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CICLo AGOSTINIANo a NOVARA

Ritratto di Giuseppe Nuvolone, tela del 1640-1660 a Brescia, Musei Civici di Arte e Storia

Ritratto di Giuseppe Nuvolone

 

 

STORIE AGOSTINIANE DI GIUSEPPE NUVOLONE

di Filippo Maria Ferro

in Paragone, 439 (1986), Milano, pp. 34 - 40

 

 

 

 

Tra gli inni sacri della pittura borromea, testo di nevralgica intensità è certo il "Battesimo di Sant'Agostino" del Cerano, che lega in un disegno solenne il fondatore della chiesa milanese e il sommo filosofo della cristianità: metodo di rispondenze agiografiche e di aperture di racconto che, alimentate dalla 'proposta pittura-romanzo' di Daniele Crespi, divengono leitmotiv figurale per il secondo Seicento lombardo [1]. Comprendere in un'atmosfera lombarda il vescovo di lppona, maestro di retorica a Milano e in questa città toccato dalla conversione, è desiderio delle monache agostiniane di Novara, quando, oltre la metà del secolo, ricorrono, per far dipingere le storie del patrono nella loro chiesa monastero, alla maestria di un artista sensibile alla lezione ceranesca: Giuseppe Nuvolone, titolare dopo la morte del più nominato fratello Carlo Francesco della prospera bottega di famiglia. È una scelta colta, che sottilmente registra le tendenze della moda e le accorda alla tradizione [2]. Con eguale intento le vicine monache cappuccine hanno chiamato il cavalier Cairo, invaghite per la 'visitazione' delle sue ambigue eleganze [3].

La presenza dei Nuvolone a Novara e nel Novarese è ampia, come in altre città del territorio lombardo; e conferma l'importanza di un ruolo nello sviluppo delle sorti regionali della pittura che la critica ha affrontato con distrazione, confondendo dall'inizio con il soprannome 'Panfilo' [4].

Gli studi recenti ritrovano delle distinzioni, e così avviene per l'area novarese [5]. Il dipinto più noto del passaggio in Novara di Giuseppe rimane la 'Maddalena' eseguita per le monache devote della santa penitente. Le suore hanno poi pensato di mitigare la languida sensualità della bella peccatrice facendola rivestire almeno un poco, e il ritocco evidenzia alcune perplessità di Giuseppe che sta definendo la autonomia rispetto ai modelli e alla dominanza stilistica del fratello [6]. L'amabile impertinenza del pittore non spiace alle sorelle agostiniane [7], che gli si rivolgono poco dopo per i quadroni da dedicare all'esemplare conversione e vita speculativa del santo filosofo e dottore. E uno dei teleri porta la data 1665, riferimento prezioso per ricostruire l'iter di Giuseppe [8].

Interprete come Carlo Francesco di 'una nuova cedevolezza di beltà lombarda', Giuseppe si esprime con libertà nel ciclo novarese. Della vicenda agostiniana sceglie, meditando sulle 'Confessioni, le scene che più alimentano la vita interiore e l'esperienza claustrale [9]

Nel primo quadrone Agostino è un elegante insegnante di retorica intento allo studio nei giardini intorno a Milano. La sua giubba rosata con gli alamari segue la moda raffinata dei personaggi che ambiscono farsi ritrarre nella bottega nuvoloniana. Egli siede ai piedi di un frondoso albero di fico quando un angelo compare e lo invita, porgendogli il libro aperto sul passo, a leggere l'esortazione alla castità dalla lettera di San Paolo. Nel fondo il pittore narra l'atto precedente, l'appartarsi di Agostino e di Alipio nella silenziosa verzura, e raffigura la chiesa monastero, luogo dove gli ordini agostiniani continuano la disposizione riflessiva del fondatore. La nota nuova di Giuseppe Nuvolone nell'accostare questa crisi interiore sta nel sciogliere la preoccupazione edificante in racconto vivo, in gioioso incanto di colore, assaporando nella delicata descrizione del paesaggio l'incanto dell'otium letterario. La meditazione si immerge in una arcadica quiete, nella quale ogni spettro sembra fugato; il pittore segue gli appunti dei suoi taccuini di impressioni campestri, le memorie dei soggiorni lungo le rive del Lago d'Orta, nelle ville di Miasino e di Armeno. Solo il raggio di luce con il monito 'Tolle, lege; tolle, lege' sottolinea l'intervento divino in uno scenario di profonda fusione al naturale. Il paesaggio chiaro, di inedita freschezza, dice come Giuseppe intenda il mondanizzarsi dell'esperienza mistica [10] e come viva personalmente una conversione capace di allontanare le tenebre della maniera, presenti ancora nei pentimenti della Maddalena.

All'immagine di vita beata che sembra racchiudere anche il seguito dell'evento, il raccoglimento brianzolo del santo e la dolce visionarietà degli orti conventuali, fa da contrappunto la speculazione filosofica. Agostino è raffigurato nella veste di Vescovo di Ippona ed ha di fronte le acque della costa africana, anche se Giuseppe sembra ispirarsi nel rendere il respiro del golfo alle domestiche irritazioni dei laghi lombardi e alla dolcezza delle loro rive. La Trinità è annunciata da un vortice di angiolotti, quasi uno stormire tra le foglie del grande albero, ma l'attenzione del Vescovo è rivolta al bambino incontrato lungo la spiaggia, il quale raccogliendo nella conchiglia l'acqua del mare gliene rivela l'incommensurabilità. Così Agostino, nello splendore dei parametri, vere lamine dorate ceranesche, contempla i ritmi della natura e lo scorrere del tempo, si concentra sulla temporalità interna che sembra confermare nella psicologia il dogma: 'mens, notitia, amor'.

Nel raccontare questo ripiegamento del pensiero e nel renderlo all'unisono con i battiti naturali, il pittore è attento a un'invocazione: 'In te, anime meus, tempora mea metior'. L'attualità di questo 'cogito' è di ritrovarsi partecipe di una filosofia naturale, che Giuseppe coglie con sensibilità preromantica, nella dolcezza e nelle inquietudini con le quali registra lo scenario del mondo [11].

Di eguale quiete, sia pure d'altra tonalità rispetto al bel meriggio della conversione e al procelloso tramonto della meditazione, è la penombra dello studio dove il rigore intellettuale del vescovo filosofo intento alla stesura del De Trinitate è visitato e acceso dalla visione divina.

La Trinità, presente nel secondo quadro, ritorna, musa ispiratrice; sciogliendo l'addensarsi delle nubi e scostando la tenda damascata si posa su di un arco classico, e il suo lume rischiara la veglia, ne scopre l'intimità. Giuseppe descrive con cura i grossi tomi e l'angioletto che li ripone, attestando un lavoro di consultazione e scrittura di quindici anni; si sofferma sul tavolo da lavoro, sull'orologio che vi scandisce il tempo. E un'atmosfera della quale si ricorderà l'Abbiati nel suo 'Lorenzo nello studio' della serie del Duomo. La Trinità sull'arco sembra dimostrare il turbamento di un passaggio di cultura, il bisogno di articolare la nostalgia di un equilibrio di certezze e l'annuncio di un'incrinatura moderna che Giuseppe ha conosciuto nel '30, ragazzo di undici anni, ed ora affronta nel mestiere di pittore. Nel suggellare il ciclo proprio con questa elegia di tenebre e di speranze, egli rammenta le parole che le suore hanno raccomandato alla sua lettura: 'balenò nel cuore come una luce di serenità che fece scomparire tutte le tenebre dell'incertezza'. È certo anche lo stato d'animo di chi, morto il fratello Carlo Francesco, e nell'anno di scomparsa del Cairo, sa di giocare un ruolo primario nel conservare e insieme aggiornare la tradizione lombarda.

L'analisi stilistica della trilogia conferma un'attenzione continua alle invenzioni del Cerano, alle sue superfici metalliche anche se ambiguamente sfogliate, e la conservazione di un lume frutto disapienti inosculazioni tra caravaggismo e maniera. E, ad innovare il tessuto avito, si aggiungono una sensibilità agli echi di Spagna [12], un'apertura alle gamme cromatiche dei genovesi [13] e una riflessione infine sulla catastrofe materica annunciata da Cairo.

Giuseppe Nuvolone si conferma sapiente mediatore di linee stilistiche. Ma vi è di più. Note sorprendenti della trilogia sono la scioltezza del racconto, il rapporto delineato tra esistenza e natura con sensibilità acuta, le indicazioni offerte alla narrativa lombarda. Fondendo le proposte dell'ultimo Cerano e di Daniele alla luce dell'esperienza ortese, egli prepara il terreno per la ripresa dei cicli carliani e per le nuove grandi serie di fine secolo. Che l'avvenire, insito nell'operazione di pittura siglata da Giuseppe nel 1665, sia in tale direzione, lo dimostra il seguito di scelte delle nostre monache agostiniane novaresi. Affascinate dalle immagini del patrono, le suore desiderano presto aggiungervi l'esperienza attuale di Tommaso da Villanova, canonizzato nel 1658 ed ispiratore come Agostino di celebri teleri dipinti da Murillo a Siviglia [14]. E intorno al 1690 affidano, per integrare la serie nuvoloniana, l'esecuzione di due immagini di San Tommaso a Filippo Abbiati, il quale aggiorna la lettura ceranesca spiegazzando con impeto barocco le superfici dei manti vescovili e riprendendo nella scena del miracolo il verismo ortopedico esibito da Procaccini nella sedia-portantina di Gerolamo Baio nella serie del Duomo milanese [15].

Quando si vorrà scrivere, ed il tempo di farlo si avvicina, una storia di come la pittura in Lombardia sappia, in parallelo con quella di Spagna, farsi romanzo, e produrre una singolare sinestesia con la letteratura, le storie agostiniane di Giuseppe Nuvolone e le aggiunte abbiatesche saranno un momento obbligato di citazione, pagine intense del meraviglioso feuilleton dell'iconographia visibilis teorizzata da padre Suppensio, e dedicata al vescovo novarese Visconti [16], quando già i pennelli le han dato vita e vena inesauribile di fantasia.

 

 

 

NOTE

(1) - In questo clima a Novara, esempio periferico illuminante dove le scelte narrative risultano sollecitate dalla committenza dei Vescovi, a partire da Carlo Bascapè per giungere a Giovan Batista Visconti, la vita di Gaudenzio dipinta verso il 1610 dal Fiammenghino vede quale protagonista anche Ambrogio e il gran dramma allestito intorno al 1690 tra le navate del Duomo dall'Abbiati ha quali interpreti, oltre al prete Martire Lorenzo, Gaudenzio ed Eusebio. Cfr. F. M. Ferro, Uno sconosciuto ciclo di teleri: la storia di San Gaudenzio vescovo di Novara per la regia del Fiammenghino, in 'Paragone', 261, 1971, pp. 1-14; F. M. Ferro, Storia di San Lorenzo al Pozzo dipinta da Filippo Abbiati per il Duomo di Novara, Novara, 1967

(2) - Oltre all'esempio del gran quadrone milanese e della sua complessa sequenza, il Cerano ha contribuito a definire l'iconografia lombarda del Santo, proprio con un'opera novarese, 'l'ancona di S. Agostino orante' dipinta per 'S. Nicola da Tolentino de' PP. Eremitani di S. Agostino': P. F. Prina, Elenco delle pitture nelle chiese di Novara, aggiunta ms. al Museo Novarese di L. A. Cotta. Nel ms. si ricordano anche un 'Sant'Agostino' del Pasinelli nella chiesa della Madonna delle Grazie dei Canonici regolari Lateranensi e in San Paolo 'un'ancona del Pellegrino, ove si rappresenta N. S. che lava i piedi a S. Agostino' (sic !). Le chiese sono scomparse e i dipinti menzionati dispersi.

(3) - F. M. Ferro, Per Francesco Cairo, una pala inedita e una proposta di restauro, in 'Boll. St. Prov. Novara', 1983, pp. 401-408.

(4) - E in particolare la figura di Giuseppe ad essere rimasta coperta dal soprannome 'Panfilo', fatta eccezione per molte lodevoli precisazioni delle guide locali. Tra i contributi essenziali a una definizione autonoma di Giuseppe cfr. P. Arrigoni, Panfilo, Giuseppe, Carlo Francesco Nuvolone, in U. Thieme-F. Becker, Künstler Lexikon der bildenden Künstler, Leipzig, XXV, 1931, pp. 540-541; C. Baroni, Dl alcuni sviluppi della pittura cremonese del manierismo al barocco, in Emporium, 618, 1946, p. 287; Schede Vesme, Torino, 1968; C. Grandi, Carlo Francesco Nuvolone: dalla maniera all'arcadia, in 'Commentari', XXI, 1970, pp. 316-325; M. Valsecchi, Catalogo dei dipinti e delle sculture, in Il Seicento lombardo, catalogo della mostra, Milano, 1973, pp. 74-75 ; G. Bora, Due secoli d'arte a Milano: la pittura in Santa Maia della Passione, in Santa Maria della Passione e il conservatorio Verdi, Milano, 1981, pp. 80-161; R. Guida, L'attività dei pittori Panfilo e Giuseppe Nuvolone in Lombardia, tesi, Università di Milano, a. a. 1987- 82 (con bibl. esaustiva); M. Bona Castellotti, Giuseppe Nuvolone, in Brera dispersa, Milano, 1984, pp. 120-121 e 222.

(5) - A Carlo Francesco, oltre alla regia e a un primario impegno nelle storie francescane del Sacro Monte di Orta, sono da ascrivere le 'devozioni federiciane' di Arona e l"Annunciazione' di Oleggio, ricca di fremiti leggeri e liquide trasparenze. Quanto a Giuseppe, è attivo con Carlo Francesco a Orta, 1654, e la loro comunione di intenti si ravvisa nella coeva. 'Adorazione dei pastori' del Duomo di Novara. Giuseppe è poi presente, in anni avanzati e con la collaborazione del figlio Carlo, a Trecate. Dispersa risulta una tela con il 'Miracolo del Sacramento' riferita a Giuseppe dal Bianchini e presente in una collezione locale sino al primo Ottocento. Cfr. F. A. Bianchini, Le cose rimarcbevoli della città di Novara, Novara, 1828, p. 184 Arona Sacra, a cura di vari autori, 1977, pp. 100-101; G. Romano (a cura di), Musei del Piemonte. Opere d'erte restaurate, Torino, 1978, pp. 154 e 158, A. M. lnversetti, Il pittore Carlo Francesco Nauohne, tesi, Università di Milano, 1911-18, pp- 171-178; M. Dalai Emiliani, IJn capitolo inedito dell'attittità d.ei Nuvolone: gli affreschi e le tele della chiesa di San Francesco a Trecate, in 'Acme', II, Milano-Varese, 1969; R. Guida, op. cit., pp. 142-150, 452-455 e 509.

(6) - L'opera, ad evidenza ispirata ad una composizione di Carlo Francesco, permette attualmente la decifrazione della firma IOS. NEVOL. D. PANPHILUS. Il Bianchini, 1828, p. 177, la descrive nel palazzo Basilico. Cfr. anche P. Arrigoni, op. cit., p. 541; C. Baroni, L'arte nel Novarese, in Novara e il suo territorio, Novara, 1952, p. 601 tav.; G. Grandi, Un manierista lombardo: Carlo Francesco Nuvolone, B. S. P. A. B. A., 1962-63, p. 87; R. Guida, op. cit., pp. 357-358.

(7) - Tra le monache di Santa Maria Maddalena e quelle di Sant'Agostino risulta esservi un rapporto stretto, tanto che alla fine 'nel dicembre dell'anno 1798 si trasferirono in sant'Agostino le vergini di santa Maria Maddalena' (F. A. Bianchini, op. cit., p. 139.

(8) - I tre teleri misurano cm. 365 x 240 e sono compresi in una cornice dorata d'epoca. Sono stati restaurati da Severino Borotti nel 1953, cfr. D. Salmé, Il collegio Nazionale 'Carlo Alberto' di Novara, 1970, pp. 22-29. Dopo l'esatto riferimento del Prina nel ms. citato 'S. Agostino Monache - li suddetti Panfilo e Abbiate' (la citazione segue quella relativa a Santa Maria Maddalena nella quale si specifica che Panfilo è Giuseppe Nuvolone) i riferimenti si confondono. il dipinto con 'Sant'Agostino che scrive il De Trinitate' è quello siglato: IOS. H NIVOLO S D S PANFILUS / PN. T ANNO 1965.

(9) - Per la scelta e l'elaborazione dei temi iconografici agostiniani E. Mâle, L'art réligieux après le Concile de Trente, Paris, 1932, ed. it., pp. 380-383; L. Réau, Iconographie de l'art chrétien, ed. Paris, 1958, r. I, pp. 149-157.

(10) - Quanto all'evoluzione nell'intendere i temi della mistica nel Seicento e al rapporto tra spiritualità e pittura: M. Gregori, Al culmine del Misticismo iberico, introd. a Zurbaràn, Milano, 1973

(11) - In questa scelta tematica abbastanza rara e privilegiata per intendere un nuovo rapporto tra pensiero e natura, Giuseppe Nuvolone può guardare agli esempi del Guercino e del Lanfranco e a quello recente del Maratti. È singolare come la composizione di Giuseppe ricordi in molti dettagli il dipinto di Giovanni Lanfranco nella cappella Buongiovanni in Sant'Agostino.

(12) - Senza voler riprendere l'antica equazione Nuvolone-Murillo, non si può non riconoscere un'affinità sentimentale del nostro con l'opera di Murillo per gli agostiniani di Siviglia del 1661-64: la 'visione' di Murillo e quella novarese di Giuseppe sembrano poi riconoscere un'ascendente vandychiano comune. In ogni modo, se non si provano scambi, l'affinità è confermata dal modo di intendere la tradizione del misticismo e della pittura. Come la luce definente e la forte rappresentazione oggettuale di Zurbaràn divengono "visionarietà sfocata" in Murillo (M. Gregori, op. cit.), così le lamine ceranesche divengono per Nuvolone superfici seriche, soffuse e cangianti. E questi paragoni si possono qui stringere attorno all'interpretazione di un motivo mistico-figurale 'la luce agostinianamente vista come veicolo inondante di grazia'.

(13) - Giustamente la Guida (op. cit.) prospetta un viaggio diretto di Giuseppe a Genova. La sua informazione sugli esempi di Rubens e di Van Dyck e del fervore di invenzioni della 'Genova pittrice' è troppo viva per essere mediata o per risalire al ricordo dei viaggi liguri di Giulio Cesare Procaccini e di Morazzone.

(14) - L. Réau, op. cit. III, p. 1281; D. Angulo Iniguez, Los pasajes de Santo Tomas de Villaneava de Muillo, in 'Archivo Espanol de Arte', 181, 1973, pp. 71-75

(15) - Le due tele aggiunte, riferibili seguendo il ms. del Prina a Filippo Abbiati, misurano cm. 132 x 255 e sono comprese in cornici dorate affini a quelle dei teleri con le storie di Agostino; sono state restaurate nella stessa occasione. Rappresentano un "Miracolo di San Tommaso da Villanova" e San Tommaso che presenta alla Vergine col Bambino il cuore trafitto d'amore; si tratta di temi, il secondo in particolare, svolti anche per Agostino, a suggerire una comune identificazione, una stessa visione spirituale. L'Abbiati, coerentemente a questa tradizione di sottile ambiguità iconografica, fa indossare a Tommaso un manto vescovile in tutto simile a quello di Agostino.

(16) - D. suppensio, Iconographia visibilis gloriae ... Milano, 1701; La penna interprete del pennello ... Milano 1706 (si tratta di descrizioni dei rapporti pittura-narrazione nel ciclo di Sant'Alessandro in Milano). Il Suppensio, retore e pittore, dedica la seconda operetta a G. B. Visconti, barnabita (1642-1713) vescovo di Novara dal 1687, ispiratore della serie di teleri dell'Abbiati per il Duomo di Novara e di altri cicli pittorici del contado.