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CICLo AGOSTINIANo di Morgari Luigi a Ventimiglia

Agostino e il bambino sulla spiaggia

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

LUIGI MORGARI

1922

Ventimiglia, chiesa di sant'Agostino

 

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

La scena propone Agostino mentre sta incontrando un bambino aureolato, che sta giocando con la sabbia in riva al mare. La scena è famosa ed è simbolicamente riferibile alla ricerca che Agostino condusse per comprendere il mistero della Trinità.

La leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149). Secondo Roland Kany [Il pensiero trinitario di Agostino] l'episodio, prima che fosse associato esclusivamente ad Agostino, venne utilizzato in modo simile anche con altri teologi. Secondo Kany il legame con Agostino fu creato dal canonico agostiniano Tommaso da Cantimpré intorno al 1260. La narrazione leggendaria si trova per la prima volta nel Catalogus Sanctorum del vescovo Petrus de Natalibus intorno al 1370 e successivamente divenne un elemento distintivo delle biografie agostiniane e degli episodi leggendari attribuiti al santo.

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del mistero della Trinità, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.

"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.

 

La chiesa di S. Agostino, di stile neogotico, appartenente al complesso conventuale degli Agostiniani, sorge nel cuore della città moderna di Ventimiglia. In questa area, delimitata a ovest dalla rocca della Ventimiglia medioevale e ad est dall'antico sito della romana Albintimilium, nel XIV secolo esisteva solamente una cappella dedicata a S. Simeone, ad uso della piccola comunità insediatasi nel luogo detto Bastia. Nel 1349 il nobile Babilano Curlo, nativo di Ventimiglia, per volontà testamentaria, affida al fratello Nicolò, appartenente alla comunità degli Eremitani di S. Agostino, una somma necessaria per l'edificazione di un convento agostiniano.

Questa disposizione fu soddisfatta solo un secolo e mezzo dopo, nel 1487, quando il Vescovo Alessandro di Campofregoso concesse al Padre Giovanni Battista Poggio e a frate Angelo da Ceva la cappella di S. Simeone e il terreno annesso, per erigere la chiesa e il monastero sub vocabulo Beatae Mariae de Consolatione. Il 1 settembre 1487, il vescovo prese parte alla cerimonia di benedizione e della posa della prima pietra, concedendo indulgenze a coloro che avessero contribuito all'edificazione della chiesa. Il 22 novembre dello stesso anno i religiosi ottennero la licentia pontificia con breve del Papa Innocenzo VIII.

Grazie al contributo degli abitanti di i Ventimiglia il complesso fu costruito in capo a tre anni e venne benedetto dal vescovo nel 1490. La struttura architettonica della chiesa riprende lo stile tardo gotico degli edifici religiosi conventuali a tre navate con volte a crociera sostenute da pilastri compositi. Oltre a quello maggiore, la chiesa possedeva ben 10 altari dedicati a San Nicola da Tolentino, alla Santa Croce, alla Madonna del Rosario, Santissimo Crocifisso, a san Raffaele, a santo Stefano protomartire, a santa Maria Maddalena, a san Nonnoso, a santa Maria Addolorata e a san Cristoforo.

Di fianco al presbiterio e in testa alla navata laterale destra si alza il campanile che mette in comunicazione la chiesa con il convento. La chiesa custodisce un prezioso crocifisso del 1400. Vi si conserva anche una bella tavola di Raffaele de Rossi che raffigura sant'Agostino in mezzo al Battista e a Sant'Antonio Abate. La chiesa, che veniva detta di S. Agostino dall'ordine Agostiniano che la resse per secoli assieme all'annesso Convento, in realtà era dedicata a Nostra Signora della Consolazione. Nel 1887 il terribile terremoto che devastò gravemente l'estremo ponente ligure, danneggiò seriamente anche la chiesa di sant'Agostino che dovette essere chiusa e temporaneamente sostituita con una cappella in legno. A seguito degli interventi di consolidamento e restauro, la chiesa subì una completa trasformazione pittorica dell'interno secondo lo stile neogotico del tempo, con la mutazione del titolo di alcuni altari e l'abbattimento di altri.

Nel 1857 il can. Don Giacomo Roggeri di Taggia, direttore del Seminario, con una serie di restauri importanti, ottenne dal Vescovo Mons. Biale il titolo di parrocchia succursale della Cattedrale e nel 1882 il Vescovo Mons. Reggio la rese autonoma.

L'ultimo ingente danno venne provocato nel 1944 durante la seconda guerra mondiale, quando un bombardamento aereo minacciò la stabilità della chiesa, costringendo il parroco Don G. Orengo a chiuderla per lungo tempo. Con i lavori di restauro e ricostruzione avviati tra il 1945 e il 1958 la chiesa, pur mantenendo l'aspetto architettonico originario, ha assunto una fisionomia più recente nella decorazione e nella parte figurativa degli interni.