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PITTORI: Giovanni Lanfranco

Agostino medita il mistero della Trinità

Agostino medita il mistero della Trinità

 

 

LANFRANCO GIOVANNI

1616

Roma, chiesa di sant'Agostino Cappella Bongiovanni

 

Agostino medita il mistero della Trinità

 

 

 

Si tratta di una grande tela che si trova nella Cappella dei SS. Agostino e Guglielmo nella chiesa di S. Agostino a Roma. Questa cappella è una delle poche che ha mantenuto le pure linee architettoniche rinascimentali. Oltre a questa tela nella stessa cappella vi è un'altra opera del Lanfranco: S. Agostino risanato e consolato dalla Vergine. Il Lanfranco lavorò a queste opere quando aveva ormai trent'anni ed era nella sua piena maturità. In questa tela viene rivisitato il famoso episodio delle leggende medioevali in cui il santo incontra su una spiaggia un bambino che gli fa intendere l'impossibilità per l'uomo di capire la Trinità, che Agostino cercava con insistenza e che il pittore dipinge in alto nel cielo nelle figure del Padre, del Figlio e della colomba-Spirito Santo. Questo opere costituiscono il suo capolavoro di quel periodo romano, dove la decorazione della cappella Buongiovanni viene sviluppata con l'esecuzione della prima cupola barocca, sebbene su scala relativamente ridotta, introducendo a Roma l’illusionismo del Correggio.

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.

 

 

Giovanni Lanfranco

Nato a Terenzo, presso Parma nel 1582 e morto a Roma nel 1647, Lanfranco fu tra gli artisti più significativi del barocco romano. Studiò presso Agostino Carracci a Parma con il quale partecipò alla decorazione del Palazzo del Giardino a Parma. Dopo la morte di Agostino, fu inviato dal duca Ranuccio Farnese a Roma per studiare presso Annibale Carracci, con il quale lavorò per la realizzazione della decorazione della Galleria Farnese. Collaborò anche con Guido Reni per la decorazione di San Gregorio al Celio. Nel primo decennio del XVII secolo Lanfranco cominciò a farsi conoscere a Roma, dove avrebbe svolto la maggior parte della sua attività. La popolarità del drammatico stile barocco di Lanfranco è dovuta soprattutto agli affreschi eseguiti nella principali chiese romane. Dopo la morte di Annibale, nel 1609, tornò per qualche tempo in Emilia ma nel 1612 circa ritornò a Roma, dove gradualmente soppiantò il grande avversario Domenichino come più importante affreschista della città. Il loro lavoro può essere messo a confronto nella chiesa di Sant'Andrea della Valle; Domenichino dipinse l'abside e i pennacchi della cupola, ma Lanfranco fu ricompensato con l'incarico dell'Assunzione della Vergine (1625-1627) all'interno della cupola. L'affresco è una delle opere chiave dell'arte barocca e segnò la fine del dominio del classicismo della scuola bolognese a Roma. Lanfranco esercitò una vasta influenza, ispirando direttamente artisti napoletani come Mattia Preti, Francesco Solimena e Luca Giordano. La pittura da cavalletto di Lanfranco è molto meno rinomata ma egli creò splendide opere anche in questo campo. Particolarmente degne di nota sono l'Estasi di santa Margherita da Cortona (1622, Pitti, Firenze) e Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli (1605 ca, Museo di Capodimonte, Napoli), un dipinto originalissimo nel quale la santa in estasi è trasportata dagli angeli in volo su una veduta poetica ed evocativa della campagna romana.

Ispirandosi direttamente alle grandi cupole correggesche, giunse a impianti spaziali dominati dallo scorcio e dal dinamismo delle masse, arrivando alla realizzazione di uno dei suoi capolavori: la decorazione della cupola di S. Andrea della Valle che gli diede grande fama e prestigiose commissioni come la decorazione della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, dove si trasferì dal 1634 al 1647. Sempre a Napoli dipinse i cicli di affreschi per la Certosa di San Martino ed eseguì la decorazione della cupola di San Gennaro (il Duomo). Giovanni Lanfranco morì a Roma nel 1647.