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CICLo AGOSTINIANo di Marzio Ganassini a Viterbo

Affreschi di Ganassini nel chiostro della chiesa della SS. Trinità: Attentati circoncellioni

Attentati dei circoncellioni: particolare della uccisione di monaci

 

 

MARZIO GANASSINI

1610

Chiostro della Chiesa della SS. Trinità a Viterbo

 

Attentati circoncellioni

 

 

 

L'iscrizione in margine al dipinto riporta: mortalis fugit insidias pater ipse furentum ferreus at fratrum transfugit guttura mucro. L'episodio descritto da Ganassini in realtà si compone di due scene accumunate dalla tragicità degli eventi e dal martirio dei frati agostiniani. A sinistra c'è un assalto a due frati, di cui uno è già a terra con la testa ferita da una spada. A destra un soldato è all'assalto di un frate che sta per cadere ed è pronto a ucciderlo con una spada. Gli episodi si riferiscono situazioni tragiche che coinvolsero frati agostiniani come martiri della fede cristiana: del resto lo stesso Agostino era fortunosamente sopravvissuto a un attentato dei circoncellioni, dei banditi che affliggevano le campagne della sua Africa.

 

Le prime apparizioni dei Circoncellioni sono incerte, ma, probabilmente, vanno fatte risalire a prima della morte di Costantino. I Circoncellioni erano, per la maggior parte, abitanti delle campagne che non conoscevano il latino, ma parlavano il punico; è stato ipotizzato che potessero essere di sangue berbero. Quando si unirono ai donatisti, da questi vennero chiamati agonistici e "soldati di Cristo", ma in realtà erano dei semplici briganti. Le loro bande infestavano tutte le province africane che percorrevano armati; non usavano spade perché a San Pietro era stato detto di riporre la spada nel fodero, ma perpetravano continui atti di violenza con dei bastoni, che chiamavano "Israeliti".

Malmenavano le loro vittime senza ucciderle, ma lasciandole così malconce da farle morire. Ai tempi di Sant'Agostino, tuttavia, usavano le spade e qualsiasi tipo di arma potessero trovare; giravano accompagnati da donne non sposate, giocavano e bevevano. Il loro grido di battaglia era Deo laudes, e non si potevano incontrare banditi più terribili. Spesso cercavano la morte, considerando il suicidio alla stregua del martirio. Subito dopo la morte di Sant'Agostino, gli unici donatisti che conosceva Teodoreto erano i circoncellioni; e questi ultimi, agli occhi di coloro che non abitavano in Africa, erano il prototipo del donatista. Costoro erano pericolosi soprattutto per il clero cattolico, al quale attaccavano e saccheggiavano le case. Li picchiavano e li ferivano, mettevano calce ed aceto sui loro occhi e, talvolta, li costringevano ad essere ribattezzati.

 

E che cos'altro facevamo quando uno di noi, Possidio, vescovo di Calama, si recava al fondo di Figline, al solo scopo di visitarvi il sia pur piccolo numero dei nostri fedeli ivi residenti ? Egli vi si recava solo affinché, dopo aver udito la parola di Dio, coloro che lo avessero voluto si convertissero all'unità di Cristo! Ora mentre egli andava per la strada, i vostri gli tesero un agguato, come sogliono fare i banditi.

Siccome però aveva potuto evitarlo, cercarono con un manifesto atto di violenza nel fondo rustico di Liveti, di farlo bruciare vivo assieme alla casa in cui si era rifugiato. Non si sarebbe salvato se i contadini di quel medesimo fondo, per evitare i pericoli che correvano essi stessi, non avessero spente le fiamme appiccate per ben tre volte.

AGOSTINO, Lettera 105, 2, 4

POSSIDIO, Gesta Augustini 12, 1-5

PHILIPPE DE HARVENGT, Vita Augustini, 23