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luigi beretta: ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO

 Antina d'altare che raffigura sant'Agostino conservata nella Canonica di Cassago

Antina d'altare con sant'Agostino (Cassago)

 

 

 

 

ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO

di Luigi Beretta

 

 

 

Agostino patrono di Cassago e la peste del 1630

L'esordio, che pur si compone di quattro brevi righe, rivela subito la novità che d'ora in poi contraddistinguerà la vita ecclesiale locale. Con poche parole, solenni ma brevi, la prima sezione ci ricorda che S. Agostino viene associato con pari titolo e dignità ai santi patroni della chiesa locale Giacomo Apostolo e Brigida Vergine. Si tratta di un atto unico nella vita spirituale della parrocchia, di cui ignoriamo tuttavia il lavorio preparatorio. A volerlo fu forse il parroco, o forse la comunità intera: non si sa neppure quale sia stata la reazione delle autorità ecclesiastiche, né se ne furono informate. D'altro canto non va dimenticata la facilità e la frequenza di tali dedicazioni aggiuntive, che ha tutto il carattere di una consuetudine diffusa, accettata e talora tollerata in conformità alla mentalità del secolo. Questa è in ogni caso la prima citazione nota di S. Agostino nelle vesti di patrono di Cassago. Un'altra ancora va citata, ma è di epoca più tarda e risale al 1665 quando il nuovo parroco don Antonio Maria de Capitani de Lavello, in una richiesta al Vicario Foraneo di Missaglia, chiama la sua parrocchia inizialmente Cura di S. Agostino, ma poi si corregge scrivendo Cura di S. to Jacomo [1].

Le ragioni di questa tardiva neo dedicazione, che godrà di una vitalissima e insospettata fortuna, vengono minuziosamente spiegate nelle successive sezioni. Esse introducono specifici motivi che nascono dal ricco sostrato della fede popolare, che in questa occasione conosce una manifestazione singolarissima e rarissima nella storia devozionale agostiniana.

La sezione seconda anzitutto chiarisce la natura di questa spontanea gioia popolare che anima l'entusiastico fervore agostiniano dei cassaghesi: il paese nel 1629-1632 non era stato colpito dalla peste.

Si tratta dunque d'uno scampato pericolo e d'un pericolo di non poco conto, se è vero che queste croniche pestilenze decimavano per anni le popolazioni di tutta Europa arrecando gravissimi danni all'economia e alla società, già di per sè deficitarie. Ultima in ordine di tempo di una lunghissima serie [2], la peste del 1630 fu tra l'altro una delle più violente, infierendo nel milanese con intensità ed un vigore ben maggiori delle precedenti del 1576 o anche del 1524 [3].

A Milano i sintomi di peste si erano manifestati verso la fine del 1629, dopo la grave carestia dell'anno precedente e perdurarono fino a tutto il dicembre del 1630.

Il contagio fu debellato nell'intero Ducato solo nel 1632, non senza aver lasciato un numero impressionante di vittime in quasi tutti i paesi e in ogni ceto sociale. Le popolazioni di quel secolo ebbero immediata sensazione delle catastrofiche proporzioni di quella tragedia, tanto che l'emotività, la paura, lo sgomento ne impressionarono profondamente la fantasia e alimentarono

il nascere e il consolidarsi di varie espressioni di religiosità, di devozione, di superstizioni e anche di leggende o storie, che conservarono una lunga vitalità e di cui è rimasta traccia persino nella letteratura posteriore [4].

Fra così tanti casi luttuosi l'immunità goduta da Cassago, reale e ben documentata [5], è sorprendente e in un certo modo rende ragione dello stato d'animo e della condizione psicologica in cui vennero a trovarsi i suoi abitanti e dei sentimenti religiosi filtrati dalla fede popolare richiamati dal suo parroco, allorché l'intera comunità decise di attribuirne i meriti non solo

a Gesù Cristo e ai patroni Giacomo Apostolo e Brigida Vergine, ma pure e solennemente a S. Agostino.

Alcuni dati relativi alla mortalità della peste nel 1629-1632 chiariscono efficacemente il senso di questa idea di "protezione", quale deve essersi emotivamente maturata e imposta a Cassago sopra ogni altra considerazione.

Sfogliando alcuni testi contemporanei e i registri parrocchiali si scopre ad esempio che la sola città di Milano perdette probabilmente 150000 dei suoi 250000 abitanti, Como invece ebbe 10000 morti, la Valtellina da 150000 anime si ridusse a sole 40000 e con uguale proporzione ne soffrirono le altre terre del Ducato, del bergamasco e del bresciano [6].

La lunga lista tramandataci forse esagera un poco nei numeri, non sempre attendibili pienamente. Tuttavia essa costituisce un parametro non trascurabile, capace di misurare il profondo stato di disagio e di malessere, che dalle città era dilagato nelle campagne, fino a toccare anche i piccoli paesi del contado e delle colline brianzole.

Il contagio pericolosamente penetrato lungo la direttrice dell'Adda si era infatti quasi subito riversato nella valle del Lambro, dopo aver valicato la dorsale del monte Barro e dei colli di Brianza, serpeggiando sinistramente un pò in quasi tutte le località abitate intorno a Cassago. Per quanto manchino statistiche precise, nondimeno le migliaia di morti di peste a Galbiate [7], Annone, Oggiono [8], Barzanò, Cremella [9], Seregno [10], Giussano [11], Carate [12], Robbiano [13], Nibionno [14], Veduggio [15], Renate [16], confermano a pieno titolo l'affermazione di don Balsamo che saevissimae pestis oppidum circum circa gravissime afflicta fuerint.

L'assedio del contagio, che risparmiò del tutto Cassago, fu parzialmente rotto al di qua del Lambro anche a Briosco che ebbe solo due morti [17], a Besana superiore, a Villa Raverio, a Rosnigo, a Cazzano, dove la peste causò poche vittime [18]. Con tutta probabilità questo moderato contenimento del contagio nella bassa Brianza è da ascrivere all'azione delle barriere naturali offerte dal fiume Lambro, dall'estensione dei boschi e delle colline, dal frazionamento dei centri abitati in tanti isolati cascinali, che qui più che altrove ebbero occasione di manifestare il loro favorevole effetto.

L'avanzata territoriale della peste trova un singolare e indicativo parallelismo con la distribuzione delle manifestazioni religiose che si diffusero a macchia d'olio in questi luoghi a cavallo del 1630. Il caso di Cassago è in questo senso un tipico frutto di quella eccezionale ondata di religiosità evocata dal contagio, che vide il fiorire di dedicazioni di chiese e cappelle votive, volute dalle popolazioni rurali per salutare la fine della peste cum moris Christiani sit memoriam habere beneficiorum acceptorum.

La peste, prima che dramma personale, fu nella visione propria dell'uomo del '600 un dramma collettivo che culminava sempre, nel bene o nel male, in un pronunciamento o in un impegno che vedeva come protagonista l'intera Comunità locale. Ciò che accadde a Cassago tuttavia si diversifica sotto vari aspetti dalle contemporanee e circonvicine esperienze. In effetti in questo paese non si ha notizia di dedicazioni di cappelle o altari, nè di costruzioni di chiese e di oratori-ossari. Tantomeno la Comunità si impegnò in legati, in feste o celebrazioni di voto. Don Balsamo ci attesta piuttosto che la Comunità di Cassago scelse motu proprio un nuovo patrono in S. Agostino da aggiungere ai preesistenti santi Giacomo e Brigida di più antica e tradizionale consuetudine.

L'episodio in sè non è nuovo in un più vasto panorama religioso correlabile alle pestilenze in genere e a quella del 1630 in particolare: è invece una novità la scelta di S. Agostino. Questo santo in effetti conosce in questa veste rarissime citazioni anteriori a quella cassaghese, a differenza di altri santi, le cui agiografie, tramandateci dalla Legenda Aurea, erano piene di episodi e di interventi miracolosi. S. Sebastiano è certamente il prototipo di questa serie di santi taumaturgi della peste [19], che include anche Antonio abate, Domenico e Caterina, Gregorio Magno, Nicola vescovo, Bernardino da Siena e più tardi S. Carlo Borromeo. Su tutti però a partire dai secoli XV-XVI prevalse un po' ovunque la devozione per S. Rocco, che fu oggetto di venerazione molto tempo prima della sua canonizzazione [20].

Questa inclinazione della religiosità popolare tardo rinascimentale a privilegiare S. Rocco quale taumaturgo della peste trova un immediato riscontro anche nel milanese ed in Brianza in particolare, dove sorsero confraternite, ospedali, cappelle, oratori e altari dedicati la santo [21].

Nella stessa regione scopriamo ancora oggi una ricca iconografia che lo raffigura talora assieme a S. Sebastiano [22].

Anche durante la peste del 1630 in Brianza il desiderio popolare di "prevenzione taumaturgica" si rivolse ai santi Rocco e Sebastiano, seguendo una consolidata consuetudine maturata con il sovrapporsi di avvenimenti concatenati nei secoli, dove la pittura o la cappelletta votiva, dedicate loro in altri tempi, diventavano "segno" di protezione dalla peste in corso o che stava per scoppiare. Allo stesso modo, specialmente nella fase conclusiva dell'epidemia, prese corpo il ringraziamento delle varie Comunità brianzole ai due santi protettori sotto forma di ex-voto per il pericolo scampato.

Ogni paese lo fece a suo modo o secondo le sue possibilità. Molteno costruì un oratorio nuovo [23], così come Carenno di Olginate [24], S.Giacomo a Primaluna [25], Sobrio nelle Tre Valli [26] e Valbrona [27], Abbiategrasso restaurò l'oratorio preesistente [28], Villa d'Adda dotò una cappella [29], Costamasnaga obbligò un legato di messe [30], Besana, Cazzano, Balgano e Odosa promisero di solennizzare le loro feste [31], Lasnigo eresse un ossario con una statua di S. Rocco, mentre in altre chiese si moltiplicarono gli affreschi che lo ritraevano.

Cassago invece più che a S. Rocco o S. Sebastiano rivolse la sua attenzione a S. Agostino. Questa opzione incuriosisce non solo perchè nei paesi vicini prevale tutt'altro atteggiamento, ma anche perchè a Cassago la devozione a S. Rocco non era sconosciuta. Per molto tempo presso la chiesa e adiacente al cimitero era esistito un oratorio a lui dedicato, probabile retaggio della peste del 1524, di cui forse nel 1630 si potevano ancora rintracciare le strutture.

Inoltre la sua festa era annoverata fra quelle di consuetudine e di voto della Comunità di Cassago già dal '500 [32]. Anche S. Sebastiano aveva proprie pitture devozionali, di cui si conserva ancora oggi un esempio ridipinto più volte alla Chà, un cascinale del primo seicento.

L'onomastica stessa rintracciabile negli archivi parrocchiali di Cassago testimonia la larga presenza dei santi Rocco e Sebastiano nella cultura e nella mentalità contadina locale conformemente a una tradizionale consuetudine diffusa nell'intera Brianza. In questo paese è anzi nota una preghiera rivolta proprio a S. Rocco taumaturgo che recita:

 

Ave Roche Santissime, Nobili natus sanguine, crucis signaris schemate

sinistro tuo latere. Roche peregre profectus, Pestiferae mortis acutus

curavisit mirifice tangendo salutifere. Vale Roche Angelice, vocis

citatus Flamine obtinuisti Deifice a cunctis pestem pellere. Ora pro

nobis beate Roche [33].

 

Lo sviluppo della devozione agostiniana a Cassago dopo la peste del 1630 si oppone dunque a questa tendenza e segna indubbiamente un punto di rottura rispetto ad una situazione generale che si era andata consolidando nei sec. XV-XVI. La preferenza accordata a S. Agostino dalla popolazione locale non può essere nata però solo dal caso.

E' invece piuttosto ragionevole supporre che essa sia sorta e maturata all'interno di un sostrato religioso che comunque era di pertinenza del paese.

Per motivi ancora confusi qui, come altrove del resto, prevale uno spirito religioso di ringraziamento dai toni squisitamente autoctoni che si differenzia e sfugge alle pur cristallizzate consuetudini del secolo, proprio perchè si alimenta a radici che affondano in una propria specificità cultuale non importa se di recente o di antica data.

Quest'ultimo aspetto fa sì che il patrono della città o qualche santo radicato nella sua storia si trasformino talora nel taumaturgo protettore dalla peste o da qualsiasi morbo, attorno al quale raccogliersi nei momenti difficili.

A Cassago proprio nel 1630 si consuma un nuovo capitolo di questo riflusso di sovrapposizioni dedicatorie allorchè le drammatiche tensioni sociali e religiose provocate da una epidemia riescono a giustificare l'abbandono di S. Rocco, asettico e stereotipo santo taumaturgo della peste, per sostituirlo con un proprio santo d'elezione, Agostino, in forza di un legame e di sentimenti più serrati, più intimi, più personalizzati.

Il caso di Cassago non è isolato. Fra il XIV e il XVII sec. altre città sempre in occasione della peste ci offrono frequenti esempi di questa religiosità popolare così tenace e capace di attribuire o di inventare nuove prerogative taumaturgiche per i propri patroni o santi d'elezione. A Perugia ad esempio durante la peste del 1494 fu invocata la beata Colomba, a Milano nel 1576 fu la volta di S. Sebastiano, che diventò addirittura compatrono della città assieme a S. Ambrogio [34].

Durante la peste del 1630 a Bologna padre Timoteo de' Ricci invocò invece la Beata Vergine istituendo la recita del Rosario perpetuo, a Gallarate la gente fece voto di celebrare solennemente la Festa della Presentazione di Maria al Tempio nella locale chiesa della Madonna della Campagna, a Bourg-en-Bresse la città ringraziò S. Nicola da Tolentino [35], a Catania invece il popolo acclamò S. Agata patrona e protettrice dalla peste [36], mentre ad Este questo titolo toccò a S. Tecla [37].

A Cagliari invece è S. Efisio il taumaturgo patrono a salvare la città dalla peste del 1652, a Palermo durante la peste nera del 1625 la cittadinanza si rivolse ancora una volta a S. Rosalia [38], mentre a Venezia nel 1630 il popolo fa voto alla Madonna della Salute di erigerle l'omonima chiesa [39], così pure a Viterbo in ringraziamento per la protezione della Vergine durante la peste del 1467 fu innalzato il celebre santuario di S. Maria della Quercia [40] e a Mantova Francesco Gonzaga per tener fede a un voto popolare in tempo di peste costruì in onore della Vergine il Santuario di S. Maria delle Grazie [41].

In modo analogo si comportò Genova nel 1637 quando un decreto del Gran Consiglio della Repubblica affidò la città a Maria che l'aveva preservata dalla peste. Sempre nel 1630 al primo annuncio dell'avanzare della pestilenza a S. Fiorano nel modenese si ricorse all'intercessione della Beata Vergine, mentre a Grenoble fu invocato S. Cornelio Mac Concailleadh tanto che il papa Innocenzo X autorizzò una confraternita in suo onore.

E' altresì noto che nel 1629 per le vie della città di Lecco "al tempo del morbo universale" fu più volte portata processionalmente la statua della Vergine del Rosario [42], così come a Oberammergau in Baviera la comunità per scongiurare la peste fece voto nel 1634 di celebrare ogni dieci anni una rappresentazione della Passione di Cristo, la cosiddetta "Passionspiele".

A Vimercate nel 1630, dopo pubbliche preghiere, i voti e le opere di bene del clero e della popolazione, per scongiurare il dilagare del male gli abitanti decisero di portare in processione il simulacro della Vergine del Rosario. Giunta la processione al ponte di S.Rocco, si dice, che per un attimo la statua prese vita e che la Madonna con la mano alzata benedisse Vimercate e Burago colpite dal terribile flagello. Dopo la benedizione in entrambi i paesi la peste scomparve del tutto.

Sempre in Brianza nel 1576 i fedeli di Lissone, Biassono e Vedano ricorsero alla Madonna che pregarono con fervore, finchè "apparve" loro sopra un albero, recando in braccio il Bambin Gesù. Da quel momento la peste non fece più vittime e fu eretto un rozzo tabernacolo e poi una cappellina, dalla quale si sviluppò il santuario della Madonna della Misericordia.

A Cassago nel 1630 questo ruolo di santo taumaturgo spetta ad Agostino, al centro di una tradizione che investe non a caso proprio la storia profonda del paese stesso. E' don Filippo Balsamo a ricordarne gli elementi essenziali nella parte finale della terza sezione, quando senza incertezze dichiara che memoriae proditum sit ipsum Sanctum patrios lares habitasse.

L'invocazione a S.Agostino, qualificato in questa circostanza con il termine Beatissimo di reminiscenze medioevali [43], nasce dunque a Cassago associata alla coscienza storica locale di una tradizione che riconosceva in questo paese un luogo visitato dal santo durante il suo soggiorno milanese. Per quanto non venga esplicitamente nominato non v'è dubbio che si tratti del rus Cassiciacum delle Confessioni.

 

 

 

Note

 

(1) - Cfr.:" Reverendissimo Signore Sopra il cimitero dell'oratorio di S. to Marco et Gregorio nel luocho d'Oriano sotto la Cura di me Curato di S. to Agostino Jacomo del luocho di Cassago Pieve di Missaglia  ducato di Milano,vi si trovano alcune piante di moroni,et noci, inutili anzi morte, et hauendo il detto Oratorio bisogno di molte reparationi, et paramenti,pertanto, non hauendo altro per provvedere, ricorre alla solita benignità di V. R. mo Humilmente supplica voler restar servita di concedergli licenza di far levare dette piante, et il prezzo di quelle convertirlo a beneficio di detto oratorio per il che spera." Arch. Plebano di Missaglia.

(2) - Non è facile stilare un elenco completo delle pestilenze che afflissero la Lombardia e il milanese in particolare, soprattutto perchè furono numerosissime e non sempre opportunamente registrate. Partendo dal sec. XIV possiamo ricordare quelle del 1313 e 1340 che apparvero in tutta Italia e che originarono il riacutizzarsi del morbo ancora negli anni 1348, 1363, 1371 e 1381, con un notevole numero di vittime. A Milano la cifra fu 70000 morti nel 1360-1363 e nuovi guai si ebbero nel 1373-1374, essendo duca Barnabò Visconti, che impose drastici provvedimenti. Riapparve poi in questa città nel 1383 ma con minore mortalità (cfr. A. CORRADI, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Bologna 1865, pp. 514, 320-321 e 527). Nel 1399 la peste divampò ovunque, ma a Milano si ebbero poche vittime, per merito di Gian Galeazzo Visconti che ordinò severe restrizioni profilattiche. Nel 1406 la peste fa di nuovo strage a Milano con seicento vittime al giorno: G. GUERRINI, Notizie storiche e statistiche sulla peste, in Rivista di Storia delle scienze mediche e naturali, XV,II-12 (III serie), Siena 1925. Si hanno notizie di peste a Milano nel 1477 e ancora sul finire del XV sec. nel 1485-1486 con più di 50000 morti (A. CORRADI, op. cit., 627) che il MORIGIA nella sua Historia dell'antichità di Milano , edita nel 1592 aumenta addirittura a centomila. Il nuovo secolo vede la peste a Milano nel 1502-1504 e dopo qualche decennio di immunità si scatena in due grandi ondate nel 1523-1524 e nel 1576, delle quali, assieme alla cosiddetta peste manzoniana del 1630, conserviamo numerose notizie. Fortunatamente esse costituirono le ultime tre grandi epidemie di peste in Lombardia.

(3) - L'epidemia del 1576 nota anche come "peste di S. Carlo" durò a Milano quasi 17 mesi e raggiunse l'acme fra l'agosto e il novembre di quell'anno. Nonostante la lunga durata, la mortalità fu contenuta grazie a rapidi e adeguati provvedimenti, tanto che la città perse solo 15000 circa dei suoi 180000 abitanti, cfr. F. LA CAVA, La peste di S. Carlo vista da un medico, Milano 1945. La peste del 1524 fu invece più terribile e Milano ne ebbe a soffrire più di ogni altra città. Questa epidemia viene ricordata come "peste di Carlo V" poichè il territorio del Ducato fu nello stesso tempo teatro di lotte tra imperiali e francesi. A quanto sembra il morbo iniziò nel 1523 subito dopo l'assedio di Abbiategrasso, donde si trasmise a Milano. Durò solo tre mesi, dal giugno all'agosto 1524, ma fu violentissimo, con un elevato numero di vittime, che varia, a secondo degli autori, fra le 50000 e le 140000, cfr. GRUMELLO, Cronaca dal 1467 al 1529, Milano 1856, 337 e MORIGIA, Historia dell'antichità di Milano, Milano 1592, 220.

(4) - Cfr. A. MANZONI, I promessi Sposi, XXXI cap. e segg.; C. CANTU', Sulla storia lombarda del sec. XVII e I. CANTU', Le vicende della Brianza, cap. XLIII.

(5) - L. BERETTA, S. Agostino e Cassiciaco, Oggiono 1982, 132-138.

(6) - Cfr. F. BORROMEO, De pestilentia, Codice Biblioteca Ambrosiana ed. critica di A. SABA, Collana Federiciana, II, Sora 1932; G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630, trad. F. Cusani, Milano 1841; G. FERRARI, Statistica medica di Milano dal secolo XV fino ai nostri giorni, II, Milano 1840.

(7) - Arch. Curia Milano,Visite Pastorali, Pieve di Olginate, vol. V.

(8) - I. CANTU', Le vicende della Brianza, Milano 1855, 147.

(9) - A. CAPPELLINI, Barzanò, Notizie storiche, 1960, 46.

(10) - E. MARIANI, Storia di Seregno, Seregno 1963, 215.

(11) - A. S. M., Feudi Camerali, parte antica, C. 29.

(12) - A. S. M., Feudi Camerali, parte antica, C. 197.

(13) - R. BERETTA, Robbiano Brianza, 1968, 59.

(14) - G. RIVA, Tabiago e Nibionno, Oggiono 1981, 127-128.

(15) - A. BENINI, Cronaca di Veduggio, Renate 1985, 44

(16) - A. CAPPELLINI, Besana nella Pieve di Agliate, 1987, 65.

(17) - D. RONZONI, Alla ricerca delle radici perdute, Renate 1985, 124.

(18) - A. S. M., Feudi Camerali, parte antica, C. 89.

(19) - Tra le lettere consigliate da S. Carlo in tempo di peste troviamo ancora nel 1576 la Storia di Giobbe, Il libro di Tobia, L'epistola di S. Giacomo, La Sacra Scrittura e le Vite di alcuni santi,fra i quali particolarmente S. Sebastiano, S. Gregorio Magno, S. Rocco, S. Macario, S. Eutichio, S. Nicola vescovo e S. Bernardino da Siena "qui omnes in pestilentia et exempla praeberunt santissimarum virtutum". Cfr. F. LA CAVA, La peste di S. Carlo vista da un medico, Milano 1945, 166.

(20) - Un salterio di Treviso del XIII sec. registra già al 1 luglio dell'anno la festa S. Rochi confessoris, vedi V. LEQUERAIS, Les Psautiers, II, 99.

(21) - Cfr. L. BERETTA, op. cit., 124-125.

(22) - Cfr. AA.VV. Cultura e immagine popolare nel territorio manzoniano tra i sec. XVII e XIX, a cura del Comprensorio Lecchese, 1985.

(23) - Arch. Curia Milano, Pieve Oggiono, vol. 14.

(24) - Arch. Curia Milano, Fondo Spedizioni Diverse, 4, 4.

(25) - Ibidem, 6, 3.

(26) - Ibidem, 6, 4.

(27) - Ibidem, 6, 6.

(28) - Ibidem, 4, 1.

(29) - Ibidem, 6, 6.

(30) - C. MARCORA, Costa Masnaga, Milano 1971, 75.

(31) - A. S. M., Fondo notarile, filza 27284, atto 20 marzo 1630, n. 163.

(32) - Arch. Curia Milano, Pieve Missaglia, vol. 18.

(33) - Arch. Visconti Modrone, fald. M-74, Culto 1600-1700. In questo archivio è conservata un'ulteriore preghiera intitolata Ut digne efficiamur promissionibus Christi che si appella ancora a S. Rocco in questi termini: " Deus, qui beato Rocho, per Angelum tuum tabulas eidem afferentem promisisti, ut qui ipsum invocaverit à nullo pestis crociatu laedetur: praesta, quaesumus, ut qui eius memoriam agimus, ipsius meritis et precibus à mortifera peste corporis, et animae liberemus. Per Christum Dominum."

(34) - Cfr. La testimonianza di BERNARDINO TARUSIUS in Codice G 30 inf. della Biblioteca Ambrosiana, 640 e 690 nonchè F. LA CAVA, op. cit., 139.

(35) - Nel Museo dell'Abbazia di Brou, che accolse dal 1506 un monastero agostiniano, è conservato un quadro che celebra l'avvenimento: S. Nicola da Tolentino in primo piano si rivolge alla città di Bourg-en-Bresse, mentre una dedica ricorda la gioia dei cittadini per il santo taumaturgo che li aveva salvati dalla peste del 1628-1629.

(36) - V. LIBRANDO, Dietro le quinte del Barocco, in Tuttitalia, Firenze 1961, Sicilia, 417.

(37) - Nel Duomo di Este una tela del Tiepolo dal titolo "S. Tecla libera la città di Este dalla peste" racconta con plastica felicità creativa i drammatici avvenimenti della peste del 1638 e le preghiere della santa, che pongono fine ai lutti e sciolgono l'incubo da cui sembra oppressa la città veneta, che si vede sullo sfondo alle prime falde dei monti. Cfr. A. PALLUCCHINI, Giovanbattista Tiepolo, Milano 1986, 126.

(38) - P. MERISIO e U. BERNARDI, Oro Incenso Mirra, Cinisello Balsamo 1982, 65

(39) - P. MERISIO e U. BERNARDI, op. cit., 70-71.

(40) - P. MERISIO e U. BERNARDI, op. cit., 202

(41) - R. BRUNELLI, Il periodo della egemonia gonzaghesca 1328 - 1521, in Diocesi di Mantova, Brescia 1986, 59-60.

(42) - G. COSSA, Notizie d'una festa religiosa celebrata nel borgo di Lecco l'anno 1624, in Archivi di Lecco, XII, 2, 1989, 299.

(43) - Beatissimus Augustinus già scrive nel V sec. Possidio di Calama nella sua Vita Augustini , 5. Così pure lo definiscono FULGENZIO DI RUSPE, Ep. ad Eugippium abbatem de caritate et eius dilectione, V, 9, P. L., t. LXV, 347 B ; papa ADRIANO I in Ep. ad Hegilam, M. G. H.,Epist. t. III, 648, 35; AGOBARD in Epist. XVIII cantoribus ecclesiae lugdunensis, M.G. H.,Epist. t. V, 236, 7 ; EUDES DE CLUNY nel sec. X in Collationes, II, 17, P. L. t. CXXXIII, 563 B ; ALVARO DI CORDOVA nell'Epist. ad Iohannem, IV, 18; GODESCALC, in Opusc. de rebus grammaticis, I, 368, II; GIOVANNI SCOTO nel De praedestinatione, XVII 5, P.L.,t. CXXII, 427 B; l'abate GEHARD nel XII sec. in Monacensis lat. 22221; un florilegio inglese del XIII sec., il manoscritto di Parigi Maz. 753; l'ANONIMO DI S. VITTORE in Sermo in festivitate sancti Augustini ; PHILIPPE DE HARVENGT nella Vita Sancti Augustini; ECKHART nel Sermo die beati Augustini habitus in Lateinische Werke e vedi ancora LUTERO, in Dictata super Psalterium .