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PITTORI: Maestro di Fermo

Madonna col Bambino e i santi Agostino, Antonio abate e Antonio da Padova

Madonna col Bambino e i santi Agostino,

Antonio abate e Antonio da Padova

 

 

MAESTRO DI FERMO

XV secolo

Fermo, chiesa di sant'Agostino

 

Madonna col Bambino e i santi Agostino, Antonio abate e Antonio da Padova

 

 

 

 

L'affresco risale al Quattrocento e si trova vicino all'ingresso. Nell’atrio della chiesa sono visibili infatti sia un affresco del Trecento con la Natività sia questo dipinto dei primi del Quattrocento che rappresenta la Madonna col Bambino e i santi Agostino, Antonio abate e Antonio da Padova. Agostino vi è stato raffigurato a destra della Vergine che tiene in braccio il Bambino Gesù. Sulla sinistra si vede la rappresentazione di Antonio abate nel suo tipico aspetto di eremita. Agostino indossa abiti vescovili, ha la mitra in testa coronata da un nimbo. Sotto i paramenti si nota la cocolla nera degli agostiniani, a cui apparteneva la chiesa. Si tratta di una grande chiesa di fondazione romanico-gotica, risalente alla metà del XIII secolo, trasformata nel 1360 ca. e successivamente modificata. Presenta un’alta facciata a due ordini, preceduta da una scalinata. Resti della costruzione primitiva sono visibili sul fianco destro.

 

La vita di Antonio abate è nota grazie alla Vita Antonii pubblicata nel 357, opera agiografica attribuita ad Atanasio, vescovo di Alessandria, che conobbe Antonio e fu da lui coadiuvato nella lotta contro l'Arianesimo. L'opera divenne popolare sia in Oriente che in Occidente e diede un contributo importante all'affermazione degli ideali della vita monastica. Grande rilievo assume, nella Vita Antonii la descrizione della lotta di Antonio contro le tentazioni del demonio. Un significativo riferimento alla vita di Antonio si trova nella Vita Sanctii Pauli primi eremitae scritta da Sofronio Eusebio Girolamo verso il 375. Vi si narra l'incontro, nel deserto della Tebaide, di Antonio con il più anziano Paolo di Tebe. Il resoconto dei rapporti tra i due santi (con l'episodio del corvo che porta loro un pane affinché si sfamino, sino alla sepoltura del vecchissimo Paolo ad opera di Antonio) vennero poi ripresi anche nei resoconti medievali della vita dei santi, in primo luogo nella celebre Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.

La popolarità della vita del santo – esempio preclaro degli ideali della vita monastica - spiega il posto centrale che la sua raffigurazione ha costantemente avuto nell'arte sacra. Una delle più antiche immagini pervenutaci, risalente al VIII secolo, è contenuta in un frammento di affresco proveniente dal convento di Apollo a Bawit (Egitto).

 

Un certo giorno ecco viene a trovarci, Alipio e me, né ricordo per quale motivo era assente Nebridio, un certo Ponticiano, nostro compatriota in quanto africano, che ricopriva una carica cospicua a palazzo. Ignoro cosa volesse da noi. Ci sedemmo per conversare e casualmente notò sopra un tavolo da gioco che ci stava davanti un libro. Lo prese, l'aprì e con sua grande meraviglia vi trovò le lettere dell'apostolo Paolo, mentre aveva immaginato fosse una delle opere che mi consumavo a spiegare in scuola. Allora mi guardò sorridendo e si congratulò con me, dicendosi sorpreso di aver improvvisamente scoperto davanti ai miei occhi quel testo e quello solo. Dirò che era cristiano e battezzato; spesso si prosternava in chiesa davanti a te, Dio nostro, pregandoti con insistenza e a lungo. Io gli spiegai che riservavo la massima attenzione a quegli scritti, e così si avviò il discorso. Ci raccontò la storia di Antonio, un monaco egiziano, il cui nome brillava in chiara luce fra i tuoi servi, mentre per noi fino ad allora era oscuro. Quando se ne avvide, si dilungò nel racconto, istruendoci sopra un personaggio tanto ragguardevole a noi ignoto e manifestando la sua meraviglia, appunto, per la nostra ignoranza. Anche noi eravamo stupefatti all'udire le tue meraviglie potentemente attestate in epoca così recente, quasi ai nostri giorni, e operate nella vera fede della Chiesa cattolica. Tutti eravamo meravigliati: noi, per quanto erano grandi, lui per non essere giunte al nostro orecchio.

AGOSTINO, Confessioni, 6, 14