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PITTORI: Alvarez de Sotomayor

Agostino e Monica: l'estasi di Ostia

Agostino e Monica: l'estasi di Ostia

 

 

ALVAREZ DE SOTOMAYOR

1917

Madrid, Collegio Valdeluz

 

Agostino e Monica: l'estasi di Ostia

 

 

 

 

Sotomayor affronta in questa occasione un tema famoso nella iconografia agostiniana: la celebre estasi di Ostia che Agostino narra nel IX libro delle Confessioni. La scena viene impostata dall'artista spagnolo riprendendo alcuni temi già noti: si osservi l'ampio squarcio sul mare e sul porto di Ostia, dove sono all'ancora diverse navi. Il muretto segna una linea netta fra la realtà e il misticismo che pervade i due protagonisti. Agostino è stato raffigurato in piedi, mentre Monica se ne sta seduta: questa scelta riesce a dare movimento ad una scena di per sè statica. Invece i gesti misurati ma realistici di Agostino e Monica riescono a coinvolgere l'osservatore nell'afflato mistico che li sta permeando. I loro visi sono puliti, sereni e rimandano con lo sguardo al cielo, dove sono puntati gli occhi. Le loro teste sono nimbate. Entrambi sono vestiti con dignità ma in semplicità.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

Fernando Alvarez de Sotomayor

Fernando Alvarez de Sotomayor (1875 - Madrid 1960) è stato un pittore spagnolo. Da giovane ha studiato al liceo agostiniano Reale de El Escorial. Ha cercato di intraprendere una carriera dedicata interamente alla pittura, divenendo discepolo di Manuel Dominguez. Trasferitosi a Roma, conosce la pittura rinascimentale e barocca a Firenze, Roma e Venezia. Si mette ben presto in evidenza, dal momento che nel 1904 ottiene il secondo premio al Salone Nazionale delle Belle Arti. Viene premiato ancora nel 1912, e nel 1929 all'Esposizione internazionale di Barcellona. Ottiene riconoscimenti all'estero, come il bronzo a Liegi e l'oro a Monaco di Baviera nel 1909. Continua ad accumulare i premi in mostre internazionali a Barcellona, 1907, e Buenos Aires nel 1910. Membro della Reale Accademia di Belle Arti di San Fernando dal 1922, ne divenne direttore nel 1953. Prima fu nominato professore e poi dirigente della Escuela de Bellas Artes del Cile (1911). E' stato vice-direttore del Museo del Prado dal 1919 e direttore nel 1922, incarico che avrebbe sospeso fino all'avvento della Seconda Repubblica spagnola nel 1931. Ha vinto il premio di pittura Juan March nel 1956. Per celebrare il centenario della sua nascita è stata celebrata nel Palacio di Velázquez una mostra monumentale retrospettiva con oltre un centinaio di sue opere. La sua attività è ben rappresentata in importanti musei in Spagna, in Europa e in America. L'arte di Sotomayor risente principalmente della tradizione Rinascimentale e Barocca in particolare, specificamente Velazquez, i cui ambienti scenici nel ritratto, evoca molte volte. Su di lui ha esercitato inoltre una notevole influenza la pittura fiamminga da Rembrandt a Frans Hals. Accademico di natura e formazione non ha mai seguitole tendenze innovative che stavano emergendo nell'arte di inizio secolo (la cosiddetta arte moderna).