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Giulio Belotti: L'educazione in sant'Agostino

 Milano: Agostino illuminato dalla grazia divina

Milano: Agostino illuminato dalla grazia divina

 

 

 

Capitolo 8

SCUOLA ALESSANDRINA SAN BASILIO, TERTULLIANO, SAN GEROLAMO, SANT'AGOSTINO IL CICLO DELLE SCIENZE

di Giulio Belotti

 

 

Uno dei problemi più importanti che Sant'Agostino sarà chiamato a risolvere è quello che riguarda l'uso dei testi pagani nell'insegnamento cristiano, problema, come vedremo, dibattutissimo dai Padri della Chiesa, fra i quali la grande figura del Vescovo d'Ippona si ergerà a pronunciare una sentenza definitiva. La questione non cesserà per questo d'essere oggetto di nuove discussioni, però il grande dottore della Chiesa, se non riuscirà ad ottenere l'unanimità dei consensi, darà tuttavia una soluzione nella quale concorderanno i maggiori rigoristi, soluzione accettabile non solo per l'autorità del santo Vescovo, ma soprattutto per le valide ragioni ch'egli porrà, a suffragio di essa; ed è gran merito suo se la letteratura classica è pervenuta fino a noi.

San Paolo, nella sua Lettera ai Romani, era stato esplicito nel condannare la civiltà antica dominata dal paganesimo e, con una logica stringente, aveva dichiarato impossibile la conciliazione fra la fede e il culto di un passato idolatra e pieno di errori. Orbene, l'atteggiamento ostile di quella lettera non poteva non influire sugli Apologisti cristiani. "Che cosa ha da fare Atene con Gerusalemme - scrive Tertulliano -, l'Accademia con la Chiesa, l'eresia col Cristianesimo? ... Dopo Cristo non vogliamo altro studio, dopo l'Evangelo sono inutili altre indagini. La fede ci basta." (De praescr. adversus haeret., VII).

A sua volta san Giovanni Crisostomo non esita a dire: "E che male ci sarebbe se noi ignorassimo le lettere profane? Gli Apostoli e un gran numero [106] di santi personaggi, senza la suppellettile letteraria, convertirono il mondo; mentre i filosofi non hanno ancora convertito un solo tiranno..." (Adv. app. Vitae man. L. III, 12) e prosegue dichiarando che un tale studio esporrebbe a gravi pericoli i fanciulli impreparati a difendersi. San Gerolamo disprezza a tal punto le lettere greche che arriva a paragonarle alle ghiande di cui parla la parabola del Vangelo del Figliol prodigo, e San Basilio si trova pentito di "aver perduto molto tempo in frivole occupazioni e logorata la giovinezza per la conquista d'una scienza che è follia al cospetto di Dio." (Epist. CCXXIIl Adversus Eustachium Sebast.). Nell'Epistola di San Gregorio di Nazianzo troviamo pure: "Voi mi chiedete i miei libri e mi ridivenite così fanciullo da studiar la retorica, che io ho messo da lato, dacché, prevenuto dalla grazia di Dio, ho rivolto gli occhi verso il Cielo." (Epist. CCXXXV Adamantino). Parole aspre, come si vede, che non ammettono alcuna conciliazione della nuova religione con la civiltà antica, linguaggio fiero e superbo che respinge ogni accordo fra la fede e le lettere; eppure quella fede, che diventava letteratura, era sorta in un clima pagano.

Avrebbero essi potuto rinunciare a introdurre nella loro opera le esigenze della loro cultura? Quello stesso Tertulliano, trovandosi a risolvere la questione non solo come principio, ma anche nei suoi riflessi d'ordine pratico, assumerà una posizione paradossale perché, mentre condannerà così severamente la cultura scolastica del suo tempo da impedire ai cristiani l'esercizio dell'insegnamento, se vorrà che il cristiano non resti incolto, dovrà alla fine permettere ai fanciulli di frequentare la scuola pagana (GIUGNEBERT, Tertullien, pagg. 471-477). Un cristiano non potrà fare il professore, senza andar contro la sua fede, perché l'insegnamento gli imporrà di trattare argomenti pagani e di raccontare fatti scandalosi, ma il fanciullo non potrà far a meno d'andare a scuola, altrimenti "quomodo quis institueretur ad prudentiam interim humanam vel ad quemcumque sensum vel actum, cum instrumentum sit ad omnem vitam litteratura?" (TERTULLIANO, De Idololatria, 10 CSEL, t. XX, pagg. 39-41). Commenta il Boissier: « Du moment qu'un docteur si rigoureux autorisait les jeunes gens à fréquenter les écoles, on pense bien que personne ne s'avisa de leur défendre. Seulement ses recommandations ne furent suivies qu'en partie. On l'écouta, lorsqu'il disait [107] qu'un chrétien peut étudier les lettres profanes; on lui désobéit, quand il lui défendait de les enseigner. » (BOISSIER, op. cit., vol. I, pag. 235).

Vedremo poi come la Chiesa, a questo proposito, non solo tollererà, ma incoraggerà i propri fedeli a insegnare, riconoscendo a ragione che maggiore sarebbe stato il pericolo per i giovani se avessero avuto maestri non cristiani. "Il prodigio è - scrive l'Ozanam - che dinanzi a tanto amore e a tanto splendore di verità, il mondo non si arrese ad un'ora e che il Paganesimo non perì interamente. Una parte si conservò malgrado il Cristianesimo come per tenerlo sempre all'erta, mediante una continua resistenza; un'altra parte se ne conservò in seno al Cristianesimo, che fece vedere la sua sapienza rispettando i bisogni legittimi dell'uomo e le gioie innocenti dei popoli." (OZANAM, Il paganesimo e il Cristianesimo nel V secolo, passi vari). Ma diremo in seguito come avvenne questo prodigio: per ora approfondiamo la conoscenza di quest'aspetto, diciamo così, negativo, della questione. Due correnti sono in netto contrasto: l'Oriente è in favore, l'Occidente è contro l'uso dei testi pagani. L'una ritiene che la filosofia sia una ricerca della verità quanto lo è il Cristianesimo e che, come tale, contenga qualcosa di vero che la nuova religione può utilizzare e trasformare; l'altra vede nella filosofia il pericolo di eresie, nella letteratura materiale edonistico, e perciò nessun compromesso è possibile con essa. L'atteggiamento ostile che si diffuse nell'Occidente fu assai deleterio per la cultura, che entrò in una fase di decadenza, la cosiddetta "età delle tenebre". Esaminiamo le varie ragioni che lo determinarono. "La missione della Chiesa - spiega il Codignola - era d'indole morale. Si credeva vicina la seconda venuta di Cristo e quindi sapere, cultura e in genere tutte le cose mondane fossero di minima importanza.

La persecuzione poi e l'esilio che molti Cristiani dovettero affrontare nei primi tre secoli, li privò di ogni opportunità di acquistare il sapere pagano, anche se l'avessero desiderato, e distrusse ogni desiderio di procurarsi la dote più caratteristica dei loro persecutori." (CODIGNOLA-MONROE, Storia dell'Educazione). L'ascetismo, o opposizione a tutti gli interessi mondani e a tutto ciò che dà soddisfazione o piacere di carattere naturale o umano, non ammetteva deviazione alcuna dalle sue regole. Non fu dunque soltanto colpa della corrente occidentale, ma fu il prodotto d'una serie di circostanze di vario ordine a produrre il fenomeno della [108] decadenza. Il Cristianesimo, che agli eccessi contrappone una saggia moderazione, doveva correggere la tendenza a distruggere tutto il passato. «Ogni uomo sensato considera la scienza, come io credo, quale il supremo dei beni che noi possediamo - dice San Gregorio Nazianzeno - e io non parlo solo della scienza nobilissima, che, sdegnoso d'ogni preoccupazione di stile e di lingua non mira che allo spirito; ma intendo altresì quella scienza d'origine straniera, tenuta in poco conto da molti cristiani, perché nella loro ignoranza la credono una insidia e un pericolo che ci allontana da Dio. Noi non possiamo disprezzare il cielo, la terra e gli esseri terrestri solo perché altri li adorò come numi. Noi piuttosto li adoperiamo per nostro diletto e vantaggio, mentre rigettiamo quanto in essi potrebbe nuocerci.

Ben lungi da quegli stolti che distornano la creatura dal Creatore, noi riconoscendo fra le cose il loro Artefice, sottoponiamo ogni intelligenza, come direbbe l'Apostolo, al giogo di Cristo. Come dunque il fuoco, l'alimento, il ferro ed altre cose non sono di loro natura oneste o disoneste, ma tutto dipende dall'uso che se ne fa; lo stesso dicasi della scienza profana. Ciò che in essa ci conduce a Dio, l'accetteremo, e respingeremo ciò che in essa ci porta all'errore» (Orat. 43. In laudem Basilii Magni). Non diversamente parla Clemente Alessandrino, il quale riconosce che v'è qualcosa di vero, utile anche ai cristiani, nella scienza pagana e scrive: « No, la filosofia non nuoce alla vita cristiana; e l'hanno calunniata coloro che la rappresentano come una operaia di falsità e di cattivi costumi, quando invece essa è la luce, un'immagine della Verità, un dono che Dio ha fatto ai Greci; e la quale, lungi dal distaccarci dalla fede con un vano prestigio, ci dà una difesa di più e diviene fra noi come una scienza sorella, la quale cresce la dimostrazione della fede ... Imperocché la filosofia fu il pedagogo dei Greci, come la legge fu il pedagogo degli Ebrei per condurre gli uni e gli altri al Cristo» (Strom. I, V, c. VI, l, 5, 6). Egli, educato in un ambiente saturo di filosofia greca e di teologia orientale, non esita a « misurare» queste due forze con la Verità rivelata onde « educere dall'uomo vecchio, avvizzito ed evanescente, sordo alle esortazioni di Gesù, l'uomo nuovo rivestito dall'abito della vera saggezza intessuta di fede, speranza e carità» G. (CATALFAMO, Clemente Alessandrino, La Scuola, Brescia, 1951, pag. 33). [109] Anche Origene (Epist. ad Gregorium, l.), Giustino Martire, Gregorio di Nissa, Eusebio, ecc. convengono nella necessità d'una conciliazione della rivelazione cristiana e della filosofia pagana, riconoscendo in quest'ultima elementi vantaggiosi alla nuova religione. «Giustino - scrive il De Ruggiero - mostrerà di stimare altamente la filosofia pagana e spiegherà la perfetta consonanza dei dogmi con quelli del Cristianesimo; ma insinuerà in questo riconoscimento un principio che lo volge tutto a proprio favore: quello cioè che le Verità filosofiche dei Gentili sono tali perché costituiscono parziali rivelazioni della verità cristiana, anzi copie imperfette di modelli cristiani. L'apparente anacronismo appianato avocando alla storia del Cristianesimo tutto l'Antico Testamento, sottratto ai Giudei; e poiché risulta incontestabile l'anteriorità di Mosé, di Salomone, dei Profeti, rispetto ai più antichi filosofi greci, è facile dimostrare che questi abbiano attinto da quelli i propri dogmi (GIUSTINO, Apol. I, 20). ~ una tattica che a noi moderni, educati a una più fine filologia, può apparire puerile, ma per quei tempi era scaltra ed efficace» (DE RUGGIERO, op. cit.).

Il pensiero di Giustino verrà ripreso e valorizzato da Erasmo da Rotterdam il quale, nell'Antibarbarorum liber riaffermerà il principio che l'interpretazione delle Sacre Scritture deve valersi anche della nuova filologia e in ciò si differenzia, come vedremo, da Sant'Agostino, il quale voleva sostituire una interpretazione data dalla morale; e dichiara che il cristiano deve rivolgersi tanto agli autori classici che a quelli Cristiani, perché in quelli come in questi dobbiamo vedere lo stesso Dio che guida, illuminandola nelle sue opere, l'umanità. Naturalmente, le lettere profane devono esser viste non come fine, ma come mezzo: in tal senso egli giunge persino a prescriverne l'insegnamento in sott'ordine all'istruzione religiosa, e ne descrive l'utilità, che consiste nel vincere pregiudizi e formare nell'uomo la consapevolezza dei suoi doveri verso la Patria e verso la società (Vedansi a questo proposito gli ottimi articoli di Angiolo Gamberone ne Il Saggiatore, Gheroni, 1951. pagg. 30-48 e 141-159). Ma torniamo al secolo IV. Crisostomo mostra un po' di dispregio: «Da tempo io ho messo da parte codeste follie, perché non si può consumar tutta la vita in un gioco da fanciulli» (Adv. opp. vitae man. L. 111. 12); ma San Basilio, pur con qualche restrizione, finisce col dichiararsi contro il pericoloso pregiudizio. C'è infatti qualcosa, nelle dottrine pagane, [110] di cui il cristiano non solo può, ma deve appropriarsi; occorre subordinare le cose umane alla -vita futura, ma non è detto che tutto sia da rigettarsi. E fa un bel paragone: "Come i tintori dispongono con certi preparativi il tessuto destinato a esser colorito, quindi lo tuffano nella porpora, così, perché il pensiero del bene resti indelebile nelle anime nostre, noi ci inizieremo primieramente a quelle cognizioni esteriori, e dopo ascolteremo il sacro insegnamento dei misteri. E come è propria virtù degli alberi di produrre i frutti della loro stagione, rivestendosi in primavera di fiori e di verdi rami, così la sacra Verità, che è il frutto dell'anima, acquista grazia se la rivestiamo di una straniera sapienza, che a guisa di un fogliame che difende il frutto, gli dà l'incanto della sua verzura » (S. BASILIO, Ad adolescentes, quomodo possint ex Gentilium libris fructum capere, cap. IV). Non tutto, però, va accettato: si respingeranno le descrizioni dei vizi e tutto ciò che contrasta con la nuova fede, mentre si accetteranno tutti quegli episodi ed esempi che ispirano buoni sentimenti e generano virtù e bontà. A questo modo - scrive l'Ozanam – "il Vescovo cristiano penetra in ciò che vi è di più misterioso e di più forte nella poesia d'Omero per spremere tutto il miele ch'egli racchiude". E continua: "Così la Chiesa greca accetta le lettere, ma con la distinzione, essa le ammette: come preparazione (perché la filosofia ha servito da pedagogo al mondo antico ...) e come dimostrazione del Cristianesimo, perché la fede padrona agiva da sé medesima sull'intelletto, il quale cerca la luce, quella luce che ha scorto da lungi nel seno di Dio: e le scuole e la scienza presteranno il loro aiuto alla religione e circonderanno d'una nuova chiarezza vieppiù crescente i germi del Cristianesimo» (OZANAM, La civiltà cristiana nel suo primo formarsi, Torino, 1937). E ha parole d'ammonimento per i Dottori della Chiesa che non vogliono distinguere l'idolo dal metallo prezioso, il buon grano dalla zizzania; essi, così facendo, dimostrano d'aver poca fede, e fanno pensare, cosa assurda, che il Cristianesimo abbia qualcosa da temere dalla filosofia. La questione era scottante, ormai, e bisognava risolvere il netto contrasto fra Oriente e Occidente. A San Gerolamo e a Sant'Agostino toccherà questo difficile compito. San Gerolamo, per quanto fosse ardente di fede, educato com'era alla scuola di Platone, non poteva dimenticarsi di quegli autori pagani che aveva declamato per tanti anni. Convertitosi al Cristianesimo, si ritira nel deserto ... ma porta con sé i suoi libri; fa digiuno, ma legge i classici e, mentre si [111] pente del suo passato, ritorna sulle commedie plautine. « Il avait renoncé à tout - scrive il Boissier - excepté aux plaisirs de l'esprit. » (BOISSIER, op. cit., pag. 282).

Anch'egli sente il bisogno di leggere le Scritture, ma, come Sant'Agostino, di fronte a quello stile povero, indietreggia, deluso, quando, ammalatosi, fa un sogno. Si crede trasportato ai piedi del trono di Gesù Cristo, il quale gli domanda: "Chi sei tu?". "Io sono Cristiano", risponde San Gerolamo. "No, dice Cristo, no, tu non sei cristiano, tu sei ciceroniano." (S. GEROLAMO, Epist. 18 ad Eust.). Di fronte a tanto rimprovero, egli piange e promette a Dio di non leggere più gli autori pagani. La lettera che scrisse raccontando il sogno fece molta impressione in Roma, ed ebbe favorevole accoglienza. E' di quel tempo - nel 383 o 384 - ch'egli manda al papa Damaso una lunga lettera nella quale dichiara esser le lettere pagane "conviti di demoni" (Epistola ad Gal., III, Ep. 31) che i preti e i Vescovi devono fuggire o, almeno, avvicinare con prudenza, onde non scandalizzare i fedeli. E' spiegabile tanta severità di giudizio in San Gerolamo che è da poco convertito. Ma quando, forse nel 400 o 402, la meditazione e l'approfondimento del suo pensiero lo faranno sapiente, ci ridarà lettere ben diverse, dove troveremo costantemente citati Cicerone e Orazio e Virgilio, lettere che scandalizzeranno il retore Magno. San Gerolamo gli risponderà ch'egli parla così perché non conosce l'antichità sacra: "Che c'è dunque da meravigliare se, innamorato io della scienza del secolo a cagione della bellezza dei suoi tratti e della grazia dei suoi discorsi, da schiava che ella è, voglio farla israelita?" (S. GEROLAMO, Epist. ad Magnum).

Rufino gli rammenterà il sogno fatto e gli rimprovererà di non aver mantenuto la promessa fatta a Dio. San Gerolamo, infatti, andava sempre più dimenticandosene, se faceva copiare dai monaci i dialoghi di Cicerone e se, a Bethleem, educava i giovani alla religione, spiegando i lirici. Egli risponderà all'accusatore che, dopo tutto, non si trattava che d'un sogno: "Ma colui che mi rimprovera, io lo rinvierò ai Profeti, i quali insegnano che i sogni sono vani e non meritano fede." (Contra Rufinum, I, 1, 30) La conciliazione fra l'antichità classica e il Cristianesimo si delineava ormai nettamente. Sant'Agostino rappresenterà la fine del lungo dissidio fra pagani e cristiani. [112]

 

 

LE ARTI LIBERALI IN SANT'AGOSTINO

Sant'Agostino è a Cassiciaco. Come passa i suoi giorni? La mattina prega, poi spiega Virgilio e parla di San Matteo, di Platone e di San Paolo per intavolare discussioni filosofiche. C'è confusione nel suo spirito; due contrarie tendenze lottano. Vorrebbe credere senza capire (Confessiones, VI, 5), ma la fede non gli sembra sufficientemente solida se non è appoggiata e sorretta dalla ragione. Questa, d'altronde, vuol essere esercitata per conquistare la verità. Tale esercizio si fa nelle scuole, per mezzo delle scienze profane, con il sussidio della dialettica e della filosofia. Conclusione: decide non solo di tollerare, ma di consigliare l'insegnamento delle arti liberali. E nel De Ordine afferma che la pratica degli studi liberali, purché costretta in certi limiti, accende lo spirito, gli dà più facilità e più forza per ottenere la Verità, fa in modo che la cerchi con più ardore, con più perseveranza, che vi si attacchi con più amore (De Ordine, Il, 24).

Più avanti sarà ancor più esplicito: "Se posso dare un consiglio a quelli che amo, dirò loro di non trascurare alcuna conoscenza umana" (De Ordine, II, 15). Nelle Ritrattazioni, dove Sant'Agostino rivede con spirito critico tutte le sue opere, trova che in questo passo (De Ordine, Il, 15-16) è stato forse un po' eccessivo e che "ha dato troppa importanza a scienze che molti santi uomini hanno ignorato"; tuttavia non si mostra troppo severo per le opere della sua giovinezza in cui la filosofia profana ha tanta parte. E' vero che l'Apostolo ha messo in guardia l'uomo contro la cura soverchia del sapere, ma, osserva Agostino, egli si riferiva a quella che si cura solo delle cose terrene. Ve n'è un'altra, invece, che mira in alto e questa è degna di lode. "Pretendere che si fugga ogni filosofia, che altro è, se non dire che non si deve amare la sapienza?" (De Ordine, I, 32). Deciderà allora di trarre dai classici tutto quanto non è contrario all'insegnamento del Vangelo (Contra Academicos, III, 20). Comincia un grande lavoro: la epurazione della scienza antica, dalla quale deriverà una scienza cristiana.

Nel Libro I del De Doctrina Christiana, egli espone un programma di studi superiori, concepito in funzione dello scopo religioso; nel Libro II noi vediamo elencati e inquadrati tutti gli aspetti [113] della cultura antica utili al cristiano che, attraverso lo studio della Sacra Scrittura, si sforza di conquistare la fede: « Sed ut totum istum locum, nam est maxime necessarius, diligentius explicemus, duo sunt genera doctrinarum, quae in gentilibus etiam moribus exercentur. Unum earum rerum quas instituerunt homines, alterum earum quas animadverterunt jam peractas aut divinitus institutas. Illud quod est secundum institutiones hominum, partim superstitiosum est, partim non est» (De Doctrina Christiana, II, 19, 29, col. 40). Abbiamo visto quanta passione avesse avuto Sant'Agostino per le lettere antiche, come Didone l'avesse commosso fino alle lacrime, di quanto ardore fosse infiammato nel leggere l'Ortensio e come prediligesse la filosofia (Confessiones, VIII, 7). Abbandonata la professione di retore « palestra di garrulità » (Confessiones, IX, 4), da Milano s'avvia a Cassiciaco, dove si sente ancora legato al suo passato: «La mia attività, qui svolta nelle lettere (poste al tuo servizio ormai), ma traspiranti ancora affannosamente l'orgoglio scolastico, come accade a un corridore al fermarsi, è attestata dai libri in cui sono raccolte le mie dispute» (Confessiones, IX, 4). Parrebbe, a prima vista, che egli abiurasse quel che tanto lo appassionò da giovane, ma a chi ben penetri lo spirito e anche la lettera, se vogliamo, di alcuni suoi scritti, trova che spesse volte l'invettiva e il disprezzo o sono apparenti o sono almeno attenuati da precisazioni che vogliono esser spesso rettifiche. Gli è ch'egli non disprezza le verità del mondo antico per il solo fatto che sono state formulate dai pagani; egli vuole che si scelga il miele dal fiele, il frumento dalla zizzania, che quanto di bello e di buono v'è nella letteratura e nell'arte, nelle istituzioni e nelle scienze, sia salvato e conservato, per essere trasformato e diretto al fine della nuova religione cristiana. Non mancheremo di citare, a questo proposito, quei passi nei quali egli ce ne dà piena conferma. Per ora limitiamoci ad esaminare quelle espressioni che parrebbero dare un giudizio negativo e che, a ben guardare, mostrano invece, come afferma l'Eggersdorfer «un felice eclettismo con cui egli mira, a somiglianza dei Padri greci, a trarre vantaggio per la scienza cristiana delle discipline e delle lettere pagane» (EGGERSDORFER, Der heilige Augustinus als Pädagoge und seine Bedeutung, pag. 129). [114]

Scrive nelle Confessioni: «Guai a te, o flutto dell'abitudine umana! Chi ti può resistere? Quanto tempo trascorrerà prima che ti dissecchi? Fino a quando travolgerai i figli d'Eva nel mare ampio e pauroso, che a stento riescono ad attraversare coloro che stanno in barca? Non debbo io a te l'aver letto che Giove tuonava e commetteva adulteri? E' vero, era impossibile che egli facesse le due cose; si volle col lenocinio di un immaginario tuono, attribuirgli autorità ad imitare un vero adulterio ... E tuttavia - o fiume tartareo - nel tuo gorgo sono sbattuti i figli degli uomini che pagano ad apprendere queste cose ...» (Confessiones, I, 16). Non c'è dubbio, la condanna alla mitologia e alle favole scandalose è chiara; però, più avanti, sempre nello stesso capitolo, egli precisa: «Non me la piglio contro le parole, che sono in certa guisa dei vasi eletti e pregevoli, ma col vino dell'errore, che in esse ci si propinava da maestri ubriachi». Nel 408 scrive al Vescovo Memorio: Non sono degne di chiamarsi arti liberali le produzioni filosofico-letterarie del paganesimo "giacché ciò che non con suona con la Verità, non consuona neppure con la libertà ... Non sia mai che queste bubbole e strane menzogne, queste vuote frottole e superbe falsità si dicano discipline liberali" (Epist. CI, 2 PL tomo 33, col. 368), ma vuole poco più sotto precisare questa affermazione generica e fa osservare che la conoscenza della verità ci consente di valutare il qualificativo di liberale nelle cosiddette arti liberali. E, in una lettera ad un giovanetto greco, Dioscoro, parlando delle lettere pagane: «Noi che conosciamo come tu le preferisci a tutto, e che fondi in esse la speranza della salvezza eterna, ti diciamo che la conoscenza dei dialoghi di Cicerone e delle discordi dottrine dei filosofi, non è necessaria a procurare consensi ai princìpi cristiani» (Epistola CXVIII, II PL tomo 33, col. 43).

Parrebbe una condanna alla filosofia, ma non è perché si limita a dichiararla «inopportuna» per un vescovo; inadatta, poi, a un giovane che ha finito i suoi studi. Il Gaume (GAUME, Le ver rongeur des sociétés modernes ou le paganisme dans 1'éducation, pag. 64) ci dichiara che Sant'Agostino voleva infondere nei suoi lettori un senso d'indifferenza, se non proprio di disprezzo, per la letteratura pagana, tant'è vero che, in un passo del Libro IV del De Doctrina Christiana non ne parla neppure: «Noi non difettiamo di opere ecclesiastiche, oltre a quelle ispirate nei sacri testi, nelle quali uno studioso d'ingegno, senz'altro sforzo che l'attenzione, saprà [115] trovare degli ottimi modelli, e non avrà più bisogno che esercitarsi scrivendo, dettando e alla fine parlando secondo l'ispirazione della pietà e della fede» (De Doctrina Christiana. IV, 4, 6). Ma nel De Civitate Dei mostra tutt'altro che avversione, se considera persecutore Giuliano l'Apostata «perché vietò per legge ai Cristiani di apprendere ed insegnare le lettere" (De Civitate Dei, XVIII, c. LII, PL tomo 41, col. 615); ed è certo che si trattava delle lettere pagane. « Per le sue tendenze all'ascetismo - scrive Alberto Pincherle - per la condanna pronunciata su tutta la sua vita anteriore alla conversione, per le sue concezioni teologiche e per la valutazione (che ne dipende) da lui data dell'antichità romana, nel De Civitate Dei, Agostino era, da una parte, ineluttabilmente portato a condannare, in blocco e senza remissione, tutta l'antichità profana. Nelle Confessioni, i nomi di Cicerone e di Virgilio nelle citazioni sono accompagnati da un "nescio quis ", pieno di dispettoso disprezzo. Ma troppo forte era il sentimento della romanità nel grande Vescovo che, di fronte all'invasione barbarica di Alarico, sapeva dire ai profughi la parola di conforto destinata a risuonare alto e a lungo nel corso della storia: " Roma non perit; si Romani non pereunt " (Serm. LXXXIII).

Egli stesso dava l'esempio; e le grandi opere della classicità sono continuamente citate da lui. Per giustificare tale atteggiamento, egli ricorse ad un'immagine, che non rappresenta però soltanto la scappatoia di un alto, pronto e fertile ingegno. Le lettere profane sono, egli dice nel De Doctrina Christiana (De Doctrina Christiana, Lib. II – XL), come quelle suppellettili degli Egiziani che gli Ebrei nell'esodo portarono con sé attraverso il deserto. Così, sotto questa allegoria, Sant'Agostino, il più alto rappresentante del Cristianesimo romano ed occidentale, sintetizzava felicemente, alla vigilia del tramonto dell'Impero e all'inizio del Medio Evo, l'innesto delle due tradizioni, giudeo-cristiana e greco-romana; esprimeva così un'altra profonda verità storica, e additava l'essenza stessa della nostra civiltà mediterranea, classica e cristiana ad un tempo. Nel suo trattato "Histoire de la littérature grecque chrétienne" (tomo II, pag. 121), A. Puech mostra il beneficio che è risultato per la nostra civilizzazione da questo ravvicinamento fra il Cristianesimo e la filosofia. « Ce qui est capital - scrive egli - c'est que [116] par eux tous (les chrétiens cultivés) - par le propos délibéré et pleinement conscient de certains d'entre eux, à l'insu de quelques autres et même contre le dessein affiché de un ou deux d'entre eux - par eux tous, diversement, inégalement, mais toujours cependant en quelque façon, le christianisme et la philosophie se sont rapprochés; un christianisme philosophique s'est formé, où sans doute la philosophie a été subordonnée au christianisme, mais grace auquel a été sauvé presque tout ce qu'il y avait de meilleur dans la science profane ... Cette combinaison... est devenue le principe de vie le plus durable et le plus fécond. Notre civilisation lui doit ce qu'elle a été, et, si elle veut durer, continuera d'étre sa débitrice. » (PUECH, Histoire de la littérature grecque, t. II, pag. 121). «D'Origène à Saint Basile, de Tertullien à Saint Jérome - osserva il Marrou - tous les prédécesseurs d'Augustin proclament la nécessité d'un rapport entre des études préparatoires, nourries de toute la tradition des écoles paiennes, et l'activité proprement chrétienne de l'intelligence une fois formée. Mais ce rapport n'est pas tel que son second terme influe profondément sur la structure du premier. » (MARROU, op. cit, pagg. 394-395). Bisogna arrivare a Sant'Agostino perché si abbia la originale soluzione. « Pour la première fois nous voyons exposé un programme d'études supérieurs qui constitueront une formation complète de l'esprit et qui sont conçues uniquement en fonction du but religieux que le christianisme assigne à la vie intellectuelle » (MARROU, op. cit., pag, 398). «È vero - osserva Hans von Schubert - che tutto ciò non soltanto viene collegato alla Scrittura, ma messo al servizio di essa.

Senonché lo stesso Agostino iniziò la sua attività letteraria cristiana con una enciclopedia delle artes liberales largamente concepita ... Lo sbocco di questa evoluzione si ha soltanto nel secolo VI. Soltanto allorché non fu più dubbia in alcun modo la vittoria del cristianesimo, questo si poté liberamente coordinare alla cerchia delle scienze mondane precristiane." (SCHUBERT, op. cit. pag. 43). Ma torniamo a Sant'Agostino, e vediamo quali passi delle sue opere ce lo rivelano sicuramente favorevole alla cultura classica. Anzitutto il secondo Libro del De Ordine (De Ordine, Il, c. 12-15, PL tomo 32, col. 1011) dove traccia l'ordine degli studi e indica nelle sette arti liberali i vari gradi attraverso i quali la ragione si eleva. [117] Ora, le arti del «trivium» e del «quadrivium» non erano forse la base anche della cultura pagana? Sant'Agostino le considera mezzi per salire a Dio. «Se l'intelligenza sa ridurre ad unità gli sparsi raggi che in essi trovansi dispersi, allora potrà cercare la verità; contemplarla, intenderla, ritenerla» (De Ordine, Il, XVI tomo 32, col. 1015); e ci riuscirà "purché si eserciti nello studio fin dall'infanzia" (De Ordine, ibidem). Nel secondo Libro del De Doctrina Cristiana scrive: «Philosophi autem qui vocantur, si qua forte vera et fidei nostrae accommodata dixerunt, maxime Platonici, non solum formidanda non sunt, sed ab eis etiam tanquam injustis possessoribus in usum nostrum vendicando ... », e dopo il noto paragone degli Egiziani, già citato, continua: «Doctrinae omnes Gentilium non solum simulata et superstitiosa figmenta gravesque sarcinas supervacanei laboris habent, quae unusquisque nostrum duce Christo de societate Gentilium exiens, debet abominari atque devitare; sed etiam liberales disciplinas usui veritatis aptiores, et quaedam morum praecepta utilissima continent, deque ipso uno Deo colendo nonnulla vera inveniuntur apud eos; quod eorum tanquam aurum et argentum, quod non ipsi instituerunt, sed de quibusdam quasi metallis divinae providentiae, quae ubique infusa est, eruerunt, et quo perverse atque iniuriose ad obsequia daemonum abutuntur, cum ab eorum misera societate sese animo separat, debet ab eis auferre christianus ad usum justum praedicandi Evangelii » (De Doctrina Christiana, II, XL, pago 330, Combés.). Il passo trascritto era troppo importante perché potessimo vincere la tentazione di trascriverlo tutto, e meriterebbe un commento se non fosse oggetto, in altra parte, di questo lavoro, cui rimandiamo (Vedansi le pagine precedenti di questo studio); ma riassume molto bene l'Ozanam; "Nel paganesimo v'è la falsa religione, la quale, nonostante le sue falsità, nondimeno attesta il commercio dell'uomo col mondo invisibile, e il bisogno di mezzi sensibili per fissare questo commercio, i templi, vale a dire, e le feste e i simboli. Il pensiero religioso non si lascia confinare nel solingo dominio della contemplazione; ma bisogna che esso esca fuori libero, e che si impadronisca dello spazio con i monumenti che egli si fa fabbricare; del tempo, con i giorni sacri che egli si riserva; e di tutta, la natura scegliendo in essa per i suoi emblemi ciò che egli vi trova di più luminoso e di più puro, vale a dire, il fuoco, gli incensi, i fiori. Ecco ciò che non doveva perire, e la politica della Chiesa ebbe [118] a risolvere due difficoltà: schiacciare l'idolatria, senza soffocare il culto» (OZANAM, La civiltà cristiana nel suo primo formarsi, Torino, 1937).

"Di fatto - commenta il Combès - se dal Contra Academicos agli ultimi libri contro Giuliano si abbraccia con unico sguardo la sua dottrina, si scorge che essa è il risultato meraviglioso dell'unione progressiva e profonda delle due culture. Agostino non ha che disprezzo per il paganesimo. Egli ne rigetta tutto ciò che in un modo o in un altro riguarda il culto degli dei. Egli non trae dai pensatori od artisti classici che le idee più alte della loro teodicea, della loro metafisica; quelle che sono precisamente la negazione stessa della loro religione. E tali idee egli le amplia, le perfeziona, le vivifica, armonizzandole saldamente alle idee evangeliche» (G. COMBÈS, op. cit., pag. 112). Con una felice similitudine, l'Ozanam scrive: "Il Cristianesimo potentissimo si serve di questi rottami per un altro edificio, come quelle Basiliche di Roma (S. Lorenzo) dove colonne, architravi, bassorilievi, tutto è pagano: ma tutto è dominato dall'immagine del Salvatore, assiso sul globo del mondo; e le pietre idolatre spariscono sotto il manto maestoso dell'architettura cristiana ... Sant' Agostino non disconosce le obiezioni che a lui si faranno; sa che saranno per dirgli ch'egli disonora la scienza sacra e che l'uomo deve attendere tutto dalla fede. Ma egli risponde con una superiorità meravigliosa: Dio avrebbe potuto servirsi del ministero degli angioli, ma ha voluto onorare l'umanità rendendo i suoi oracoli in un tempio umano ... La questione era risoluta e la disputa finita per molti secoli.

Sulla parola di Sant'Agostino e per gli stessi motivi, tutte le età che succederanno, accetteranno l'eredità degli antichi; ma la Chiesa l'accetta come conviene ad una savia tutela, come si accettano le successioni dei minori, cioè col benefizio d'inventario. Per questa stessa ragione si determinano Cassiodoro, Beda ed Alcuino: tutti (fenomeno intellettuale che è bene notare), tutti colpiti più dai paragoni che dalle ragioni, dalle immagini che dai grandi motivi, ripeteranno questa parabola che il Cristianesimo ha dovuto fare come il popolo ebreo nell'uscir dall'Egitto e portar via i vasi d'oro e d'argento dei suoi nemici. Sopra questa parola le scienze, le arti, le tradizioni dell'antichità, passeranno al Medio Evo. Così questo grande problema è stato risolto e si è formato come anello letterario intellettuale che doveva riunire le due età» (OZANAM, Ibidem). [119]

Gran merito d'Agostino, quindi, se il monito dell'Apostolo "Omnia probate; quod bonum est tenete" ha potuto essere valorizzato e posto al servizio della nuova civiltà che il santo Vescovo d'lppona inaugura e determina col porre le basi della Dottrina cristiana, dottrina che passiamo ora ad esaminare.