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PITTORI: Westerhout Arnold

Santa Teresa e sant'Agostino

Santa Teresa e sant'Agostino

 

 

ARNOLD VAN WESTERHOUT

1710-1716

Roma, Istituto Nazionale per la Grafica

 

Santa Teresa e sant'Agostino

 

 

 

Questa stampa a bulino del primo Settecento è opera dell'incisore Arnold Van Westerhout.

L'opera dalle dimensioni di mm 174x125 ha per soggetto una visione di sant'Agostino e della Maddalena che influenzarono l'opera e la vita di santa Teresa d'Avila.

Il senso della scena viene esplicato nella nota a piè di immagine dove si può leggere: "B. THERESIA NEGLECTOS DIES CORAM CRUCIFIXO DEPLORANS SS. AUGUSTINI AC MAGDALENAE PATROCINIO COLLOETANTIBUS ANGELIS DIMISSA FUIT IN PACE."

C'è un chiaro riferimento e un parallelismo tra la seconda conversione della santa e la conversione di Agostino nel giardino della casa milanese dove Agostino abitava. Il santo si vede in secondo piano seduto con in mano un libro che sta sfogliando in un giardino.

Sempre in secondo piano si vede il Golgota con la croce che riprende la scena principale di santa Teresa in ginocchi davanti al crocifisso.

La tavola fa parte di una serie di incisioni che narrano la vita di santa Teresa.

Il legame di Teresa di Gesù con sant'Agostino, si sviluppa proprio nel momento in cui la santa "scopre" le Confessioni e trova per la prima volta una conferma e un conforto a quello che lei stessa stava vivendo.

Così Teresa scrive nella Vita: «Mi dettero in quel tempo le «Confessioni di S. Agostino», e credo per un tratto di divina provvidenza, perché non solo non le avevo cercate, ma neanche sapevo se esistessero. Io sono molto devota di S. Agostino: primo, perché il monastero nel quale sono stata da secolare era del suo Ordine, e poi perché era stato peccatore. I santi che furono peccatori e che Dio chiamò al suo servizio mi consolavano molto, parendomi di trovare in essi un appoggio, nella fiducia che il Signore perdonasse a me, come aveva a loro perdonato. Però, ripeto, mi desolava molto il fatto che essi, chiamati da Dio una volta, non l'avevano più abbandonato, mentre io sono stata chiamata un infinito numero di volte, e questo mi affliggeva. Ma riprendevo coraggio, pensando all'amore che Egli mi portava, perché mai ho diffidato della sua misericordia, bensì di me stessa, e molte volte. (…) Cominciando a leggere le "Confessioni di S. Agostino", mi parve di vedere in esse la mia vita, e mi raccomando molto a questo santo glorioso. Quando giunsi alla sua conversione e lessi della voce che udì in giardino, ne ebbi una così viva impressione come se l'udissi pur io, e per lungo tempo rimasi a sciogliermi in lacrime con l'anima travagliata da grandissima lotta. Oh, la libertà che mi rendeva padrona! lo mi stupisco di aver potuto sopravvivere a tanta angoscia! Sia benedetto Colui che mi mantenne in vita per farmi uscire da morte così funesta!» (Vita 9, 7-8)

In questo breve passo della Vita Santa Teresa fa riferimento ad un episodio specifico delle Confessioni di sant'Agostino, episodio che si inserisce nel racconto della conversione, presente nell'ottavo libro: il famoso passo del «prendi e leggi». Agostino, dopo aver ascoltato il racconto della conversione di due funzionari di Treviri, narrato dall'amico e compatriota Ponticiano, sente nascere in sé una forte e lacerante crisi interiore, in cui il Signore lo faceva ritornare su se stesso per scoprirne tutte le brutture e malvagità, e gli faceva prendere chiara coscienza di quanto fosse lontano da Lui1. Nel mezzo di questo grande tumulto del cuore (di questo si parla nelle Confessioni), Agostino, in un impeto d'azione, si precipita dall'amico Alipio, che a sua volta aveva ascoltato il racconto di Ponticiano: perché tutto questo tormento di fronte alla conversione dei due agentes in rebus di Treviri? come rispondere? che fare? Inizia così l'episodio che santa Teresa ricorda in Vita 9, 8, quello della voce udita nel giardino.

Santa Teresa, alla lettura di questo brano, scoppia anch'essa in lacrime disperate, perché si sente coinvolta totalmente dal racconto: quell'invito lascia in lei una viva impressione, lei dice «come se l'udissi pure io». E infatti quella lettura e quel pianto non furono inutili. La Santa prosegue: «Certo che Egli dovette ascoltare i miei gemiti e muoversi a pietà delle mie lacrime. Cominciai col sentirmi crescere il desiderio di stare più a lungo con Lui e di togliermi dagli occhi tutte le occasioni cattive, lontana dalle quali mi davo subito ad amare il Signore» (Vita 9, 9).

Per santa Teresa è una vera scoperta: sant'Agostino e in particolare le Confessioni resteranno per lei punti di riferimento sicuri e utili nel suo messaggio. La riflessione agostiniana sulla «dispersione nel molteplice» e sulla «dissipazione» di se stessi e della propria vita sembra trovare nuova voce nelle parole di Teresa: «di passatempo in passatempo, di vanità in vanità, di occasione in occasione cominciai a mettere di nuovo in pericolo la mia anima» (Vita 7, 1).

In Agostino Teresa ha trovato l'esempio di un santo peccatore, che il Signore ha scelto per guidare il suo popolo, come lei stessa ammette, un santo che si è convertito dopo l'incontro decisivo con il Signore Gesù, «il Figlio incarnato e crocifisso di Dio»4. È dunque ancora più indubbio che tra i due santi, «maestri dell'interiorità» (e non per caso entrambi dottori della Chiesa) potessero esserci, con tutte le dovute distinzioni, affinità e richiami di esperienza e di messaggio.

 

Santa Teresa d'Avila (Teresa Sánchez de Cepeda Ávila y Ahumada, in religione Teresa di Gesù) nacque ad Ávila nel 1515, a 85 km a nord-ovest di Madrid e morì a Alba de Tormes nel 1582. E' stata una religiosa e mistica spagnola fra le figure più importanti della Controriforma cattolica grazie alla sua attività di scrittrice e di riformatrice degli ordini religiosi. Fu la fondatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi. È venerata come santa dalla Chiesa cattolica e è considerata una dei 33 Dottori della Chiesa. I suoi profondi e religiosi ideali ascetici le furono trasmessi fin da quando era bambina dal padre, il cavaliere Alonso Sánchez de Cepeda, e specialmente dalla madre, Beatrice d'Ávila y Ahumada. Nel 1528 all'età di 13 anni perse la madre che morì per una grave malattia. Venne inviata 3 anni dopo dal padre presso le suore agostiniane di Ávila, ma qui ne uscì un anno dopo nel 1532 perché si ammalò gravemente.

 

 

Arnold Westerhout

Nasce nel 1651 ad Anversa, dove viene battezzato il 21 febbraio. Fra il 1665 e il 1666 entra come apprendista nella bottega dell'incisore Alexandre Goquier e nel 1673-1674 viene ammesso alla Gilda di san Luca dei pittori di Anversa. Nel 1679 lo troviamo a Venezia probabilmente in compagnia di Pierre van Sikkeleer. Dal 1681 al 1725, anno della morte, abita a Roma, dove viene censito negli Stati d'anime del 1681-1686 e del 1693-1725. Tra il 1681 e il 1686 abita alla salita di san Giuseppe con Corneis Bloemaert, di cui è esecutore testamentario (1682) e incaricato di vendere i suoi beni. Nel 1682 vive con loro anche il fratello minore Balthasar (1656-1738) che, lasciata Roma, nel 1683 si stabilisce a Praga dove lavora come incisore. Nel 1685 Arnold vive assieme a Joseph Juster e l'anno dopo con lo stesso Juster e Jan Allet, tutti incisori. L'appartamento accanto era occupato in questi anni da Jacques Blondeau che collabora con Arnaold van Westerhout per i frontespizi di due tesi il Trionfo di Jean III Sobieski (1684) e Leopoldo I riceve la sottomissione dell'Africa e dell'Asia (1685). Dal 1690 al 1692 si trasferisce a Firenze. Ritorna quindi a Roma dove riceve un pagamento per il frontespizio della tesi dell'abate Alessandro Zandadari. Durante questa rima afse della sua carriera Arnold lavora soprattutto a bulino modificando il suo stile inizialmente duro e secco sotto l'influenza di Bloemaert. Traduce opere di artisti diversi, frontespizi di tesi, e nel 1686-1687 incide una serie di tavole con scene di vita popolare romana le Caricatures Pittoresques.

Tra il 1693 r il 1719 si trasferisce a vivere alla salita di san Giuseppe, nel territorio parrocchiale di san Nicola in Arcione, con la moglie Angela del Pulco di Borgo San Sepolcro. Al ritorno da Firenze la sua attività è prevalentemente commerciale. Le informazioni presenti sulle numerose tavole incise dall'artista forniscono i diversi indirizzi della sua bottega: dall'atelier presso la sua stessa abitazione alla Salita di San Giuseppe (1685) a quello "alli Cesarini" (1686-1697), e ancora a S. Ignazio (1687) e in Parione (1689-1690), infine alle Muratte, presso la sua ultima dimora dal 1721 alla morte.

Nel 1715 muore sua moglie e nel 1716 sposa Maddalena Antonini, che potrebbe essere la vedova di Antonio Barone, tessitore della parrocchia di S. Andrea delle Fratte. la coppia si trasferisce nel 1720 in Vicolo dei Chiodaroli. Nel 1725 Arnold detta il suo testamento e un mese dopo muore nella sua casa alle Muratte a 76 anni. Viene sepolto nela chiesa di S. Andrea delle Fratte.