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renato corti: lettera pastorale 2003-2004 "un giovane diventa cristiano"

 sant'Agostino incontra Simpliciano: una scultura dell'Arca di sant'Agostino a Pavia in san Pietro in Ciel d'Oro

Maestri Campionesi: Agostino incontra Simpliciano

 

 

 

SIMPLICIANO

"Per confidargli i miei turbamenti"

 

 

 

C'è un terzo volto da considerare, quello di Simpliciano. Una figura eccezionale e meravigliosa. Quando incontra Agostino è un semplice prete, mentre Ambrogio è già vescovo di Milano. Diventerà lui stesso vescovo, succedendo immediatamente ad Ambrogio, "dal quale era amato proprio come un padre". [1] Diventerà padre anche di Agostino che lo incontra mentre è alla ricerca di una persona con la quale discutere, dibattere, dialogare, avere l'aiuto per un discernimento spirituale. Per grazia di Dio trova in lui un uomo che, a quei tempi, nella Chiesa di Milano era un punto di riferimento culturale attorno al quale si radunavano persone interessate alla filosofia, alla letteratura, alla teologia. Era un prete preparato, colto, capace di svolgere con competenza un ruolo di guida nei confronti di coloro che gli ponevano anche domande complesse sulla vita dell'uomo. Agostino era una di queste persone.

 

 

1. LA SAGGEZZA DI UN VECCHIO PRETE

 

I segreti rimasti tra Ambrogio e Agostino

Per la verità, come ho già accennato, Agostino avrebbe desiderato potersi confidare e discutere direttamente con il vescovo Ambrogio. Aveva anche il desiderio di capire il segreto di quell'uomo. Era curioso di saperlo. Ma ciò rimaneva un segreto, così come egli rimaneva un segreto per Ambrogio: «Quali speranze portasse in sé quest'uomo e quali lotte dovesse sostenere contro le tentazioni del suo stesso prestigio, quali consolazioni trovasse nelle avversità, quale fosse la fame nascosta che aveva nel cuore e che gioia provasse nel gustare il tuo pane: di tutto questo non avevo alcuna idea né esperienza diretta. Del resto, neanche lui sapeva delle angosce della mia anima, né l'abisso in cui rischiavo di precipitare». [2]

L'incontro personale con Ambrogio rimaneva dunque difficile: «Non potevo chiedergli ciò che volevo e come volevo, perché mi teneva lontano dalle sue orecchie e dalla sua bocca una folla di gente piena di problemi, di cui era sempre pronto ad ascoltare i bisogni». [3] Peraltro, Agostino compie un gesto singolare che mostra quanto desiderio avesse di incontrare Ambrogio. Andava nella sua casa e vi rimaneva in silenzio osservandolo mentre leggeva le pagine della Sacra Scrittura. «Quando leggeva gli occhi scorrevano le pagine e il cuore ne penetrava il senso, mentre la voce e la lingua tacevano. Molto spesso quando eravamo là - poiché a nessuno era proibito entrare e non c'era l'abitudine di farsi annunciare - lo vedevamo leggere così, in silenzio, e mai in altro modo; restavamo seduti a lungo senza dire niente (chi mai avrebbe osato disturbare un uomo così assorto?)». [4]

 

Un'ispirazione di Dio

Per fortuna appare all'orizzonte Simpliciano: «Tu suggeristi alla mia mente l'idea - parsa buona ai miei occhi - di recarmi da Simpliciano, che conoscevo come tuo servo fedele e nel quale risplendeva la luce della tua grazia. Avevo sentito dire che, già in gioventù, egli aveva vissuto in una totale dedizione a te e, ora che era diventato vecchio, con il peso di così lunghi anni spesi con tanto zelo a seguire la tua via, mi appariva con tutta la ricchezza della sua esperienza e della sua sapienza: e così era davvero». [5]

 

Se mi domando perché Agostino sia andato a trovare Simpliciano, mi sembra che si possano dare due risposte. La prima era la stima che Simpliciano godeva ai suoi occhi; la seconda, non meno importante, era la condizione intima di Agostino e le questioni che gli premevano dentro: «Era mio desiderio ricorrere a lui per confidargli i miei turbamenti e ricevere consigli sul metodo più idoneo, per uno nella mia condizione, di camminare nella tua via». [6]

 

I motivi che lo conducevano da Simpliciano dicono già molto circa i contenuti dell'incontro: «Gli raccontai le mie peripezie nell'errore e quando riferii di aver letto alcuni libri dei neoplatonici, tradotti in latino da Vittorino - che era stato retore a Roma e che, a quanto si diceva, era morto cristiano -, si rallegrò con me perché non avevo frequentato gli scritti di altri filosofi ove pullulavano menzogne e inganni […] mentre invece in quelli [neoplatonici] per molti versi si insinua l'idea di Dio e del suo Verbo». [7]

I contenuti degli incontri si riferivano dunque ai turbamenti che accompagnavano e tormentavano la vita di Agostino e anche a studi e letture che andava facendo in quegli anni. Da questo accenno si intuisce che il rapporto tra Simpliciano e Agostino non sia stato limitato semplicemente a qualche sporadico incontro: «Agostino trovò in Simpliciano tempo e disponibilità, esattamente quello che si rammaricava di aver cercato invano in Ambrogio; pazienza, santità e sapienza abilitavano il vecchio presbitero nel compimento delle funzioni che in quel momento erano necessarie per il tormentato e cavilloso africano: illuminargli la mente e purificargli il cuore». [8]

 

Il passo compiuto e quello da intraprendere

Quando Agostino incontra personalmente Simpliciano ha già maturato un passo fondamentale. Eccolo: «Le tue parole si erano scolpite nel mio cuore e da ogni parte ero assediato da te. Della tua vita eterna ero ormai certo, benché la vedessi ancora sotto forma di enigma e come in uno specchio». [9] Ma altri passi lo attendevano: «Ciò che desideravo non era una più forte certezza di te, bensì una maggiore stabilità in te. In realtà, tutto traballava nella mia vita temporale e il mio cuore doveva essere purificato dal lievito vecchio; ero attirato dalla via, dalla persona del Salvatore, ma stentavo ancora a seguirlo per i suoi stretti sentieri». [10]

Queste parole permettono di capire che Agostino era ormai giunto al punto di riconoscere nel cristianesimo la verità, ma non era ancora interiormente disposto a trarre le conseguenze pratiche della conversione. Già aveva dovuto affrontare molti problemi di carattere intellettuale, e anche in questo è consistita la sua conversione. [11] Ma a questo punto avverte che è chiamata in causa la sua volontà. Forse è il caso di ricordare, a proposito della sua condizione morale, che in quel momento conviveva con una donna diversa da quella che l'aveva reso padre di Adeodato, un figlio che morirà nel pieno della giovinezza, a soli diciassette anni (quando Agostino l'ha messo al mondo aveva pressapoco quell'età): «Era ancora molto forte il legame che mi teneva stretto a una donna. Non che l'Apostolo mi proibisse di prender moglie. [...] Debole com'ero, sceglievo una posizione più comoda, e questo era il solo motivo per il quale diventavo fiacco anche nel resto e andavo consumandomi in snervanti affanni, dato che la vita coniugale a cui ero fortemente legato, mi costringeva a tante altre cose che avrei voluto evitare». [12]

 

La forza della testimonianza

La pedagogia adottata da Simpliciano nel parlare con questo giovane così complesso, sia sul fronte intellettuale che su quello morale, è stata senza dubbio caratterizzata dall'impegno di affrontare temi filosofici e teologici. Ma Simpliciano non si è limitato a seguire questo sentiero, peraltro appena accennato nelle pagine de Le Confessioni. Egli ha attribuito molta importanza a quello della testimonianza. Perciò ha dato spazio a uno spunto che Agostino stesso aveva offerto nella conversazione facendo riferimento alle traduzioni dei neoplatonici compiuta da un certo Caio Mario Vittorino, conosciuto personalmente da Simpliciano: «Per esortarmi all'umiltà di Cristo, nascosta ai sapienti e rivelata ai piccoli, prese a parlarmi di Vittorino, con cui aveva avuto rapporti molto stretti al tempo in cui era stato a Roma». [13] Essendo un'acuta guida spirituale, Simpliciano aveva intuito che per un giovane intellettuale come Agostino potesse molto giovare confrontarsi con l'esempio di un altro grande intellettuale, notissimo a Roma.

 

"Oramai sono cristiano"

A proposito della storia e della personalità di Vittorino, Simpliciano rimarcò la strada fondamentale per la sua maturazione: «leggeva la Sacra Scrittura, studiava e meditava con grande impegno gli autori cristiani». [14]

Raccontò pure di averlo sollecitato a compiere anche un passo che lo avrebbe messo in difficoltà di fronte agli altri e che, però, sarebbe stato un segno certo della sua adesione intima al Signore. Gli diceva che non era sufficiente che lo andasse a trovare privatamente, da amico ad amico, e che gli dicesse: «Sappi che ormai sono cristiano». [15] Gli rispondeva: «Non lo crederò né ti conterò nel numero dei cristiani fintanto che non ti avrò visto nella chiesa di Cristo. E l'altro replicava, scherzando: ma allora sono i muri che fanno i cristiani?». [16] Simpliciano sospingeva Vittorino a compiere un passo pubblico. Ma questi «aveva paura di dispiacere ai suoi amici [...], ritenendo che dall'alto della loro babilonica dignità, gli sarebbe piombato addosso tutto il peso della loro ostilità». [17]

 

Senza arrossire

Riuscì a superare questa paura: «Ciò che aveva letto con avida passione gli diede nuova forza, e si spaventò all'idea di essere rinnegato da Cristo per aver avuto paura di riconoscerlo davanti agli uomini. Così gli parve di commettere una grave colpa ad arrossire dei misteri d'umiltà del tuo Verbo e non arrossire dei sacrileghi riti che con superbia aveva accolto e imitato. Provò vergogna del proprio errore e prese ad arrossire davanti alla verità, tanto che Vittorino uscì improvvisamente in questa frase: andiamo in chiesa, voglio diventare cristiano. Simpliciano, fuori di sé dalla gioia, andò con lui». [18]

Così si preparò al battesimo e fece la professione pubblica della fede cristiana. La compì «da un punto sopraelevato, dinanzi a tutto il popolo. I sacerdoti, riferiva Simpliciano, proposero a Vittorino di farla in privato. Vittorino, invece, preferì compiere l'atto della sua salvezza davanti alla sacra assemblea. Nella retorica che insegnava non c'era traccia di quella salvezza, eppure non aveva esitato a professarla in pubblico. Perché dunque, se non gli procurava alcun disagio proclamare le sue parole davanti ad un pubblico delirante, avrebbe dovuto aver paura di proclamare la tua parola [...]? Al momento di salire per la professione di fede, tutti quelli che lo conoscevano, passandosi la voce, cominciarono a scandire il suo nome [...]: Vittorino, Vittorino. Poi, vedendolo, la gente scoppiò all'improvviso in grida di gioia e, immediatamente dopo, si raccolse in silenzio ad ascoltarlo. Egli fece la professione nella vera fede con una sicurezza davvero ammirevole, e tutti sembravano fare a gara per rapirselo nel cuore». [19]

 

Agostino commenta il racconto di Simpliciano in questo modo: «Non appena il tuo servo ebbe terminato di raccontarmi queste cose di Vittorino, mi invase il desiderio ardente di imitarlo: con questo scopo, del resto, me ne aveva parlato». [20] Simpliciano aveva dunque fatto bene a seguire la strada di raccontare un'affascinante testimonianza a un giovane in ricerca.

 

 

2. TUTTI NOI PRETI SIAMO CHIAMATI IN CAUSA

 

Dove sta l'autorevolezza?

È bello che ad essere guida riconosciuta di un giovane sia stato un vecchio prete. È di consolazione e di incoraggiamento per tutti i nostri sacerdoti. Sta a dire che, per le scelte di fondo dei giovani, non è l'anagrafe a renderci loro contemporanei, bensì la figura cristiana che ad Agostino è sembrato di scorgere sul volto di Simpliciano: un uomo che, già da giovane, si era dedicato a Cristo e che, diventato anziano, perseverava nella fedeltà senza che questa esperienza diventasse mai abitudine vecchia o stantia.

Se una cosa era assente dal comportamento e dalle parole di Simpliciano, questa era l'intendere il ministero sacerdotale semplicemente come un vestito da indossare in determinati momenti e situazioni. No: egli era veramente un uomo di Dio. Niente altro che Cristo era fonte di unità nella sua vita. In questo Agostino riconosce l'autorevolezza di quell'uomo. Si comprende come mai, tanti anni dopo, nel 397, in una Lettera (37,1) avrà piacere di riconoscerlo come «padre per lui nella fede». [21]

 

La questione cruciale

Non si può evidentemente sottovalutare la delicatezza e la difficoltà di svolgere, da parte dei nostri sacerdoti, il compito di "padri spirituali" dei giovani (e non solo di loro). Sono richieste molte doti e un'accurata preparazione. Questa poi non sarà mai finita, non solo e non tanto perché le scienze dell'uomo sono in continua evoluzione, quanto perché l'animo umano rimane un mistero per l'uomo stesso: una realtà largamente insondabile di cui Dio solo conosce il segreto.

C'è soprattutto da affrontare, da parte di un accompagnatore spirituale, una questione cruciale. Egli non è assolutamente chiamato ad essere una specie di istruttore tecnico su cose che riguardano la vita religiosa. Ha invece il compito ben più arduo e bello di essere un interprete penetrante di uno spartito musicale del quale capire il tema e il suo sviluppo, l'ispirazione profonda e la forza poetica, le incertezze e ciò che resta incompiuto, le dissonanze e i passaggi più difficili, la melodia e l'impasto dei molti strumenti dell'orchestra. Quello spartito è il cuore dell'uomo. È questo che va capito. Per usare un termine antico, si potrebbe parlare di "cardiognosi", e cioè di capacità di conoscere il cuore.

 

La lettura del cuore è da intendere, oggi soprattutto (più di quanto non avvenisse per Agostino, pur tentato dallo scetticismo), come capacità di suscitare domande: questo è quanto viene richiesto, nell'epoca della post-modernità, a un accompagnatore spirituale, soprattutto dei giovani. Sono infatti le domande ad essere spesso occultate. Vanno dissepolte con coraggio e fiducia. Per quanto nascoste, esse ci sono. Ne sono prova persuasiva i grandi educatori cristiani, che nemmeno oggi mancano. È la loro scuola e il loro metodo, che potrebbe in certo senso far pensare a quello maieutico di Socrate (anche se poi essi vanno oltre), che occorrerebbe assiduamente frequentare da parte di tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici - intendono imparare non semplicemente delle formulette (alla fine del tutto inutili), ma il modo di toccare i giovani nel profondo, di suscitare in loro stupore, di far loro avvertire il mistero che ci avvolge da ogni parte, di condurli a una forte esperienza di silenzio, di sollecitarli a rientrare in se stessi, di aiutarli a percepire che la grandezza dell'uomo sta anzitutto nelle domande che si pone e che fanno di lui la coscienza dell'universo. [22]

 

Non a tutti viene fatto un dono di questo genere. Si tratta di una delle più importanti grazie che lo Spirito Santo fa alla Chiesa: il dono di intus legere e poi anche il dono della "profezia", nel senso della capacità di trovare le parole giuste per esprimere una indicazione che interpreti in modo adeguato il cammino cristiano di una persona. Lo Spirito Santo elargisce questo dono non solo ai sacerdoti, anche se per svolgere il ministero è necessario constatare che, almeno in qualche misura, un simile dono è stato ricevuto da ogni candidato al sacerdozio. La storia della spiritualità cristiana insegna che i doni del discernimento spirituale e del consiglio emergono anche nell'esperienza di religiosi, religiose e fedeli laici.

La vicenda di Agostino conduce a riconoscere che la saggezza di Simpliciano è stata quella di capire che, per aiutare efficacemente quel giovane, non doveva tanto inoltrarsi sul terreno di molte discussioni di principio, pure necessarie e importanti, quanto offrirgli esempi concreti, stimolanti e affascinanti. Egli comprese che l'esitazione vera di Agostino era quella di una «libertà che, benché già orientata a Cristo, soffre ancora i rallentamenti e i rinvii nei confronti di scelte evangeliche erette a forma concreta di vita». [23] Oggi, non meno che 1700 anni fa, chi tratta con i giovani e intende percorrere un cammino insieme con loro dovrà fare i conti con la grande esperienza della fede, intesa come reale e quotidiana "sequela" di Gesù. Si tratta di aiutare i giovani a "fare il Vangelo" e ad arrischiarsi su di esso con scelte che impegnino, sull'oggi, la libertà. Solo così, piano piano, si compagina in loro la conversione cristiana.

 

La vita pubblica della fede

Alla scuola di Simpliciano si coglie un tratto del diventare cristiani che, lungo l'epoca moderna (e anche oggi), viene più o meno apertamente negato. Talvolta lo si esprime così: ciascuno faccia liberamente la sua scelta religiosa, ma tenga conto che questo riguarda le profondità nascoste della sua coscienza, non il suo vivere quotidiano e il suo inserimento responsabile nella società.

Al contrario, a Vittorino viene detto che il suo diventare cristiano non è e non deve rimanere un semplice fatto privato. Si tratta infatti di un passo che lo introduce in una comunità, quella della Chiesa. Vittorino lo comprenderà e si dimostrerà pronto anche a perdere una cattedra prestigiosa, «vigendo al tempo dell'imperatore Giuliano una legge che proibiva ai cristiani di insegnare lettere e retorica». [24] Agostino non farà diversamente. [25] Il Cristo conosciuto diventerà l'amato del suo cuore e l'annuncio delle sue labbra. Anch'egli sarà pronto a mettere in discussione qualcosa che, prima di allora, si sarebbe ben guardato dal mettere in pericolo: la sua carriera. Ma ormai aveva capito che Cristo vale più di ogni successo umano e che, in ogni caso, del Signore Gesù Cristo non ci si deve vergognare. Si deve piuttosto sentirsi onorati di averlo incontrato perché tutto ci è dato in lui.

Anche ai giovani di oggi i padri spirituali daranno una mano perché Cristo tocchi le profondità del loro essere. Vi si devono dedicare ben sapendo che questo potrà avvenire per un miracolo che solo lo Spirito Santo è in grado di compiere. A quegli stessi giovani occorre però dare anche il gusto di essere cristiani nel mondo e nella storia. Il cristianesimo, infatti, è incarnazione. Nessuno spazio umano resta fuori dal Vangelo: "Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo" (Mt 5,13-14).

 

Un "giovane-adulto"

C'è un'ultima osservazione che merita di essere fatta. Il travaglio spirituale che Agostino confidava a Simpliciano era molto disteso nel tempo: aveva avuto inizio quando aveva circa diciannove anni e avrebbe trovato un compimento significativo quando ne aveva circa trentatré. I quattro anni da lui vissuti a Milano ci mettono di fronte ad un "giovane-adulto". È giusto tener conto di questo particolare che contribuisce a fare de Le Confessioni un'opera eloquente per la nostra contemporaneità.

Agostino, che già esercitava una professione, ci sollecita infatti a una scelta molto moderna e tutt'altro che ovvia: quella di cercare il contatto con giovani dai venticinque ai trentacinque (e più) anni. Sono i giovani che, per lo più non prima dei ventotto anni, le nostre parrocchie vedono avvicinarsi per il corso di preparazione alla celebrazione del matrimonio religioso. Sono i giovani che, dopo aver frequentato le scuole superiori e magari anche l'università, entrano nel mondo del lavoro e si inoltrano sui sentieri della professione. Sono i giovani che affrontano la fase iniziale della vita matrimoniale e devono perciò trovare un equilibrio, non sempre facile, nel rapporto di coppia. E sono le coppie che, diventate per la prima volta padri e madri, debbono farsi carico della responsabilità di accudire un figlio e di educarlo dopo averlo amorosamente generato e accolto.

Qualora in termini di vita ecclesiale e di esperienza di fede dimenticassimo i "giovani-adulti", sarà meno facile che, in seguito, essi valorizzino appieno altre opportunità (che pur ci saranno) per recuperare i riferimenti cristiani essenziali. Se invece essi trovano sostegno, incoraggiamento e illuminazione, il guadagno sarebbe duplice: il primo riguarda la loro robustezza cristiana; il secondo riguarda la Chiesa stessa e l'intera società civile che troverebbero in loro dei validi responsabili per il futuro.

 

 

 

[1] Conf. VIII, 2.3; cfr. A. PAREDI, Sant'Ambrogio. L'uomo, il politico e il vescovo; Milano 1985; L. CRIVELLI, Simpliciano. Vescovo della Chiesa milanese. Una guida dal silenzio, Cinisello Balsamo (Milano) 1994 (Tempi e Figure, 21), p. 60.

[2] Conf., VI, 3.3.

[3] Conf., VI, 3.3.

[4] Conf., VI, 3.3.

[5] Conf., VIII, 1.1.

[6] Conf., VIII, 1.1

[7] Conf., VIII, 2.3.

[8] CRIVELLI, Simpliciano, p. 60.

[9] Conf., VIII, 1.1.

[10] Conf., VIII, 1.1.

[11] Cfr. L'itinerario della fede in sant'Agostino, Atti della settimana agostiniana pavese, Pavia 1969, pp. 23-60.

[12] Conf., VIII, 1.2.; cfr. S. PAGANI, L'educazione degli affetti nella comunità cristiana, in Rileggere un'esperienza fondamentale (giovani, affetti, corporeità, sessualità), Novara 2003 (Diocesi di Novara - Cammino pastorale 2002-2004, fasc., pp. 9-26.

[13] Conf., VIII, 2.3.

[14] Conf., VIII, 2.4.

[15] Conf., VIII, 2.4.

[16] Conf., VIII, 2.4.

[17] Conf., VIII, 2.4.

[18] Conf., VIII, 2.4.

[19] Conf., VIII, 2.5.

[20] Conf., VIII, 5.10.

[21] Cfr. SANT'AGOSTINO, Le Lettere, I, a cura di T. Alimonti, L. Carrozzi, Roma 1969 (Nuova Biblioteca Agostiniana. Opere di sant'Agostino, 22), pp. 292-293.

[22] Cfr. F. GARELLI, Credenti e Chiesa nell'epoca del pluralismo. Bilancio e potenzialità, in Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia, Città del Vaticano 1996, pp. 54--55 (su "I fondamentali della fede").

[23] CAPRIOLI, La conversione, p. 34.

[24] Conf., VIII, 5.10.

[25] Cfr. Conf., IX, 5.13.