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CICLo AGOSTINIANo di San Ginesio

Agostino confuta l'eresia pelagiana

Agostino confuta l'eresia pelagiana

 

 

DOMENICO MALPIEDI

1630-1640

Chiostro del convento di San Ginesio

 

Agostino confuta l'eresia pelagiana

 

 

 

Anche la scena descritta nell'affresco della ventunesima lunetta non compare nei soggetti editati da Bolswert. La sua struttura e il suo stile sono coerenti con gli altri affreschi. La novità nel soggetto potrebbe essere attribuita a una esplicita richiesta della committenza agostiniana, che ha lasciato libero il pittore di creare una situazione nuova.

Nella immagine si legge ancora bene la scritta PELAGIUS, che si riferisce al famoso eretico contemporaneo di Agostino che fu vivacemente contrastato dal santo in diverse sue opere.

L'affresco è contraddistinto da uno scudo ovale con lo stemma di padre Mercuriius R. Anche in questo caso, come nella precedente lunetta, un religioso sul lato destro regge una catena legata a un "selvaggio" messo a terra e tutto timoroso ai piedi di Agostino.

Diversamente dalla lunetta ventesima, in questo caso si osserva una contrapposizione fra i personaggi in abito ecclesiastico, sulla destra e quelli sulla sinistra, compreso Agostino, che sono vestiti da monaci.

Il santo sentì profondamente la necessità di difendere l'ortodossia cristiana dalle eresie che imperversavano nel suo secolo. Nel corso della polemica contro i manichei e la loro visione dualistica dell'universo Agostino tende a sottolineare la bontà della creazione, la trascendenza di Dio e la superiorità dello spirito sulla carne. Nei confronti del donatismo Agostino sostenne che la Chiesa è un insieme di fedeli visibile, composta sia di santi che di peccatori. L'efficacia dei sacramenti non dipende dalla moralità di chi li amministra, ma dalla grazia di Dio che opera attraverso di loro. In disaccordo con Pelagio, che predicava la capacità dell'uomo di produrre e di scegliere il bene (di salvarsi pertanto usando le sue sole forze) Agostino ribadisce la realtà del peccato originale e pertanto l'urgenza della grazia divina per ottenere la salvezza (De natura et gratia).

 

416 Agostino tratta la questione pelagiana

La fine della controversia donatista coincise pressappoco con l'inizio di una nuova disputa teologica che impegnò Agostino fino alla sua morte. L'Africa, dove Pelagio ed il suo discepolo Celestio si erano rifugiati dopo il sacco di Roma da parte di Alarico, era diventata il principale centro di diffusione del movimento pelagiano. Già nel 412 un concilio tenuto a Cartagine aveva condannato i Pelagiani per le loro opinioni sulla dottrina del peccato originale, ma, grazie all'attivismo di Agostino, la condanna dei Pelagiani, che avevano avuto il sopravvento in un sinodo tenuto a Diospolis in Palestina, fu reiterata dai successivi concili tenuti a Cartagine e a Milevi. Un secondo periodo di attivismo pelagiano si sviluppò a Roma; papa Zosimo, dopo essere stato convinto da Agostino, nel 418 pronunciò una solenne condanna contro i Pelagiani.

 

Questi errori ... cercavamo di confutarli ... allo scopo che anche Pelagio, venendone a conoscenza, li correggesse senza essere attaccato personalmente: in tal modo sarebbe stata eliminata la sua funesta dottrina e gli sarebbe stata risparmiata la confusione ... Furono pertanto inviati alla Sede Apostolica dai due Concili di Cartagine e di Milevi rapporti concernenti tale questione prima che arrivassero in mano nostra o nell'Africa i verbali del processo ecclesiastico in cui si afferma che Pelagio si sia giustificato davanti ai vescovi della Palestina.

AGOSTINO, Lettera 186, 2 a Paolino

 

Pelagio sosteneva l'idea che l'uomo per ottenere la vita eterna doveva godere di una grazia esterna, ma parimenti doveva “utilizzarrla” poiché l'agire bene o male rimaneva comunque una decisione assolutamente sua. Queste affermazioni contestavano le teorie dei manichei, che giustificavano il male nel mondo teorizzando l'esistenza di due principi opposti del Bene e del Male, che in ogni momento sono in lotta, ora con la vittoria dell'uno ora dell'altro. Il male veniva generalmente identificato con la materia e dato che l'uomo era formato di materia non aveva in sè i crismi per vincere il male. Pelagio sostanzialmente sosteneva la piena libertà dell'uomo lasciandogli la decisione di scegliere la sua salvezza o la sua dannazione. Agostino reagì alle posizioni dell'una dell'altra tendenza. Egli infatti da una parte rivendicò l'importanza della sequela pratica a Cristo, dall'altra accentuò l'azione salvifica e giustificatrice della fede e della croce di Cristo. Rispetto alle teorie pelagiane egli sosteneva che la concupiscenza è testimonianza della tendenza umana a compiere il male, a causa della corruzione del peccato originale. L'uomo pertanto ha bisogno della redenzione divina. Dall'altra parte però sostiene che il peccato originale non ha corrotto completamente la natura umana che possiede comunque un margine di libertà che lo porta a poter scegliere il bene.