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lettera 21      a  valerio

 

Scritta nel 391

a Ippona

 

Agostino, ordinato prete della chiesa d'Ippona (inizio del 391) soprattutto per predicare la parola di Dio, e perciò di fronte alle difficoltà e ai pericoli che presenta tale ufficio (n. 1) e a causa dei quali egli pianse durante l'ordinazione sacerdotale (n. 2), prega e scongiura il vescovo Valerio di concedergli un periodo di ritiro al fine di ben prepararsi al ministero sacerdotale (n. 3-4), dovere di cui dovranno rispondere a Dio stesso Agostino e il vescovo (n. 5-6).

 

1.   Ante omnia peto, ut cogitet religiosa prudentia tua, nihil esse in hac vita, et maxime hoc tempore, facilius et laetius, et hominibus acceptabilius episcopi, aut presbiteri, aut diaconi officio si perfunctorie atque adulatorie res agatur: sed nihil apud Deum miserius, et tristius, et damnabilius. Item nihil esse in hac vita, et maxime hoc tempore difficilius, laboriosius, periculosius episcopi, aut presbiteri, aut diaconi officio; sed apud Deum nihil beatius, si eo modo militetur quo noster imperator iubet (1 Tm 1, 18 s.; 2 Tm 2, 4). Quis autem iste sit modus, nec a pueritia, nec ab adolescentia mea didici: et eo tempore quo discere coeperam, vis mihi facta est, merito peccatorum meorum (nam quid aliud existimem nescio), ut secundus locus gubernaculorum mihi traderetur, qui remum tenere non noveram.

1.  Innanzitutto io prego la tua religiosa prudenza di considerare che in questa vita e soprattutto in questo tempo non v'è nulla di pìù facile, piacevole e gradito agli uomini della dignità di vescovo o di prete o di diacono, ma nulla di più miserabile, funesto e riprovevole davanti a Dio se lo si fa negligentemente e con vile adulazione. E che parimenti non v'è nulla in questa vita, e soprattutto in questo tempo, di più difficile, faticoso e pericoloso, ma nulla è più felice agli occhi di Dio, della dignità di vescovo o di prete o di diacono se si assolva a questa milizia nel modo prescritto dal nostro capitano. Quale sia questo modo io non lo appresi né da fanciullo né da adolescente; e, nel tempo in cui avevo cominciato ad apprenderlo mi fu fatta violenza a causa dei miei peccati (non so infatti a che altro debba pensare) per assegnare il secondo posto al timone a me, che non sapevo tenere il remo in mano.

 

2.   Sed arbitror Dominum meum propterea me sic emendare voluisse, quod multorum peccata nautarum, antequam expertus essem quid illic agitur, quasi doctior et melior reprehendere audebam. Itaque posteaquam missus sum in medium, tunc sentire coepi temeritates reprehensionum mearum; quamquam et antea periculosissimum iudicarem hoc ministerium. Et hinc erant lacrymae illae quas me fundere in civitate, ordinationis meae tempore, nonnulli fratres animadverterunt, et nescientes causas doloris mei, quibus potuerunt sermonibus, qui omnino ad vulnus meum non pertinerent, tamen bono animo consolati sunt. Sed multo valde ac multo amplius expertus sum, quam putabam: non quia novos aliquos fluctus aut tempestates vidi quas ante non noveram, vel non audieram, vel non legeram, vel non cogitaveram; sed ad eas evitandas aut perferendas solertiam et vires meas omnino non noveram, et alicuius momenti arbitrabar. Dominus autem irrisit me, et rebus ipsis ostendere voluit meipsum mihi.

2.  Ma io penso che il mio Signore abbia voluto in questo modo correggermi perché, prima di aver sperimentato quali siano i compiti di tale ufficio, osavo riprendere le colpe di molti nocchieri quasi fossi più dotto e migliore di loro. E così, dopo che fui lanciato in mezzo al mare, allora cominciai a comprendere l’avventatezza delle mie riprensioni, sebbene anche prima giudicassi molto pericoloso questo ministero. E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione; e non conoscendo le ragioni del mio dolore mi consolarono, pur con buone intenzioni, con i discorsi di cui furono capaci ma che non avevano nulla a che vedere con la mia ferita. Ma vi ho fatto un'esperienza molto più pesante e più vasta di quello che pensavo; non perché abbia visto dei nuovi flutti o delle tempeste che prima non avessi conosciuto o di cui non avessi sentito parlare o non avessi letto o che non avessi immaginato; bensì perché non sapevo affatto di quali capacità e forze disponessi per evitarle o sopportarle, e perciò le tenevo in qualche conto. Ma il Signore mi ha irriso e ha voluto rivelarmi a me stesso con l'esperienza stessa delle cose.

 

3.   Quod si non damnando, sed miserando fecit, hoc enim spero certe vel nunc cognita aegritudine mea, debeo Scripturarum eius medicamenta omnia perscrutari, et orando ac legendo agere, ut idonea valetudo animae meae, ad tam pericolosa negotia tribuatur; quod ante non feci, quia et tempus non habui. Tunc enim ordinatus sum, cum de ipso vacationis tempore ad cognoscendas divinas Scripturas cogitaremus, et sic nos disponere vellemus, ut nobis otiumad hoc negotium posset esse. Et quod verum est, nondum sciebam quid mihi deesset ad tale opus, quale me nunc torquet et conterit. Quod si propterea in re ipsa didici quid sit homini necessarium, qui populo ministrat sacramentum et verbum Dei, ut iam non mihi liceat assequi quod me non habere cognovi: iubes ergo ut peream, pater Valeri! Ubi est caritas tua?

certe diligis me? certe diligis ipsam Ecclesiam cui me sic ministrare voluisti? Et tamen certus sum quod et me et ipsam diligis. Sed putas me idoneum, cum ego melius me noverim, qui tamen nec ipse me nossem, nisi experiendo didicissem.

3.  E se ha fatto questo non per condanna ma per misericordia (lo spero infatti fermamente, almeno ora che ho conosciuto la mia infermità), debbo accuratamente ricercare tutti ì rimedi contenuti nelle sue Scritture, e pregando e leggendo fare in modo di ottenere per l'anima mia uno stato di salute adeguato a incombenze così pericolose: cosa che non ho fatto prima anche perché non ne ho avuto il tempo. Infatti fui ordinato proprio quando pensavo di impiegare il tempo libero per conoscere le divine Scritture e volevo regolare le cose mie in modo da avere libertà di attendere a questo lavoro. E in verità non sapevo ancora che cosa mi mancasse per un compito quale è quello che ora mi tormenta e mi consuma. Che se io pertanto ho appreso che cosa sia indispensabile a un uomo che amministra al popolo i Sacramenti e la parola di Dio a contatto con la realtà stessa, cosicché non ho più la possibilità di conseguire ciò che mi sono accorto di non possedere, vuoi dunque che io muoia, o padre Valerio? Dov'è la tua carità? Mi ami davvero? Ami davvero la Chiesa stessa di cui hai voluto che io fossi ministro in tale stato? Eppure io sono certo che ami tanto me quanto Lei, ma mi giudichi idoneo, mentre io mi conosco meglio; e tuttavia nemmeno io mi conoscerei se non avessi imparato attraverso l'esperienza.

 

4.   Sed dicit fortasse Sanctitas tua: vellem scire quid desit instructioni tuae. Tam multa autem sunt, ut facilius possim enumerare quae habeam, quam quae habere desidero. Auderem enim dicere, scire me, et plena fide retinere quid pertineat ad salutem nostram. Sed hoc ipsum quomodo ministrem ad salutem aliorum, non quaerens quod mihi utile est, sed quod multis, ut salvi fiant ? Et sunt fortasse aliqua, imo non est dubitandum esse, in sanctis Libris conscripta consilia, quibus cognitis et apprehensis possit homo Dei rebus ecclesiasticis ordinatioribus ministrare, aut certe inter manus iniquorum vel vivere conscientia saniore, vel mori, ut illa vita non amittatur, cui uni christiana corda humilia et mansueta suspirant. Quomodo autem hoc fieri potest, nisi quemadmodum ipse Dominus dicit, petendo, quaerendo, pulsando; id est orando, legendo, plangendo? Ad quod negotium mihi parvum tempus velut usque ad Pascha impetrare volui per fratres a tua sincerissima et venerabili caritate, et nunc per has preces volo. Severum Dei iudicium in sacerdotem scientiae sacrae expertem.

4.  Ma forse la Santità tua obietta: "Vorrei sapere che cosa manca alla tua istruzione". Ma sono tante queste cose, che io potrei enumerare quelle che posseggo più facilmente di quelle che desidero possedere.

Infatti oserei affermare che so e ritengo con fede piena quello che importa per la nostra salvezza; ma proprio ciò come potrei dispensarlo per la salvezza degli altri, non ricercando quello che è utile a me, ma quello che è utile a molti perché si salvino (1 Cor 10, 33)? E vi sono forse, anzi non c'è dubbio che si trovino scritte nei Libri sacri delle norme, conoscendo e assimilando le quali un uomo di Dio può attendere più ordinatamente agli affari ecclesiastici o per lo meno vivere con più retta coscienza tra le schiere malvagie oppure morire per non perdere quella vita a cui sola sospirano i cuori cristiani umili e mansueti. E come può realizzarsi questo se non, come dice il Signore, chiedendo, cercando, bussando (Mt 7, 7; Lc 11, 9 s); cioè mediante la preghiera, la lettura e le lacrime? A questo scopo io ho voluto impetrare, per mezzo di alcuni fratelli, dalla tua sincerissima e venerabile Carità ed ora voglio impetrarlo con queste preghiere un breve periodo di tempo, ad esempio fino alla Pasqua.

 

5.   Quid enim responsurus sum Domino iudici: Non poteram ista iam quaerere, cum ecclesiasticis negotiis impedirer? Si ergo mihi dicat: Serve nequam (Mt 18, 32; Lc 19, 22), si villa Ecclesiae calumniosum aliquem pateretur, cuius fructibus colligendis magna opera impenditur; neglecto agro quem rigavi sanguine meo, si quidagere pro ea posses apud iudicem terrae, nonne omnibus consentientibus, nonnullis etiam iubentibus et cogentibus pergeres, et si contra te iudicaretur, etiam trans mare proficisceris?

Atque hoc modo vel annuam vel eo amplius absentiam tuam nulla querela revocaret, ne alius possideret terram, non animae sed corpori pauperum necessariam; quorum tamen famem vivae arbores meae multo facilius mihique gratius, si diligenter colerentur, explerent? Cur ergo ad discendam agriculturam meam vacationem temporis tibi defuisse causaris?

Dic mihi quid respondeam, rogo te? An forte vis dicam: Senex Valerius dum me omnibus rebus instructum esse credidisset, quanto amplius me dilexit, tanto minus ista discere permisit?

 

5.  Che potrò infatti rispondere al Signore, mio giudice? "Non potevo più chiedere questo essendo impedito dalle mansioni ecclesiastiche"? Egli però potrebbe dirmi: "Servo cattivo ,se qualcuno tentasse d'impadronirsi con la frode del podere della chiesa, per la raccolta dei cui frutti si impiega grande alacrità, trascurando il campo che io ho irrigato col mio sangue, forse che tu, se potessi fare qualcosa per esso presso il giudice terreno, non ti affretteresti col consenso di tutti ed anche per ordine e costrizione di qualcuno, e, se venisse pronunziata una sentenza a te sfavorevole, non saresti pronto a recarti anche al di là del mare? E in tal caso nessuna lagnanza si leverebbe a far cessare la tua assenza anche se durasse un anno o ancor più, per ottenere che un altro non possedesse la terra necessaria non al nutrimento dell'anima ma del corpo dei poveri: eppure i miei alberi viventi, se venissero coltivati con diligenza, potrebbero saziare la loro fame in maniera molto più agevole e a me più accetta. Perché dunque adduci come pretesto la mancanza di tempo libero per imparare a coltivare il mio campo?. Dimmi, ti prego, che cosa potrei rispondere? Vuoi forse che io dica: "Il vecchio Valerio, essendo convinto che io fossi istruito in tutto, quanto più mi ha amato tanto meno mi ha permesso di imparare queste cose"?

 

6.   Attende omnia ista, senex Valeri, obsecro te per bonitatem et severitatem Christi, per misericordiam et iudicium eius, per eum qui tantam tibi inspiravit erga noscaritatem, ut ne te, nec pro lucro animae nostrae, audeamus offendere. Sic autem mihi Deum et Christum testem facis innocentiae et caritatis, et sinceri affectus quem circa nos habes, quasi ego non de his iurare omnibus possim. Ipsam ergo caritatem et affectum imploro, ut miserearis mei, et concedas mihi, ad hoc quod rogavi, tempus quantum rogavi, atque adiuves me orationibus tuis, ut non sit inane desiderium meum, necinfructuosa Ecclesiae Christi atque utilitati fratrum et conservorum meorum absentia mea.

Scio quod illam caritatem pro me orantem, maxime in tali causa, non despicit Dominus; et eam sicut sacrificium suavitatis accipiens, fortassis breviore tempore quam postulavi, me saluberrimis consiliis de Scripturis suis reddet instructum.

6.  Rivolgi la tua attenzione a tutto questo, venerando Valerio, ti supplico per la bontà e per la severità di Cristo, per la Sua misericordia e per la Sua giustizia, per Colui che t’ispirò tanta carità per me, che neppure per vantaggio dell’anima mia io oserei offenderti. Tu poi mi chiami Dio e Cristo come testimone della purezza d’intenzione, della carità e dell’affetto sincero che nutri nei miei confronti, come se io non potessi farne giuramento davanti a tutti. Perciò io supplico questa stessa tua carità ed affetto perché tu abbia misericordia di me e mi conceda, per lo scopo per cui l’ho richiesto, il periodo di tempo che ho richiesto; e mi soccorra inoltre con le tue preghiere in modo che il mio desiderio non sia vano e la mia assenza non sia infruttuosa per la Chiesa di Cristo e per l’utilità dei miei fratelli e conservi. So che il Signore non disdegna codesta carità se prega per me, soprattutto in una causa di tal genere, ed accettandola come un soave sacrificio mi renderà pronto coi saluberrimi ammaestramenti tratti dalle sue Scritture in un tempo forse più breve di quello che ho chiesto.