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PITTORI: Palma il Giovane

Il Crocifisso fra i santi Agostino e Gerolamo

Il Crocifisso fra i santi Agostino e Gerolamo

 

 

JACOPO NEGRETTI detto PALMA IL GIOVANE

1600-1610

Abano Terme, Santuario della Madonna della Salute di Monteortone

 

Gesù crocifisso tra i Santi Agostino e Girolamo

 

 

 

Negretti realizzò quest'opera nel primo Seicento. Vi ha dipinto Gesù crocifisso con ai piedi della croce i santi Agostino e Girolamo. Questa pala d'altare, dipinta a olio su tela, misura m 2,84 in altezza e 13,8 in larghezza 1,38. In alto sopra la croce si legge la scritta, entro cartiglio, INRI.

La figura del Cristo si erge poderosa sulla croce immersa in una nuvolaglia scura, che drammatico l'ambiente. Inginocchiati e in contemplazione i due santi volgono lo sguardo verso l'alto. Agostino, a sinistra, indossa i suoi paramenti episcopali e in segno di umiltà si è levato la mitra, simbolo della sua dignità episcopale, è l'ha deposta ai suoi piedi per terra. Sotto il piviale, che viene aperto dagli ampi gesti delle braccia, si nota senza difficoltà la presenza della tunica nera dei monaci eremitani che seguono la sua regola. Il volto, assai espressivo, è arricchito da una foltissima barba riccioluta e nerastra. Di fronte a lui si trova inginocchiato Gerolamo, seminudo e coperto da un insufficiente mantello rossastro. Nella mano sinistra tiene aperto un libro, forse una copia della Bibbia che il santo tradusse in latino. Ai suoi piedi, secondo la tradizione iconografica, fa capolino un leone che lo accompagnò nella sua vita eremitica in Palestina.

Ricordata dalle fonti sull'altare sin dal 1644, la pala si colloca cronologicamente vicino alla Crocifissione di Castelnuovo del 1614. La scelta dei due santi ai piedi della croce, nell'ambito della iconografia controriformistica, si spiega con la presenza degli agostiniani a Monteortone: a S. Agostino sarà infatti consacrato un altare dal vescovo Barozzi.

 

Il Santuario della Madonna della Salute di Monteortone si trova nei pressi di Abano Terme. La devozione in questo luogo risale al 1428, quando un soldato di nome Pietro Falco con problemi alle gambe, causati da numerose ferite riportate in battaglia, si ritirò in preghiera in questo luogo per riposarsi. Mentre pregava vide la Madonna, che gli promise la guarigione se si fosse bagnato con l'acqua di una vicina fonte. Guarito miracolosamente, scoprì tra i sassi una icona mariana che raffigurava la Vergine con Gesù Bambino e ai lati San Cristoforo martire e San'Antonio Abate. Il quadro richiamò un numero sempre maggiore di devoti e alla Vergine di Monteortone fu attribuita anche la fine della pestilenza che in quel periodo stava colpendo Padova.

Il vescovo fece costruire un piccolo oratorio dove venne collocato il dipinto ritrovato da Pietro Falco. Grazie all'intervento del famoso predicatore agostiniano fra Simone da Camerino, fu avviata la costruzione di una prima chiesa e di un convento, dove i frati avrebbero custodito la fonte, l'immagine sacra e il ricordo del miracolo. Con frate Alvise Savonarola da Padova e frate Angelo, con frate Simone nacque una nuova congregazione religiosa, nota come agostiniani della Beata Vergine di Monteortone, approvata da papa Eugenio IV nel 1432. Sotto la direzione di Pietro Lombardo la chiesa, che aveva inglobato l'originario oratorio, rovinata da un incendio, fu riedificata più grande e riconsacrata nel 1495. L'imponente costruzione attuale presenta tre navate a croce latina, con una facciata tripartita in cui spicca un grande portale barocco in pietra bianca, opera di Matteo Allio del 1667. E' ancora visibile il luogo della guarigione di Pietro Falco: è una piccola grotta, a cui si accede da una scaletta, dove i pellegrini possono toccare l'acqua calda ritenuta miracolosa.

I padovani fecero voti alla Madonna durante la peste del 1630 e il colera del 1866. Quando il convento venne soppresso per decreto napoleonico nel 1810 diverse opere d'arte votive furono trafugate dal santuario. Nella chiesa si sono conservate una raffinata acquasantiera in marmo di Giovanni Minello e una Madonna con Bambino attribuita al pittore Jacopo Parisati di Montagnana della fine XV secolo. L'opera di maggior rilievo è il grande affresco di Jacopo da Montagnana che decora l'abside. Al centro è raffigurata l'Assunzione di Maria, a cui è dedicata la chiesa, con gli apostoli che assistono all'evento. Sulle pareti laterali troviamo la Nascita della Vergine e l'Apparizione della Madonna a Pietro Falco.

L'altare maggiore è intarsiato con marmi policromi del 1683. Le due navate laterali presentano cappelle che ospitano due tele del Cinquecento e Seicento: la prima è un "Cristo Risorto che appare alla Maddalena" di Giovanni Battista Bissoni e l'altra è il "Crocifisso tra i Santi Agostino e Girolamo" di Palma il Giovane, allievo di Tiziano e Tintoretto, dai quali fu influenzato nella resa cromatica e prospettico-compositiva.

Agostino è raffigurato a sinistra del crocifisso in abiti episcopali, sotto il cui piviale si nota apertamente la tunica nera dei monaci agostiniani. Il volto del santo esprime una forte attenzione estatica con lo sguardo rivolto intensamente alla figura di Cristo.

Nel 1925 il santuario mariano è stato elevato a parrocchia. L'attiguo ex convento agostiniano presenta un vasto chiostro con pozzo originale del XVI secolo. Dopo essere stato utilizzato come casa di cura, la struttura ha ospitato un istituto teologico dei Salesiani dal 1937 al 1970.

 

 

Iacopo Negretti detto Palma il Giovane

Nato a Venezia verso il 1550 da Antonio e Giulia de' Pitati, Jacopo apparteneva ad una famiglia di lunga tradizione artistica. Venne ben presto avviato agli studi pittorici seguendo le inclinazioni dello zio del padre, Palma il Vecchio e del fratello della madre, Bonifacio de' Pitati, detto Bonifacio il Veronese. Jacopo fa affascinato dallo stile di Raffaello e Tintoretto, eseguì varie copie di Tiziano, suo vero maestro, con cui collaborò. Soggiornò a Roma per quattro anni dove conobbe il manierismo romano. La sua produzione artistica inizia verso il 1565. Ebbe grande fortuna nel bergamasco, terra d'origine della famiglia, dove lavorò con intensità nel tardo Cinquecento. Morì "oppresso dal catarro" nel 1628, senza che nessuno tra i suoi figli e nipoti continuasse l'arte della pittura.