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Iconografia AGOSTINIANa nella chiesa di san Marco a Milano

La morte della Vergine, opera di Campi nella chiesa agostiniana di san Marco a Milano

La morte della Vergine

 

 

ANTONIO CAMPI

1577

Chiesa di San Marco a Milano

 

La morte della Vergine

 

 

 

Il quadro di Antonio Campi, ora conservato nel Museo parrocchiale, in origine faceva parte di un trittico posto nella Cappella Cusani. La sua opera viene ricordata da Longhi tra i precedenti del luminismo di Caravaggio e doveva costituire la maggiore novità della Cappella. Il soggetto trattato da Campi affonda le sue radici compositive in una stampa di Dürer. Campi introduce un modernissimo uso della luce: le due fonti luminose costituite dalle candele, forse in ricordo dei "quadri di notte e di fuochi" dipinti dal Savoldo per la Zecca di Milano, creano straordinari effetti di chiaroscuro, accendendo i toni cromatici e delineando figure in controluce. Al capezzale del letto su cui la Vergine sta morendo, sta in vegli Agostino, vestito con gli abiti episcopali. Alle sue spalle la madre Monica guarda commossa la scena.

 

Antonio Campi fu pittore, scultore, architetto e scrittore italiano (Cremona 1523-1587). Secondogenito di Galeazzo Campi, fu allievo del padre e poi del fratello Giulio; lavorò a Cremona, Milano, Piacenza (1566-70, nel coro del duomo). Nei primi anni di attività collaborò probabilmente con Giulio agli affreschi della volta della chiesa di Santa Margherita e alla serie dei nove dipinti di soggetto storico per il palazzo della Loggia a Brescia (1549, ora divisi tra Brescia e Budapest).

Tra il 1552 e il 1554 fu impegnato nell'esecuzione di lavori scultorei per il duomo e il battistero di Cremona; poco dopo attese, sempre con il fratello, agli affreschi della prima campata di San Sigismondo. Gli affreschi del Romanino e del Pordenone nel duomo di Cremona furono determinanti per lo sviluppo successivo della sua pittura come lo erano stati per l'opera di Giulio, suggerendogli però soluzioni in senso più naturalistico fin dai primi dipinti milanesi, quali la Resurrezione in Santa Maria presso San Celso (1560) e gli affreschi nella chiesa di San Paolo Converso (1564). Attento alle invenzioni luministiche della scuola bresciana (Moretto, Savoldo), ne trarrà, in particolare nei «notturni» effetti d'un potente illusionismo.

Dalla Pietà del duomo di Cremona (1566), prima opera d'impronta bresciana, e dalla Visitazione (1567) del Museo Civico di Cremona, alla Decollazione di San Giovanni (1567) e al Cristo e la Maddalena in casa di Simone (1577, Cremona, San Sigismondo), ai più tardi dipinti milanesi di San Paolo (1580-81) e di Sant'Angelo (1538), singolari «precedenti» caravaggeschi, va compresa la parabola dell'arte matura di Antonio Campi.

 

"Ma in che senso Giovanni prese con sé la madre del Signore? Non era egli forse uno di coloro che avevano detto al Signore: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (Mt 19, 27)? Ma ad essi il Signore aveva anche risposto che qualunque cosa avessero lasciato per seguirlo, avrebbero ricevuto, in questo stesso mondo, cento volte tanto (cf. Mt 19, 29). Quel discepolo pertanto conseguiva il centuplo di quello che aveva lasciato, fra cui anche il privilegio di accogliere la madre del donatore. Il beato Giovanni aveva ricevuto il centuplo in quella società, nella quale nessuno diceva proprio qualunque suo bene, in quanto tutto era comune a tutti; come appunto si legge negli Atti degli Apostoli. E cosí gli Apostoli non avevano niente e possedevano tutto (cf. 2 Cor 6, 10).

In che modo, dunque, il discepolo e servo ricevette la madre del suo maestro e Signore tra i suoi beni, in quella società dove nessuno poteva dire di avere qualcosa di suo? Poco più avanti, nel medesimo libro, si legge: Quanti possedevano terreni e case, li vendevano e ne portavano il ricavato e lo deponevano ai piedi degli Apostoli; ed esso veniva man mano distribuito a ciascuno proporzionalmente al bisogno (At 4, 34-35). Da queste parole si può arguire che a questo discepolo venne assegnato quanto personalmente egli aveva bisogno e in più quanto gli era necessario per il mantenimento della beata Maria, considerata come sua madre. Non è forse questo il senso più ovvio della frase: da quel momento il discepolo la prese in casa sua, che cioè egli prese su di sé l'incarico di provvedere a lei in tutto? Egli se la prese con sé, non nei suoi poderi, perché non possedeva nulla di proprio, ma tra i suoi impegni, ai quali attendeva con dedizione."

AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, 119, 3