Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > Italia > Mondolfo

CICLo AGOSTINIANo nel Chiostro di Mondolfo

Agostino e il bambino sulla spiaggiao

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

MAESTRO DI MONDOLFO

1650-1670

Chiostro del convento agostiniano di Mondolfo

 

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

La scena è stata associata alla visita che Agostino, secondo una tradizione medioevale accreditata dagli eremitani agostiniani, avrebbe compiuto presso un gruppo di monaci pisani. Sulla destra si intravede la lunga scalinata che porta al monastero di questi monaci, mentre a sinistra si apre una larga radura per l'attracco delle navi. In primo piano Agostino è in piedi mentre sta leggendo: un fanciullo lo guarda girandosi verso di lui abbandonando i suoi giochi con l'acqua e la sabbia. Secondo la tradizione alla domanda di Agostino che chiede al bambino cosa sta facendo, il ragazzo risponde che vuol mettere tutta l'acqua del mare nella buca che ha fatto sulla spiaggia. Alla osservazione di Agostino che non può ottenere ciò che vuole, il bambino risponde che neppure lui può pensare di comprendere il mistero della Trinità: l'infinità di Dio non può essere compresa nella mente limitata dell'uomo.

L'episodio quindi descrive il tentativo di Agostino di comprendere il mistero della Trinità, tentativo che risulterà improduttivo.

 

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.

 

Nella fascia inferiore della lunetta si legge la spiegazione del contenuto della pittura con questa parole: D'UN NUME UNICO E TRINO AMPI VOLUMI MA CHE TERMINE IMPOSE AL RE ... CON PENNA D'ORO IN CENTO CELLE APPRESTA AL FIUME DI SUA PENNA IL CORSO.