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CICLo AGOSTINIANo con le incisioni di Guglielmo Collaert

Agostino e la Continenza

Agostino e la Continenza

 

 

COLLAERT GUGLIELMO

1629

Edizione a stampa del volume Flammulae Amoris Sancti Patris Nostris Augustini Versibus et Iconibus Exornatae

 

Agostino e la Continenza

 

 

 

Nel XVII secolo la scena allegorica della Continenza conobbe una fortunata diffusione fra gli artisti fiamminghi. Guglielmo Collaert tuttavia trent'anni prima dei pittori ha immaginato Agostino alle prese con la Vanità, menzionata in occasione della scena del giardino a Milano in antitesi alla Continenza.

Il testo "retinebant me nugae nugarum et vanitates vanitatum" è tratto dal settimo libro delle Confessioni (Conf. VIII, 11, 26, 1).

Una bella e giovane donna occupa il centro della scena dell'incisione. Il suo mantello riposto sulla spalla destra libera il suo busto il cui corsetto esalta la rotondità delle forme. La sua folta capigliatura cade in riccioli sulle sue spalle mentre una corona imperiale dalla forma di globo poggia sulla sua testa.

Un ramo di lauro amplifica la sua gloria. Al collo porta una collana munita di un pesante ciondolo. Con la mano sinistra consegna una testa di cavallo di legno ad un giovane Agostino, raffigurato come un bambino, anche se in realtà, durante questo episodio del suo soggiorno milanese, aveva trentadue anni.

La Vanità è in piedi dietro un tavolo ricoperto da un prezioso tappeto, dove sono stati deposti innumerevoli oggetti destinati ai giochi infantili e futili piaceri: mandolini, violini, palline, racchette e altro. Cupido alato, di cui si vede solo il mezzo busto, si diverte a produrre bolle di sapone da un pipa e farle volare nell'aria.

Lo sfondo presenta un paesaggio appena accennato dietro un albero con qualche foglia. Nel cielo una densa nuvola trattiene i raggi divini: nessuno di essi riesce a raggiungere la terra. Questa raffigurazione costituisce una novità nell'iconografia agostiniana e non sembra abbia avuto altre similari interpretazioni.

 

Ma ormai parlava senza più calore. Ormai da quella parte a cui guardavo e fremevo di passare qualcuno mi si stava rivelando: era la sobria distinzione della Continenza, con il suo sorriso luminoso e discreto, e il cenno carezzevole e il contegno con cui pareva invitarmi a venire da lei senza esitare più. E protendeva verso me devote mani, quasi a ricevermi e abbracciarmi, piene di buoni esempi, a grappoli. Tanti bambini e bambine, e poi ragazzi e giovani e gente d'ogni età, e vedove posate e antiche vergini: e in tutti questi la continenza non era affatto sterile, ma generava figli di gioia da te, Signore, loro sposo. E il suo sorriso era insieme di invito e d'ironia, quasi dicesse: "Non avresti il potere che hanno questi ragazzi, queste donne? E loro lo trovano in se stessi, e non nel loro Dio e Signore? Il loro Dio e Signore me li ha dati. Perché ti tieni a te stesso, e non ti contieni? Gettati in lui, senza paura: non si ritirerà perché tu cada! Gettati senza angoscia, ti accoglierà e tu sarai guarito". E la vergogna mi faceva paonazzo, perché intanto continuavo a udire il sussurro di quelle fantasticherie, ed ero ancora esitante, sospeso. E lei di nuovo pareva riprendere a parlare: "Fatti sordo alla voce impura del tuo corpo sopra la terra, per mortificarlo. Ti parlano del piacere, ma non conforme alla legge del tuo Dio e Signore." Questa controversia era tutta nel mio cuore, c'ero soltanto io contro me stesso. Alipio, immobile al mio fianco, attendeva in silenzio l'esito della mia inusitata agitazione.

AGOSTINO, Confessioni, 8, 12, 27