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PITTORI: Carlo Maratta

Studio dell'Immacolata Concezione con i santi Giovanni, Gregorio, Giovanni Crisóstomo e Agostino

Studio dell'Immacolata Concezione con i santi Giovanni, Gregorio,

Giovanni Crisóstomo e Agostino

 

 

MARATTA CARLO

1685-1686

Madrid, Accademia di San Fernando

 

Studio dell'Immacolata Concezione con i santi Giovanni, Gregorio, Giovanni Crisóstomo e Agostino

 

 

 

Questo disegno di Maratta costituisce uno studio dell'Immacolata Concezione con la presenza dei santi Giovanni, Gregorio, Giovanni Crisóstomo e Agostino.

Fu eseguito verso il 1685-1686 su carta a grana chiara con la tecnica della sanguigna e rivisto in inchiostro seppia. Le sue dimensioni misurano 53 x 37 cm. La filigrana del foglio presenta l'agnello mistico inscritto in doppio cerchio con la lettera A nella parte superiore e la N in quella inferiore.

Il disegno venne acquistato dal Museo nel 1775 da Rosalía O'Moore, vedova di Andrea Procaccini, discepolo di Carlo Maratti e pittore da camera del re Filippo V.

A inchiostro nell'angolo in basso a sinistra si legge l'annotazione: "F". Il disegno preparatorio serviva per la realizzazione della tela che doveva presentare "l'Immacolata Concezione con san Giovanni, San Gregorio, San Giovanni Crisostomo e S. Agostino" e che era stata commissionata per la Cappella Cybo di Santa Maria del Popolo a Roma dal cardinale Cybo Alderano (1612-1700). Il quadro fu dipinto intorno al 1685-1686.

 

La Basilica di S. Maria del Popolo sorge dove in epoca romana erano allocati i sepolcri dei Domizi Enobarbi, la gens a cui apparteneva l'imperatore Lucio Domizio Enobarbo, meglio noto come Nerone. Secondo Svetonio le ceneri di Nerone era state sepolte in questo luogo in un'urna di porfido. Nel passato era credenza comune che il luogo fosse infestato dai demoni che si manifestavano sotto forma di corvi. La leggenda assicurava che di notte in questi luoghi vagasse lo spirito di Nerone. Nel 1227 Papa Gregorio IX consacrò su quest'area una nuova chiesa costruita in stile gotico. Nel nuovo edificio sacro trasferì nel 1231 dal Laterano un'icona bizantina. Della struttura originaria rimane oggi il campanile in stile tardo gotico, con pinnacoli agli angoli e cuspide conica rivestita in cotto.

Fu Papa Sisto IV Della Rovere a volere la ricostruzione della chiesa nell'aspetto che ha attualmente. Nel 1477, come riporta il Vasari, venne realizzata la nuova facciata da Baccio Pontelli e da Meo di Caprina. Altri ritengono che più probabilmente fu Andrea Bregno a realizzare l'opera. Sisto V annovera la Basilica Santa Maria del Popolo tra le sette chiese da visitare nell'Anno Santo del 1625 per ottenere le indulgenze. Fu poi Papa Alessandro VII Chigi ad assegnare a Gian Lorenzo Bernini il compito di ristrutturare la chiesa in uno stile più moderno. L'interno della chiesa è a croce latina, a tre navate, con quella centrale più alta rispetto a quelle laterali.

 

 

Carlo Maratta

Entrò nella bottega romana di Andrea Sacchi, dove restò fino al 1636. La sua cultura artistica si formò sugli esempi dei bolognesi, in particolare Giovanni Lanfranco e Guercino. Divenne il fondatore di quell'Accademia romana che impose un indirizzo classicheggiante alla cultura del secondo Settecento. Della produzione anteriore al 1650 restano un affresco in San Giovanni in Fonte a Roma, condotto su cartone del Sacchi, una pala d'altare dipinta per Taddeo Barberini e destinata a Monterotondo. La pittura del Maratta fu esaltata da Giovan Pietro Bellori che ne elogiava la grazia e la purezza di composizione. Nel periodo 1653-1655 segna un accostamento al Lanfranco, che diventa molto più evidente nel quadro con Sant'Agostino per Santa Maria dei Sette Dolori. Le grandi decorazioni per Palazzo Altieri e San Pietro in Vaticano a Roma, e per il duomo di Urbino costituiscono una novità nel campo delle decorazioni scenografiche, diverse da quelle barocche coeve. Nel 1702 fu incaricato della pulitura degli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane. Fu un grande ritrattista, attento alle raffinatezze del colore. Negli ultimi anni della vita si ritirò a vivere a Genzano di Roma, in un palazzetto rococò di cui era stato anche architetto. Il tentato ratto di Faustina, ad opera del signore di Genzano Giangiorgio Sforza Cesarini, nel 1703, lo costrinsero a lasciare la cittadina sui Colli Albani per stabilirsi definitivamente a Roma, dove morì nel 1713.