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PITTORI: Ulisse Ciocchi

Il mistero della Trinità: Agostino e il Bambin Gesù in riva al mare

Il mistero della Trinità: Agostino e il Bambin Gesù in riva al mare

 

 

CIOCCHI ULISSE

1609

Chiesa di Santo Spirito a Firenze

 

Il mistero della Trinità: Agostino e il Bambin Gesù in riva al mare

 

 

 

 

L'affresco di Ulisse Ciocchi è stato dipinto nella sagrestia della chiesa di Santo Spirito a Firenze. La scena si riferisce a un episodio famosissimo dal tardo medioevo: Agostino alla ricerca del mistero della Trinità si imbatte in un bambino in riva al mare, che cerca di versare tutta l'acqua in una buca. Il poco ragionevole tentativo del bambino gli fa capire la impossibilità per la mente umana di comprendere il Mistero della Trinità, che il pittore ha rappresentato in mezzo alle nuvole con il Padre e un triangolo. Fanno da gioiosa cornice episodi di vita sul mare. La Sagrestia a pianta ottagonale non doveva accogliere complementi pittorici: fu solo sul finire del Cinquecento che, nella tensione controriformistica di persuadere i fedeli attraverso le immagini, vi furono immesse due grandi pitture, tra cui il noto episodio di Sant'Agostino e il fanciullo. Sullo sfondo di un ampio fondale marino, il santo incontra un angelo dalle forme infantili, intento a travasare con una conchiglia le acque del mare in una buca scavata nella sabbia. Questa fatica rivela ad Agostino quanto sia vano lo sforzo di ragionare sulla natura trinitaria di Dio con gli argomenti della ragione, anziché accettarla per fede. Il Santo indossa la cocolla nera dell'ordine: ai suoi piedi una corona raccoglie le sue insegne, il riccio vescovile e la palma del martirio.

L'autore della pittura è noto come Ulisse Ciocchi da Monte San Savino, soprannominato, per la sua deformità, il Gobbo. La sua firma si vede in una delle conchiglie del litorale. Ciocchi fu tra i collaboratori del Poccetti, presente in varie pitture fiorentine e toscane, con una sua "maniera" pietistica e immaginosa insieme, dove sull'impianto di storie di mite devozione si sovrappongono influssi fiamminghi. Ciocchi lavorò in Santo Spirito per la fiducia che gli accordava l'ordine degli Agostiniani. Sono noti infatti altri suoi dipinti per chiese di quell'ordine: a Monte San Savino anzitutto, nel 1592, ma anche a Pistoia, nel chiostro di San Lorenzo, a Volterra, dove in Sant'Agostino è una Madonna del Soccorso e tre Santi datata 1614.

La scena di Sant'Agostino e il fanciullo risente dello stile compositivo paratattico del Ciocchi e della sua inclinazione a capricciose deformazioni: è palese infatti la sproporzione fra il Santo e il bambino grande e florido davanti a lui. L'innegabile fascino della lunetta risiede soprattutto nella accurata "natura morta" di conchiglie di varie forme e grandezze sparse sulla sabbia, cui corrisponde la "natura viva" di ibis e altri uccelli marini, che si nutrono di crostacei sulla battigia. Proprio del gusto paesistico del Ciocchi è l'aperta veduta del golfo solcato da imbarcazioni, con un monastero e frati sulla destra sotto la protezione di un'alta rupe. Il mare di colore verdolino sotto il cielo nuvoloso si attenua verso l'orizzonte di una rosea luce del tramonto. Brillante come il sole in uno squarcio fra le nubi, domina nel cielo il simbolo tricipide della meditazione: è il triplice viso di Dio in una iconografia che, respinta dal Concilio di Trento, fu abbandonata dagli artisti sul finire del Cinquecento.

La sua aureola triangolare corrisponde alla nuova insegna trinitaria. Può sorprendere che, in una chiesa eretta dall'ordine più attento alla teologia, ancora ai primi del Seicento il simbolo iconografico ortodossa trovasse una così solenne esaltazione: va ricordato, tuttavia, che solo nel 1628, con Urbano VIII, le immagini tricipiti furono condannate alla distruzione.

 

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.