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PITTORI: Luca Cambiaso

Madonna in trono con Bambino ed i santi Anna Metterza, Agostino e Nicola da Tolentino

Madonna in trono con Bambino

ed i santi Anna Metterza,

Agostino e Nicola da Tolentino

 

 

LUCA CAMBIASO

1570

Genova, chiesa di san Lorenzo

 

Madonna in trono con Bambino ed i santi Anna Metterza, Agostino e Nicola da Tolentino

 

 

 

La tavola ad olio di Luca Cambiaso, con il probabile aiuto di Luchetto da Genova, è un dipinto di medie dimensioni: 183x128 cm. Raffigura una Madonna in trono con il Bambino in braccio ed i santi Anna Metterza, Agostino e Nicola da Tolentino che fanno da corona attorno al trono dove siede.

Agostino, sulla sinistra, è vestito da vescovo, con la mitra in testa e il bastone pastorale nelle mani. Sotto l'abito porta il saio nero degli agostiniani. Sulla destra si nota la figura di Nicola da Tolentino ben riconoscibile per il giglio che porta in mano.

La terza santa è sant'Anna che è detta anche sant'Anna Metterza, perchè nell'antico linguaggio fiorentino voleva dire: "messa terza", cioè in terza posizione rispetto alle altre due figure.

 

Luca Cambiaso (1527-1585)

Cambiaso (Moneglia 1527-El Escorial 1585) fu impegnato, già da fanciullo, nella bottega del padre, inizia a operare dai primi anni quaranta. Anni di relativa crisi nel panorama pittorico locale, dopo la partenza dei grandi artisti che, alla corte di Andrea Doria, avevano caratterizzato un'innovativa stagione: Perin del Vaga, Pordenone, Beccafumi. Il padre Giovanni, pittore modesto ma desideroso di aggiornare il proprio fare sulla scorta degli esempi del cantiere di Fassolo, del Beccafumi in particolare, indica a Luca questa via come necessaria per far compiere un salto di qualità alla bottega familiare: se i primi impegni sono testimoniati in opere nel contado, la bottega dei Cambiaso presto si affaccia alla ribalta della grande decorazione delle dimore cittadine. Un debutto tutto orientato nel senso di una dirompente novità: nel palazzo di Antonio Doria, al raffaellismo della maniera dei Calvi si oppone l'enfatizzato gigantismo, non insensibile anche al ricordo del Pordenone, di un ciclo realizzato tra 1545 e 1550. La caratteristica di un disegno che va a occupare lo spazio del foglio fino ai bordi con figure in moto vorticoso, distingue l'opera grafica giovanile di Luca. Attivo accanto al padre nella realizzazione e nella decorazione del palazzo è protagonista della scena raffigurante Apollo che saetta i greci: la violenta estremizzazione di figure con sfoggi muscolari in arditi scorci sembrano voler accentuare - ingenuamente - il linguaggio michelangiolesco. L'influsso di Michelangelo - comune a un'intera generazione di artisti - si palesa nella pittura di Luca, traducendosi in un esasperato studio del tema della figura inserita, in movimento, nello spazio, tema che ne accompagnerà l'intera vicenda.

Il Giudizio del santuario di Nostra Signora delle Grazie presso Chiavari (1550) ripropone il problema della sua conoscenza diretta dell'opera di Michelangelo negli anni giovanili. Una conoscenza che, forse limitata dapprima a disegni avuti dalla bottega del Beccafumi, si poté aprire a un'esperienza del Michelangelo fiorentino e a una immediata ricezione delle stampe prodotte in seguito alla decorazione sistina. L'ipotesi di un viaggio a Roma tra 1549 e 1550 ha diviso la critica, ponendo anche il problema di un eventuale contatto tra l'artista genovese e il Tibaldi: caratteri di vicinanza sono stati letti in particolare per l'Adorazione dei Magi della Galleria Sabauda di Torino databile intorno alla metà del secolo. Eletto, nel 1551, Console dell'arte dei Pittori, poté emanciparsi dalla sudditanza paterna: negli affreschi di palazzo Grillo emerge la volontà di Luca di aprire la propria esperienza ai termini raffaelleschi - evidente l'ispirazione dall'incisione da Coxie nella scena con Psiche condotta dinanzi al Concilio degli dei - pur nella fedeltà alla sua particolare analisi della figura (si vedano i disegni preparatori di Ottawa, nella National Gallery, e di collezioni private). La conoscenza di Galeazzo Alessi e del coetaneo Giovan Battista Castello, il Bergamasco, viene considerata già dalle fonti elemento essenziale alla maturazione dell'artista, in funzione di una moderazione della sua «gigantesca» maniera. Con il Castello opera a confronto proprio nella villa progettata dall'Alessi per Luca Giustiniani e in quella dei Pallavicini, dove il Cambiaso realizzò la decorazione di una loggia con l'affresco di Diana e il Satiro. Tra le opere a olio, l'originale soluzione in notturno dell'Adorazione dei Pastori di Brera rivela ancora l'attenzione al Beccafumi. Una scelta di moderazione sembra emergere nella felice pittura del Cambiaso della fine degli anni cinquanta: l'Adorazione dei Magi e la lunetta con Dio Padre per la chiesa della SS. Annunziata di Pontremoli - datata 1558 - mostra l'artista attivo su un itinerario che coincide con la via per l'Emilia e che collima con una sua attenzione per la pittura emiliana. Questa si farà evidente nelle opere dei primi anni sessanta, volte sensibilmente allo studio di Correggio: ne è esempio, intorno al 1562, la tavola con la Vergine il Bambino e S. Giovanni per la chiesa di S. Maria della Cella a Sampierdarena e ancora, alla fine di quel decennio, nel notturno con l'Adorazione dei Pastori per la chiesa di S. Domenico a Bologna (Pinacoteca Nazionale). Del 1559 è la Resurrezione per S. Bartolomeo degli Armeni in Genova, del 1561 la Trasfigurazione per la stessa chiesa, insieme a opere profane tra le quali Venere e amore sul mare o Venere e Adone, oggi entrambi in Galleria Borghese. Sempre intorno al 1560 Luca Cambiaso è impegnato accanto al Castello in una serie di cantieri in dimore private e in edifici religiosi. È il caso di Palazzo Imperiale e della chiesa di S. Matteo.

La continua meditazione dell'artista sulle problematiche della resa spaziale della figura trova riscontro, in questo periodo centrale della sua attività, in una formidabile produzione disegnativa. La figura «lineata» attraverso la sua progressiva geometrizzazione (dall'Enea in fuga con Anchise del Louvre ai manichini delle Figure degli Uffizi) si pone in rapporto con uno spazio ampio, in un'esperienza che parte della meditazione degli affreschi di Michelangelo della cappella Paolina (si veda il disegno con la Caduta di Paolo agli Uffizi). La sperimentazione trova riscontro nei grandi cicli decorativi della metà degli anni sessanta e fino agli anni settanta. Vivacità cromatica, scorci di grande arditezza e un repertorio dell'antico ricercato nelle iconografie caratterizzano il Ratto delle Sabine, dipinto nella villa Imperiale a Terralba, mentre un'impalcatura di raffinati stucchi ideati dal Castello nel 1565 fa da supporto all'affresco con Ulisse che saetta i Proci nel salone di palazzo Grimaldi della Meridiana, entrambi da porre in rapporto con splendidi disegni progettuali (Edimburgo, National Gallery of Scotland e Stoccolma, Nationalmuseum). Ancora in rapporto con un progetto decorativo del Bergamasco si pone l'intervento del Cambiaso nella cappella Lercaro in duomo, dopo la partenza del Castello per la Spagna nel 1567. Sempre per Franco Lercaro, Cambiaso eseguirà, ormai negli anni settanta, l'affresco per il grande salone del palazzo di Strada Nuova con La costruzione del fondaco di Trebisonda. È un atteggiamento che procede in quegli anni caricandosi anche di valenze religiose. Semplificazione, abbassamento dei toni, tendenza al notturnismo, abbandono progressivo delle ricercatezze pittoriche sono elementi praticati con un atteggiamento che lo avvicina a esperienze coeve come la pratica meditativa ignaziana. Con l'aiuto del lume artificiale, nella notissima Madonna della Candela di Palazzo Bianco, la vista reale segue la vista immaginativa, l'occhio della mente è la guida di una rappresentazione assolutamente concettuale. Sono riferibili agli anni settanta soggetti come Cristo dinanzi a Caifa dell'Accademia Ligustica, la pala con la Pietà della basilica di S. Maria Assunta in Carignano (1575) e, forse dopo un viaggio a Roma del 1582, la Deposizione della Croce di San Martino d'Albaro. Una seppur fugace presenza a Roma che, a contatto con la maniera degli Zuccari, del Muziano dello Zucchi, non poteva che confermare le sue linee di tendenza, ribadite nella Deposizione dell'Accademia Ligustica. Sono prodromi della chiamata presso la corte di Filippo II. Concorreva a questo la assodata capacità del Cambiaso di operare sia a olio che ad affresco.

D'altro canto aveva già mostrato nel suo eclettismo una almeno superficiale attenzione alla pittura veneta, tanto cara a Filippo II: nel 1581 Cambiaso inviava il dipinto per l'altare maggiore dell'Escorial con il Martirio di S. Lorenzo, che doveva sostituire l'analogo soggetto del Tiziano. Nell'ottobre del 1583 Cambiaso giunse in Spagna e immediatamente gli vennero commissionati i grandi dipinti a olio. Spinto dalla fretta pressante per la conclusione del progetto dell'Escorial e incalzato già dalle critiche dopo le prime prove, Cambiaso affronta l'immane compito della decorazione a fresco di uno spazio che è privo di partizioni. Il disegno che gli viene imposto semplifica e banalizza le proposte già moderate fatte dall'artista: l'esito, in particolare per l'affresco della volta del coro con la Gloria della Trinità, è sconcertante e coerente a un tempo con il pieno adeguamento della struttura pittorica alle disposizioni del re e dei suoi consiglieri, con la pittura ridotta a pura esecuzione tecnica e deprivata di ogni interpretazione personale. Al centro della scena l'esaltazione della forma cubica, se esprime il disegno teologico e dell'intero programma dell'Escorial, sintetizza anche il percorso dell'artista.