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PITTORI: Jean Baptiste de Champaigne

Agostino scrive il De gratia et libero arbitrio contro l'eresia pelagiana

Agostino scrive il De gratia et libero arbitrio contro l'eresia pelagiana

 

 

JEAN BAPTISTE DE CHAMPAIGNE

1700-1705

Parigi, Edizioni Pillot

 

Agostino scrive il De gratia et libero arbitrio contro l'eresia pelagiana

 

 

 

L'incisione è tratta da un dipinto di Baptiste de Champaigne e venne stampata da Pillot a Parigi rue S. Jacques n. 6. Stranamente Agostino in questa circostanza viene raffigurato mancino. Tutto intorno si nota una grande abbondanza di libri nella biblioteca studio del santo, su sui cade un raggio di luce dall'alto. Agostino è seduto davanti al suo tavolo di lavoro e indossa gli abiti episcopali. Il volto esprime l'atteggiamento di una persona matura nell'età. Una folta barba riccioluta gli scende dal viso fin sul petto. 

In pedice alla stampa viene riportato l'elogio in versi di Agostino e delle sue opere come è riportato nella parte finale del Carmen de ingratis di Prospero d'Aquitania: "Istius ore Flumina librorum mundum effluxere per omnem, Quae mites umiles que bibent, campis que animorum certant vitalis doctrinae immittere vivos.

Segue una lunga scritta in francese tratta sempre da Prospero:

"Les fleurs decoulans en ses ecrits divers, par un heureux deluge inonde l'univers et sortant de sa bouche espandent sa doctrine partout ce qu'en son cours le soleil illumine."

E poi ancora: "Les coeurs humbles et douarde la graces alterés vont estancher leur soif en ces ruisseaux sacrès.

Et l'ame y vient gouter d'un saint plaisir ravie cette eau rejaillissante en l'eternelle vie."

L'incisione si riferisce evidentemente alla eccezionale attività di scrittore e di polemista di Agostino per affermare la vera dottrina cristiana. Ne abbiamo conferma nei due testi citati sulle pagine aperte dei libri che si trovano sulla scrivania del santo: De gratia et libero arbitrio si legge sulla pagina del libro che tiene aperto con la mano destra. Sulla pagina destra dell'altro libro aperto si legge invece de spiritu et littera.

L'occasione che spinse Agostino a redigere questo testo è una discussione all'interno del monastero di Adrumeto suscitata da una sua al prete Sisto sul tema della grazia. Tale lettera, che ne seguiva un'altra in cui Agostino si rallegrava con il prete romano per la chiara presa di posizione antipelagiana, approfondiva i temi della grazia e della libertà in modo da far comprendere come i pelagiani fossero in errore. Essa viene trascritta da un monaco di Adrumeto e portata al proprio monastero. Qui, prima che potesse essere letta in comunità e spiegata dall'abate, alcuni monaci di scarsa cultura la leggono, non la capiscono e ne rimangono turbati, finendo per reazione col sostenere posizioni filo pelagiane.

Agostino, venuto a conoscenza della situazione, prima risponde con la lettera 214 e poi, per definire meglio la questione, scrive il De gratia et libero arbitrio, un testo fondamentale per la dottrina della grazia, particolarmente a motivo della puntigliosa dimostrazione biblica dell'inseparabile binomio: grazia e libertà, come pure dell'altro: grazia operante e grazia cooperante, e dell'altro ancora: vita eterna, mercede e dono.

il libro è stato scritto per delimitare gli opposti estremismi di chi «osa» negare la grazia, per affermare il libero arbitrio, ma anche di chi, per affermare la grazia giunge a negare il libero arbitrio. Agostino, rivolgendosi ai monaci ai quali il testo sarebbe stato inviato, li esorta a sforzarsi di capire una questione difficile e oscura cercando in questo il necessario aiuto di Dio attraverso la preghiera.

Il libero arbitrio viene chiaramente affermato in moltissimi luoghi delle Scritture. In effetti, pensa Agostino, gli stessi precetti divini non avrebbero senso se gli uomini non disponessero di libero arbitrio, come non ha senso dare leggi a chi non ha in suo potere la volontà di osservarle. E siccome gli uomini hanno questa possibilità, cioè posseggono il libero arbitrio, essi, una volta informati dai precetti divini non possono scusarsi se non li rispettano, con l'ignoranza. Qui si riprende il tema per cui del peccato gli uomini sono i soli responsabili e non possono accusare né la loro ignoranza – che non vi è – né, a maggior ragione, Dio stesso, che non tenta mai e non chiama mai al male.

 

 

Jean Baptiste de Champaigne

Come lo zio Philippe nacque a Bruxelles nell'anno 1631 e fu un buon pittore e decoratore di origine fiamminga. A dodici anni Jean Baptiste andò ad abitare a Parigi presso suo zio, il pittore Philippe de Champaigne, che aveva appena perso il figlio Claudio. Ricevette la sua prima istruzione artistica nello studio dello zio che si era stabilito in Francia sin dal 1621. Arricchì la sua formazione con un viaggio a Roma dal 1658 al 1659, dove conobbe le opere di Raffaello e Tiziano. Tornato a Bruxelles divenne membro dell'Accademia di S. Luca, ma poco dopo fece rientro a Parigi dove si mise al lavoro nei cantieri reali diretti da suo zio. In particolare dipinse nell'appartamento del re nel Castello di Vincennes. Nel 1663 entrò a far parte dell'Accademia reale di pittura e scultura. Nel 1671 gli fu offerto il posto di professore nell'Accademia stessa. Dal 1674 decorò il Castello di Versailles, in particolare la Sala di Mercurio e l'oratorio della regina. Jean-Baptiste de Champaigne morì a Parigi, all'età di 50 anni. Noto ed apprezzato pittore religioso, ricevette numerose e importanti commissioni per quadri d'altare, come ad esempio "La lapidazione di S. Paolo a Lystres" (1667), realizzato per la chiesa di Notre Dame e oggi al Museo di Belle arti di Marsiglia.