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I POVERI CATTOLICI

Agostino vescovo con la tipica cocolla nera dei frati agostiniani

 

Agostino vescovo

 

 

I POVERI CATTOLICI

 

 

 

Con questa denominazione è conosciuto il gruppo fondato da Durando di Huesca a seguito della disputa tra Cattolici e Valdesi, tenuta a Pamiers, nel territorio di Tolosa (Francia), nell'estate del 1207, e conclusasi in favore dei Cattolici. Durando, discepolo e ammiratore di Valdo, teologo della primitiva società valdese, aveva abbandonato i suoi compagni catalano-francesi avendo intravisto, nel nuovo clima instaurato da Innocenzo III, la possibilità di portare avanti, all'interno della Chiesa e nella fedeltà alla stessa, l'impegno pauperistico-apostolico. Ne è riprova il titolo di «pauperes» conservato ai suoi discepoli zelanti predicatori evangelici viventi nella povertà più assoluta che pur intendono con lui professarsi «catholici ».

Accompagnato da alcuni dei suoi, tra i quali Giovanni di Narbona, Ermengardo e Bernardo di Béziers (appartenenti tutti alla Francia meridionale), Durando incontra a Roma Innocenzo III nel dicembre 1208. Il Papa, come notifica all'arcivescovo di Tarragona e ai suoi suffraganei il 18.12. 1208 con la lettera Eius exemplo (Potthast, n° 3571; PL 215, 1510-3), dopo aver loro richiesto una professione di fede che ricalcava quella sottoscritta da Valdo nel 1180, ma che comprendeva anche l'esplicitazione di punti dottrinali ritenuti non condivisi dai Valdesi (valore oggettivo dell'ordine e dei sacramenti, celebrazione eucaristica legata all'azione del sacerdote, legittimità del matrimonio, del giuramento, delle decime e della pena di morte inferta giustamente, necessità dell'autorizzazione ecclesiastica per poter esercitare la predicazione), ne approva il «propositum conversationis» che essi ritengono espressione necessaria della professione di fede.

In esso i Poveri cattolici, che dovranno distinguersi «a Lugdunensibus» (cioè dai Valdesi) nello stesso atteggiamento esterno (abito e calzari), si impegnano a distribuire quanto possiedono ai poveri facendosi essi stessi poveri, a non accettar doni in denaro, ma solo quanto necessario per il vitto e il vestito, a osservare come precetti i consigli evangelici, a perseverare nella preghiera, nella lettura delle sacre Scritture, nell'esortazione vicendevole, nell'insegnamento della sana dottrina e, avvalendosi di quanti tra loro (che si dicono in maggior parte - lo si noti - «clerici» e quasi tutti «litterati ») appariranno di fede provata e istruiti nella legge del Signore, a disputare « contra omnes errorum sectas »; tramite poi i migliori e coloro che ugualmente daranno prova di conoscer bene la legge di Dio e le sentenze dei Padri, proporranno nella loro «schola» (luogo di studio e insieme di assemblea religiosa) a fratelli e amici la parola del Signore, con licenza però dei prelati ecclesiastici cui dovranno sempre ubbidienza e il versamento delle consuete decime e oblazioni e dai quali riceveranno pure i sacramenti. Un'ultima disposizione del propositum» , riguarda i secolari che, aderendo al loro consilio, non potranno darsi alla predicazione e all'esortazione: essi dimoreranno nelle proprie case conducendo vita religiosa e ordinata, dispensando i beni che possiedono secondo giustizia e misericordia e lavorando manualmente (come facevano i Poveri lombardi e gli Umiliati). La distinzione tra gruppo comunitario e gruppo secolare- - è precisata da altre disposizioni pontificie.

A quanti rimangono nelle loro case, il Papa scrivendo il giorno stesso dell'approvazione a Durando e ai suoi compagni «qui Pauperes catholici nuncupantur », concede che siano esentati dal partecipare a guerre "contra christianos " e, dunque, a ogni impresa militare, e dal prestar giuramento per affari di ordine temporale. Quelli invece che con Durando e i suoi più stretti collaboratori vivevano in comune (e che sembrano ,distinti a loro volta in chierici, ai quali è riservata la disputa con gli eretici, e in laici cui può essere demandato il compito dell'esortazione), potranno avere, secondo un'ulteriore concessione papale del 13.5.1210, un proprio preposto (contrariamente alla volontà di Valdo) , scelto con il consiglio del vescovo, tra i più idonei e provati nella retta fede e nell'onestà della vita. Malgrado l'impegno cattolico dei riconciliati (Durando svolgerà con i suoi, anche attraverso gli Scritti, un'intensa attività polemica nei confronti dei Catari), il Papa dovrà intervenire a più riprese in loro favore per difendere, oltre il gruppo rientrato nella Chiesa e da lui affidato alla "protezione" del cardo Leone di S. Croce, la possibilità per altri di seguirne l'esempio e per preservare i convertiti da ogni atteggiamento ritenuto meno corretto.

Le sue lettere in proposito, inviate tra il 1209 e il 1212, interessano gli arcivescovi di Terragona e di Narbona e i loro suffraganei ai quali è costretto a inviare di nuovo il "propositum" dei Poveri cattolici con l'aggiunta di una clausola volta a salvaguardare i diritti parrocchiali), il re Pietro II d'Aragona, duro persecutore dei Valdesi, i vescovi di Barcellona, Elne e Huesca, quello di Marsiglia, in Provenza, e, in Italia, l'arcivescovo e il clero di Milano, l'arcivescovo di Genova e i suoi suffraganei, venendo cosi a localizzare le zone nelle quali l'iniziativa di Durando stava riscuotendo maggior successo. Nella Ex tuarum, frater, inviata appunto all'arcivescovo e al clero di Milano il 3.4.1209 egli parla di un gruppo di Valdesi che hanno già fatto ritorno alla Chiesa e di altri - circa un centinaio - che si propongono di fare altrettanto, purché venga loro restituita la «schola» costruita dai Valdesi intorno al 1199 su di un prato concesso dal comune, posto fuori Porta Orientale vicino al convento degli Umiliati, scuola distrutta nel 1205 ordine dell'arcivescovo di Milano e successivamente ricostruita. Doveva trattarsi di una componente locale dei Poveri lombardi, probabilmente la stessa, detta appunto «de prato », che, distaccatasi poco prima dal gruppo principale per dissensi circa la celebrazione dell'eucarestia (che essa riteneva essere riservata a preti debitamente ordinati) era stata attratta dall'esempio di Durando e dei suoi primi compagni che si erano probabilmente fermati a Milano all'inizio del 1209, durante il viaggio che da Roma li doveva riportare in Linguadoca e in Catalogna. I motivi che in particolare spingevano i vescovi a mostrarsi ostili o almeno diffidenti verso i nuovi convertiti erano rappresentati soprattutto dalla persistenza di contatti e rapporti dei Poveri cattolici, seppure a scopo di proselitismo con i loro compagni di ieri; dalla presenza, fra i loro aderenti, di monaci che avevano abbandonato il proprio monastero, allo scopo probabilmente di darsi alla predicazione, senza avervi fatto ritorno; dalla tendenza dei loro « amici» a disertare le prediche tenute dal clero e perciò le stesse chiese parrocchiali, ponendo in pericolo rilevanti interessi economici del clero; dal differenziarsi dei loro predicatori, per atteggiamenti e proposte, dagli altri predicatori cattolici e dal minore rispetto da essi dimostrato verso i prelati ecclesiastici.

Tali prevenzioni e sospetti devono aver notevolmente limitato le possibilità di successo dei Poveri cattolici, che pure avrebbero potuto colmare con la loro attività il vuoto lasciato dall'autorità ecclesiastica, quasi totalmente assorbita dal « negotium fidei» o impresa crociata scatenata dal 1209, proprio contemporaneamente al ritorno di Durando in Linguadoca, contro gli eretici del sud della Francia. La stessa crociata, d'altra parte, oltre ad irrigidire le posizioni dei Valdesi inclusi nella repressione violenta, sembrava vanificare la proposta, rappresentata da Durando e dai suoi compagni, di un'opposizione all'eresia condotta con le sole armi della testimonianza e della parola, compromettendo nel contempo la loro credibilità e minacciando di scuotere negli stessi convertiti la rinnovata, ma sofferta adesione all'autorità della Chiesa. Malgrado tutto questo, i Poveri cattolici riescono, pur senza l'appoggio dell'alto clero e della nobiltà e senza profittare - come farà invece Domenico di Caleruega - delle « spoglie » della crociata, a impiantarsi con fondazioni stabili di predicatori in quelle stesse regioni che erano state fin dall'inizio interessate dal loro movimento di riconciliazione: Catalogna e Aragona, Linguadoca e Provenza, Lombardia (dove sembra avessero conventi a Milano, Cremona, Como, Alessandria, Pavia e Monza), e a incidere profondamente sui fedeli, contattati dalla loro azione. Tra gli amici dei Poveri cattolici a poco a poco si formano, infatti, non solo gruppi laici che ne seguono l'esempio continuando a vivere nel mondo (specie di Terz'ordine secolare), ma anche altri che scelgono la vita penitente comunitaria (una specie di Terz'ordine regolare). In una lettera inviata il 26.5.1212 al vescovo di Elne, nei Pirenei orientali - dove sembra si sia fissato lo stesso Durando dopo il 1209 - Innocenzo III lo incarica di approvare, dopo attento esame, l'impegno penitenziale assunto, in seguito alle esortazioni dei Poveri cattolici, da un gruppo di fedeli della sua diocesi.

Alcuni di questi avevano appunto manifestato l'intento di voler condurre vita comune, nella povertà, nella preghiera e nei digiuni, impegnandosi nell'assistenza dei più diseredati. Si sarebbero riuniti in edifici costruiti sul terreno di uno di loro, comprendenti due case distinte, una per uomini e una per donne, un ospedale per pellegrini, poveri, infermi, bambini abbandonati e madri povere, e una chiesa dedicata alla Madre del Signore, nella quale poter assistere agli uffici divini e all'esortazione domenicale che dovevano essere assicurati da membri chierici della locale comunità dei Poveri cattolici (il vescovo, infatti, dovrà vigilare sull'ortodossia di tali esortazioni). I Poveri cattolici, nella loro componente essenziale costituita da comunità di predicatori chierici, dotati di un « propositum conversationis» approvato per scritto da Innocenzo III, ma non di una regola canonica che sola poteva farli ritenere dalla S. Sede veri e propri religiosi, vedono accentuarsi, negli anni successivi al Lateranense IV del 1215 che sembra volutamente ignorare questi nuovi tentativi di vita religiosa, la loro situazione di insicurezza e finiranno, nonostante gli accomodamenti intervenuti, con l'essere riassorbiti dal movimento mendicante del quale erano stati, per tanti aspetti, precorritori. La scarsa documentazione in proposito è costituita da alcuni interventi della S. Sede, con i quali i successori di Innocenzo III, misconoscendone in qualche modo l'intensa opera di sostegno a favore dei Poveri cattolici, appaiono intenzionati a privarli di ogni tratto caratteristico e a prepararli all'inserimento nell'uno o nell'altro dei nuovi Ordini religiosi sui quali intendevano ormai appoggiarsi.

Il 26.6.1237 Gregorio IX sottopone «il priore e i frati» (sotto tale dicitura si potevano comprendere varie comunità poste sotto uno stesso priore maggiore) dei Poveri cattolici, esistenti nelle province ecclesiastiche di Tarragona e di Narbona che - dice - non avevano ancora adottato, secondo le prescrizioni del Lateranense IV, una delle regole approvate, alla visita e correzione del provinciale dei Frati Predicatori della stessa provincia di Tarragona, che è incaricato di concedere loro una delle dette regole. Si può presumere che essi e le comunità loro, anche se collocate altrove, abbiano allora assunto la Regola di s. Agostino. Lo hanno fatto certamente quelle di Lombardia. Dieci anni dopo, infatti, Innocenzo IV, concedendo il 10.4.1247 ai Poveri cattolici di Milano, la cui chiesa è dedicata a s. Agostino, di poter celebrare i divini uffici secondo il rito della Chiesa universale, cioè della Chiesa romana, li dice esplicitamente «ordinis sancti Augustini ». Stranamente però lo stesso pontefice, scrivendo poco dopo, il 5.6.1247, all'arcivescovo di Narbona e al vescovo di Elne, si mostra meravigliato di aver appreso che nella provincia appunto di Narbona vi sono dei «fratres qui Reconciliati seu Pauperes catholici nuncupantur, et dicebantur olim Pauperes de Lugduno», che usurpano l'ufficio della predicazione al quale non appaiono preparati e stabilisce che venga loro proibito di farlo ulteriormente, obbligandoli a entrare «sine mora» in una «de approbatis religionibus».

Livellamento e restrizioni preparano cosi il confluire dei Poveri cattolici nell'uno o nell'altro dei vari Ordini mendicanti. Se quelli della Catalogna e del Narbonese erano già stati sottoposti al controllo dei Frati Predicatori e finirono forse tra loro, i conventi lombardi, ormai ridotti a pochi componenti, andranno ad ingrossare l'Ordine degli Eremiti di s. Agostino. Dopo il convento di Tortona, passato agli Eremiti del beato Giovanni Bono o Giamboniti, l'intera provincia di Lombardia, con deliberazione del priore provinciale fra Niccolò e dei frati «qui de ordine Pauperum Catholicorum hactenus dicebantur », effettuata il 27.7.1256, e dietro richiesta del cardo Riccardo di sant'Angelo, incaricato appunto dell'unione, si aggrega agli Eremiti di s. Agostino dopo la « Magna unio » di questi ultimi, avvenuta il 9.4.1256.