla legge che lo escludeva; era invece tassativa la regola che nei capitolati di vendita si doveva inserire la clausola che gli acquirenti degli ex Monasteri non potevano destinarli ad abitazione di qualsiasi Congregazione religiosa soppressa. Il Comune di Pennabilli avanzava queste richieste col lodevole scopo di conservare alle Agostiniane il loro Monastero. Identico proposito aveva espresso, all'inizio del 1894, il nostro grande protettore, zio della nostra Suor M. Giuseppa Giannotti, signor Giovanni Giannotti che aveva chiesto di acquistare il fabbricato. Ma l'intendenza di Finanza il 9 Maggio 1896 dichiarava di troncare ogni trattativa col Municipio giudicando inaccettabili le sue richieste e di rendere esecutiva la proposta di concentrare le Monache a S. Agata. Solo la promessa tempestiva (12 Maggio 1896) di tornare sulle proprie deliberazioni consentì al Municipio di scongiurare tale pericolo. Nuovo motivo di timore si ebbe il giorno dopo (l3 maggio 1896), quando, dopo accordi presi col demanio, giungeva a Pennabilli Suor Maria Giuseppina dell'Immacolata, al secolo Maria Baronessa Fabiano, napoletana, fondatrice delle Suore di Maria Immacolata, col proposito di ottenere il fabbricato del Monastero per sé e le sue Suore. Conquistato l'animo dei Superiori Ecclesiastici, visitò il Monastero ed espose il suo progetto di concederne una piccola parte alle Agostiniane rimaste, riservando per sé i locali migliori. Persuase, purtroppo anche molte persone della città, mentre le monache Agostiniane in lacrime, continuavano a confidare nel Signore, che non le abbandonò ma volse nuovamente a loro favore l'animo dei Superiori, mossi anche dalla fermezza di Suor M. Giuseppa Giannotti che si dichiarava pronta a trasferirsi piuttosto in altro Convento, portando con sé la propria dote, che costitutiva ormai la parte più sostanziosa dei beni della Comunità. Coi superiori, a poco a poco, anche la cittadinanza, sempre affezionata alle Monache ed alla badessa Suor Raffaella Mazza, mutò parere, tanto che, tornata di nuovo Suor M. Giuseppina Fabiano, subito capì che il favore incontrato precedentemente era del tutto svanito.

Si riprendevano intanto le trattative fra il Comune ed il Fondo Culto che l'8 Giugno 1896 presentava una nuova bozza di contratto nella quale si imponeva al Municipio l'obbligo di mantenere aperta al culto la Chiesa e di sostenerne le spese; si escludevano dalla cessione i mobili e gli oggetti d'arte, di cui si concedeva il solo uso. Si concedeva anche ospitalità, in una parte del fabbricato, alle Monache pensionate (che si credeva fossero ancora in vita), sottraendole, per la loro grave età, al decreto di concentramento in S. Agata Feltria. Nella suddetta bozza veniva concesso, finalmente, anche il diritto di alienazione libero da ogni altra restrizione, tranne quella, chiaramente specificata, che vietava l'uso dell'immobile come sede di una Congregazione religiosa disciolta.

II Comune accettò, in linea di massima, tutte le proposte ma, purtroppo, dovevano passare ancora molti anni prima di ottenere tutte le approvazioni necessarie, alcune delle quali venivano negate proprio perché dalla loro stessa formulazione emergeva con troppa evidenza il proposito di vendere. Intanto l'Intendenza di Finanza, venuta a conoscenza che tutte le Monache pensionate erano morte, ordinava al Ricevitore del Registro di S. Leo di riprendere possesso del fabbricato. Iniziano così per le povere Monache, gli ordini di sfratto che si ripeterono ben 4 volte, con l'ingiunzione di abbandonare la loro sacra dimora entro 60 giorni e la minaccia di far loro pagare l'affitto per il tempo che erano rimaste in Convento. Anche questa volta la benevolenza del Cielo allontanò il gravissimo pericolo: vegliavano, allora alla salvezza del Monastero, l'operosissimo Confessore e Sindaco Don Luigi Ricciardelli e il fedele fattore Cristoforo Farneti. Riuscirono sempre a scongiurare gli sfratti, prima ancora che ne fossero informate le stesse Monache. Furono assecondati in questa pia operazione dai Consiglieri di Pennabilli, quasi tutti favorevoli alle Monache e dall'interessamento di persone importanti come il Signor Bravura dell'Intendenza di Finanza di Pesaro, senza risparmiare fatiche, viaggi, spese, ansie e dispiaceri per tale caritatevole causa. Ogni volta, dopo qualche giorno di tensione angosciosa, passato tra lettere e telegrammi, ebbero sempre la consolazione del trionfo, riuscendo con risposte sibilline a far credere ai superiori che nel Convento non ci fossero più Monache. Il 12 Dicembre 1906, ad esempio, veniva richiesto se vi fossero ancora "Suore di carità" e quante.

Si poté rispondere semplicemente e senza menzogna che non ve n'era alcuna. Si viveva così in continua altalena e talvolta giungevano colpi dolorosi come quello del Decreto Reale del 20 Maggio 1897 che imponeva la chiusura della Chiesa, provocata da un'affermazione del locale Tenente dei Carabinieri che, interpellato in proposito, rispose senza troppo riflettere "non essere essa necessaria per la popolazione". Suggerì poi, utilmente, che per la riapertura si facesse un'istanza popolare. Si avvicinava, tuttavia, il giorno del trionfo. Il 29 Dicembre 1897, il Consiglio Comunale deliberava di accettare l'offerta del fabbricato del Monastero fatta dal Fondo Culto; di fare istanza presso i superiori per ottenere la facoltà di alienarlo (come da "bozza di contratto" proposta l'8 Giugno 1896), con promessa di usare il denaro ricavato a scopo di pubblica utilità, facendo rilevare che il cattivo stato dell'edificio avrebbe addossato al Comune un grave onere manutentivo; di vendere di fatto, appena ottenutone il permesso, Convento ed orto a Giovanni Giannotti affinché vi potessero restare le Suore, cui, nello stesso Atto Consigliare venivano rivolti non pochi elogi. Tale fatto fu approvato in ogni sua parte dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 29 Aprile 1898, con la sola clausola che il ricavato si erogasse in opere di pubblica utilità.

In seguito a tale approvazione, il Fondo Culto, considerando che sarebbe stato difficile disfarsi altrimenti dell'edificio, il cui valore era ormai stimabile quasi a livello di materiale, concesse i richiesti permessi di alienare. Il Comune stipulò il contratto di cessione con scrittura privata che fu poi autenticata dal Notaio Giovannini di S. Leo, il 22 Novembre 1898 e approvato con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia il 14 gennaio 1899. Disgraziatamente, con esagerato ottimismo, si ritenne che la faccenda fosse conclusa senza affrettarsi all'acquisto effettivo e definitivo, per cui le sfortunate Suore dovettero, per amore del Signore, affrontare un'ultima, dolorosa prova. Il 5 Gennaio 1900, il Prefetto di Pesaro respingeva l'istanza della popolazione per la riapertura della Chiesa ed avendo saputo che il Comune, contravvenendo alle disposizioni di legge, permetteva ad alcune Monache di rimanere nel Monastero, ne ordinava lo sfratto esecutivo. Fu provvidenziale, in tale frangente, l'oculatezza ed il favore del Sindaco G. B. Valentini e delle altre autorità che, in perfetto accordo, informando la Prefettura della necessità che la Chiesa fosse riaperta al Culto, ne ottennero l'immediata autorizzazione.

Il Sindaco suddetto, inoltre, in soli 5 giorni concluse con le Monache il contratto di vendita del Monastero per 1.500 Lire, più 800 di rimborso tasse pagate dal Municipio, più le spese di contratto. L'istrumento fu stipulato l'11 Gennaio 1900, con rogito del Notaio Ambrogio Manduchi, nel parlatorio del Monastero. Figurarono acquirenti 5 Monache coi loro nomi secolari, non ritenendosi più necessario l'intervento di Giannotti (Affinché potesse effettuarsi l'acquisto, concorse, con generosa elemosina di 1200 £, il Padre Salvatore Mazza, fratello della Badessa, commissario generale dei Francescani della repubblica Argentina; il resto fu prestato da Monsignor Vescovo). Si poteva finalmente ringraziare il Signore che aveva preparato il trionfo di un'impresa così travagliata e laboriosa. Lo fecero con gioia le Monache che dopo tanti timori, vedevano riaprirsi un nuovo periodo di vita feconda per il loro Monastero e, molto più, Lo ringraziarono le 6 novizie (Suor Rita Urbini di Mercato Saraceno; Suor Caterina Duranti di Rofelle; Suor Luisa e Suor Eletta Pacei, coriste, di Maciano; Suor Maddalena Moretti, conversa, di Pennabilli; Suor Agostina Palmieri, conversa, di Soanne) che il 28 Agosto 1900 poterono, dopo lunga attesa, vestire le sacre lane; prima seminagione, poi seguita da tante altre, che, con l'aiuto di Dio, avrebbe riportato il Monastero all'antico splendore.