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Fabio Ratti: LA TOMBA DEL CROTTO

 immagine della tomba del Crotto al momento della sua scoperta

La tomba del Crotto al momento della scoperta nel 1968

 

 

 

LA TOMBA DEL CROTTO

di Fabio Ratti

 

 

 

In località Crotto venne scoperta a Cassago una tomba ancora integra, che risale alla cultura di La Tène. Il rinvenimento fu del tutto casuale ed avvenne il 10 marzo 1968 durante l'esecuzione di alcuni lavori di sterro per la escavazione di una nuova sede stradale in proprietà Giussani Natale. La scoperta richiamò l'attenzione di una piccola folla di curiosi ed anche di un cineoperatore che fortunatamente documentò, sia pure sommariamente, le diverse fasi del recupero dei manufatti contenuti nella tomba.

Parteciparono attivamente alle varie operazioni di recupero del materiale di interesse archeologico i signori Fiorenzo Moreschi e Peppino Giussani, che già nel 1967 avevano individuato ed esplorato la zona archeologica della Pieguzza, previa autorizzazione del Soprintendente ai Beni Archeologici della Lombardia prof. Mario Mirabella-Roberti. La tomba del Crotto giaceva sotto il piano coltivo ad una profondità di circa mezzo metro ed era costituita da una semplice camera delimitata da tre lastre di pietra nota localmente come cépp, una roccia calcarea sedimentaria molto comune nella zona.

Delle tre lastre, di forma approssimativamente rettangolare, due erano disposte parallelamente l'una all'altra, mentre la terza poggiava sulle altre due che fungevano da spalla. Mancava ogni forma di sigillatura fra le pietre, mentre al suo interno, completamente invaso da fango e terriccio, erano contenuti otto oggetti, due in ferro e sei in ceramica di vario aspetto e tipologia. Ai lati delle lastre verticali erano collocati altri due vasi. La reciproca posizione di tutti questi oggetti all'interno e all'esterno della tomba fu ricostruita in un disegno dal signor Peppino Giussani.

Al momento del rinvenimento tutti i reperti erano immersi nel terriccio: furono estratti ad uno ad uno e ripuliti sia esternamente che internamente, ma non furono prelevati campioni di terra, per cui non è possibile sapere se al loro interno fossero contenute ceneri o residui alimentari. Non furono trovate monete.

Due vasi e una olla biansata erano ricoperti alla bocca da pietre piatte e tale doveva essere l'originaria posizione, poiché sul loro dorso si poteva rilevare, impressa dal tempo, l'impronta rotonda dell'orlo superiore del vaso sottostante. Le pareti della tomba furono conservate e i proprietari ne curarono la conservazione e il consolidamento, lasciandola a vista nel loro giardino.

Gli stessi abbellirono l'entrata della loro proprietà in via Volta 9 con un mosaico in sassi colorati a perpetuo ricordo della eccezionale scoperta. Tutti i pezzi recuperati furono trasferiti nel palazzo comunale e quindi vennero analizzati dal prof. Mirabella-Roberti, che, avvertito tempestivamente, fece un sopralluogo. Il Soprintendente attribuì i manufatti alla cultura lateniana e dispose che i pezzi rimanessero in deposito temporaneo al Comune di Cassago. Qui furono conservati fino al 1972, dopo di ché furono trasferiti presso la sede dell'Associazione S. Agostino, dove era stata allestita una raccolta dei reperti di interesse archeologico rinvenuti a Cassago. Nel 1986 furono prelevati e portati a Milano presso la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Lombardia, nei cui magazzini giacciono anonimi e poco valorizzati. Poco dopo la scoperta della tomba del Crotto i reperti rinvenuti furono esposti, a cura della Associazione S. Agostino, costituitasi nel 1967, in una sala assieme alle ceramiche scoperte alla Pieguzza ed ai vari frammenti epigrafici e litici, che copiosamente venivano individuati da una solerte ricerca di appassionati locali iscritti a quella associazione. La mostra archeologica ebbe uno straordinario successo e promosse nella locale popolazione un fecondo processo culturale di rispetto e tutela del patrimonio archeologico, che ha dato ottimi frutti negli anni successivi.

La tomba del Crotto suscitò molta attenzione, in virtù del fatto che era stata recuperata intatta e a quel tempo costituiva l'insieme di manufatti più antichi scoperti nel paese. Il corredo tombale era costituito da dieci pezzi, di tipologia non omogenea e per quanto esso sia riferibile alla cultura finale di La Tène, già prefigura ampi rapporti tra l'insediamento di Cassago e la civiltà romana e i commercianti del sud d'Italia. Accanto a ceramiche tipicamente di produzione locale, grossolana e in argilla poco depurata, coesistono infatti già prodotti di ottima fattura in vernice nera, che sono da considerare oggetti di importazione. L'analisi di tutti gli oggetti mette in evidenza ulteriori dettagli.

 

Le ceramiche

La varietà delle ceramiche evidenzia una tipologia diversificata non solo nella destinazione e nell'uso, ma pure nella tecnica di costruzione. Quanto all'origine, ad eccezione della ciotola in ceramica nera, tutti i rimanenti pezzi possono essere ricondotti ad una medesima area culturale e produttiva gallica. I due vasi troncoconici, ritrovati all'esterno della tomba, sono un indizio inequivocabile che siamo di fronte a prodotti di officine locali tecnicamente povere.

La loro presenza è un segnale delle tendenze involutive già in atto nelle campagne dalla seconda metà del II secolo a. C. in risposta alla irreversibile romanizzazione delle città. Nelle modeste comunità rurali, accanto ai cedimenti di fronte alla cultura e ai prodotti della civiltà italico-romana, resistettero ancora delle residue capacità di sviluppo autonomo.

Tra queste va senz'altro annoverata la elaborazione di nuove forme di ceramiche locali, come la ceramica con decorazione plastica ad alveare: persistono, come nel caso del Crotto, elementi decorativi arcaici o arcaicizzanti, quale la spina di pesce e il tratteggio con punte o unghie. I due vasi in questione hanno dimensioni e composizione in argilla pressoché identiche, il che fa pensare ad una medesima officina di produzione, forse una fornace locale o forse una fornace prossima a Cassago. Il vaso di catalogo St. 10109 ha un'altezza di 9 cm e presenta un diametro alla bocca di 14 cm. E' stato prodotto con una argilla grezza e poco depurata di colore rosso-giallognolo. Particolarmente interessante è la sua decorazione, che si sviluppa su tutta la superficie esterna e mostra caratteristiche impressioni a spina di pesce incise con una punta, gradevoli alla vista per la vivacità e la sensazione di dinamicità e di movimento.

Il vaso di catalogo St. 10110 ha una medesima forma troncoconica ed è stato ricomposto da più frammenti. Presenta una carenatura ed è composto da argilla poco depurata sempre di color rosso-giallognolo. Il vaso presenta un'altezza di circa 10 cm ed un'apertura alla bocca di diametro massimo presumibile 12,5 cm. Tutta la superficie mostra impressioni verticali tratteggiate con una punta e forse anche con le unghie. Tutti e due i vasi hanno una capacità simile, approssimativamente di 1 litro, ed avevano una probabile funzione di contenitori. Alla medesima area culturale e produttiva rurale appartiene la piccola coppetta carenata, in terracotta giallo-grigiastra con una diametro alla bocca massimo di 6,5 cm. (Numero di catalogo St. 10107). Essa ricorda i vasi a trottola, una forma tipica della produzione ceramica gallica del II secolo a. C. il cui uso, soprattutto nell'area centro occidentale, era legato alla produzione e al consumo del vino. Forse era in origine decorato con motivi dipinti, che si sono scrostati durante la conservazione sotto terra.

Nel corredo tombale comparivano anche due patere, di cui una frammentaria. Entrambe erano in terracotta rossastra, alte circa 4,5 cm e con un diametro di cm 19.

Un frammento di coperchio in ceramica comune ad impasto grossolano completa la rassegna delle ceramiche locali. Il frammento in questione (numero di catalogo St. 10111) è alto 5,7 cm e presenta un diametro presunto di cm 14. Interessante è l'annerimento della sua superficie, il che rivela che era adibito ad uso di cottura, un uso tipico per la ceramica comune, destinata a resistere al fuoco.

Di tutt'altro aspetto si presenta il reperto di cui al numero di catalogo St. 10104, che esprime il prodotto di una cultura assai diversa da quella rurale gallica. Si tratta di una ceramica in vernice nera alta 4 cm, con un diametro di 11 cm, un tipico prodotto delle officine dell'Italia meridionale ed in particolare dell'area campana.

La presenza di questo tipo di ceramica, che fu poi imitata e prodotta anche nel nord Italia, rivela in questo secolo la vitalità dei contatti e dei commerci fra l'area insubre gallica e la civiltà romano-italica. Il fatto che si trovi nel corredo tombale del Crotto indica che lo stanziamento gallico di Cassago aveva rapporti commerciali o contatti con i mercanti italici e romani, che in Milano avevano la loro base operativa.

Questa ciotola presenta all'esterno e sul piede il graffito VI di difficile interpretazione, sia nel significato che nella tipologia dei caratteri.

 

I frammenti di ferro

Nella tomba due sono stati i frammenti di ferro recuperati: uno ascrivibile a una lama di cesoia, della lunghezza attuale di 11 cm e un frammento di fibula della lunghezza di 4,5 cm.

Non è possibile allo stato attuale stabilire quale tipo di ferro sia stato usato per la loro costruzione, nè se si sia proceduto alla sua tempratura. Certo è che nel II-I secolo a. C. la civiltà celto-gallica aveva acquisito una grande padronanza delle tecniche siderurgiche ed era in grado di produrre buoni manufatti anche se qualitativamente forse inferiori a quelli della civiltà italica ed etrusca.

Altri prodotti ed utensili in ferro sono stati scoperti a Cassago nelle tombe di una piccola necropoli in località Oriano, che va ascritta alla medesima età e cultura lateniana: si tratta ancora di lame e di una fibula frammentaria. L'ipotesi che questi oggetti possano derivare da una medesima officina va comunque verificata.

L'assenza di ossa nella camera tombale lascia presagire che il rituale funerario in uso fosse quello ad incinerazione. Tale rituale era del resto comune nel Comasco e in Lomellina sia pure con rituali diversi per la deposizione delle ceneri. Non è ancora comparsa la cremazione, che costituisce un rito importato dalle consuetudini funebri del mondo italico-romano. Neppure è presente alcuna moneta secondo l'uso dell'obolo di Caronte.

La tomba del Crotto rivela dunque la presenza di popolazioni galliche in Cassago prima della occupazione romana. Essa va certamente collegata alla presenza di insediamenti preromani alla Pieguzza. In quest'area infatti sono stati riportati alla luce numerosi frammenti ceramici della medesima area culturale lateniana finale, ascrivibile al III-I secolo a. C., che precede la definitiva romanizzazione dell'intero territorio. L'entità di questo insediamento gallo-celtico in Cassago è ancora tutto da scoprire e da esplorare. I reperti della Pieguzza e della tomba del Crotto sono forse solo due esempi, fra altri che potrebbero ancora essere scoperti, di insediamenti di popolazioni preromane in Cassago.

Questa certezza apre nuove frontiere alla ricerca archeologica in questo paese e soprattutto apre un nuovo quesito: qual era il toponimo di Cassago in età gallica? E' molto probabile infatti che la dizione rus Cassiciacum sia solo una romanizzazione dell'etimo originario celto-gallico.