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PITTORI: Janin Georges

Estasi di Ostia

Estasi di Ostia

 

 

JANIN GEORGES

1935

Nancy, Cappella dell'Ospedale Centrale

 

Estasi di Ostia

 

 

 

La vetrata fu realizzata dall'artista vetraio Georges Janin nel 1935 in stile Arty Deco per la Cappella dell'Ospedale Centrale di Nancy costruita dall'architetto Prosper Morey tra il 1879 e il 1883. La scena raffigura l'episodio dell'estasi Ostia che Agostino narra nel IX libro delle Confessioni. La struttura compositiva risente dell'influenza di Ary Scheffer, ma l'autore ha introdotto la novità del bambino che gioca con l'acqua in riva al mare, un chiaro riferimento alla leggenda medioevale che vede protagonista Agostino nel suo tentativo di scoprire il mistero della Trinità.

Sullo sfondo si nota una radura del porto con il mare al cui limite si intravedono una serie di edifici e alcune alte piante. Il balcone, dove si trovano Agostino e Monica, è collegato a una spettacolare scenografia con una barca a vela in primo piano. La scena è focalizzata principalmente sui due personaggi cui fa da contrappeso il bambino sulla spiaggia: Monica tiene fra le mani la mano sinistra di Agostino e volge lo sguardo verso l'alto nella sua ricerca di raggiungere l'eterna beatitudine. Agostino, seduto al suo fianco, con il braccio destro appoggiato ad una sua gamba, volge lo sguardo verso l'alto silenzioso e premuroso, quasi seguendo e accompagnando il suo percorso spirituale.

Entrambi portano in testa il nimbo dei santi ed entrambi hanno un volto decisamente giovanile, quasi fossero trasfigurati.

 

L'episodio è narrato da Agostino in alcune delle pagine più belle delle Confessioni dedicate al commosso ricordo della madre Monica. L'esperienza mistica che viene narrata ebbe luogo tra i due a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

Janin Georges

Georges Janin nacque nel 1884 a Woippy, figlio di Joseph, maestro vetraio e di Gabrielle Caroline Marie Fournier che faceva la sarta. Dopo la guerra franco-prussiana del 1870, con la sconfitta francese e l'annessione della Mosella alla Germania, suo Joseph Janin lasciò la regione della Mosella per trasferirsi a Lille e Arras nel nord della Francia. Dopo la nascita di Georges la famiglia si spostò a Nancy e Joseph Janin lavorò presso lo studio del pittore Victor Höner. Entrò all'Ecole des Beaux-Arts di Nancy nel 1897 seguendo in particolare le lezioni di composizione decorativa di Jacques Gruber. Georges ottenne diversi premi e fu selezionato varie volte per partecipare al concorso generale di composizione decorativa proposto dalla Society for the Encouragement of Art and Industry. Laureatosi nel 1905 iniziò a lavorare nella bottega del padre collaborando con vari artisti dell'Ecole de Nancy. Di questo periodo è la sua partecipazione alla decorazione di Villa Bergeret e alla realizzazione di vetrate per il giardino d'inverno. Georges perfezionò le sue tecniche insieme a suo padre e divenne membro dell'École de Nancy.

Nel corso dell'Esposizione Internazionale dell'Est della Francia nel 1909 a Nancy Georges Janin riuscì a farsi conoscere. Espositore nel palazzo degli arredi e delle terme, ottenne il riconoscimento del suo lavoro con una medaglia d'oro. Sempre nel 1909 acquisì l'officina Eugène Belin & fils cercando di reclutare assemblatori e apprendisti. Nel 1912 avviò una collaborazione con Joseph Benoît, che continuò fino alla fine della prima guerra mondiale. Assieme restaurarono le vetrate della basilica di Saint-Epvre bombardate dagli Zeppelin nel 1914.

Georges Janin sposò Cécile Bettinger nel 1906 da cui ebbe la figlia Josette nel 1912. Georges morì a Nancy nel 1955.