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lettera (VIII, 6)      a fRate Bartolomeo

 

Scritta nel 1336-1340

da luogo imprecisato

 

Lettera inviata a frate Bartolomeo dell'Ordine di sant'Agostino, vescovo di Urbino.

 

(VIII, 6)  Ad fratrem Bartholomeum Ordinis Sancti Augustini, epyscopum Urbinatem.

 

 

Quod professionem tuam decuit, ex Augustini dictis volumen ingens per alphabeti literas collegisti: rem maioris opere quam glorie; in quo ipso animum tuum miror, qui studio utilitatis publice maiora, nisi fallor, ausurum ingenium inclinasti, cuius ut votivus exitus, sic prosper eventus, sicut decuit, fuit.

Siquidem, cum ob eam causam Clementi, Romano Pontifici, literatissimo sed occupatissimo homini atque ob id talium compendiorum avidissimo, placuisses, patrie tue pontifex factus et altiora sperare iussus - quamvis, ut est animi modestia et religionis humilitas, natalis soli iuncta dulcedini, nescio an nichil, non dico altius, sed gratius inter hec rerum pretereuntium fastigia sperare queas - et de labore in laborem missus, quod de Augustino fecisti, de Ambrosio facere iuberis.

Parebis - iam cepisti enim - et perficies, spero, pari utinam facilitate et felicitate; parebis, inquam, si te novi, non ut altior fias sed ut gratior. Etsi enim sorte tua letum te altioris status cupido non tangeret, equum tamen animum decet, tam se gratum prebere ultro oblatis quam optatis petitisque; nichil enim eque in omni munere librandum ac donantis intentio.

Sed ad Augustinum tuum redeo et ad te; petiisti equidem, ut in fine illius magni operis, quod sudore tuo de illius opulentissimi patrisfamilias lapidibus et calce compactum, pontifici presenti sed multo maxime posteris preparasti, aliquot tibi versiculos subscribendos mitterem. Parui et ipse tibi, cui nil negarem volens; et quamvis iandudum, Musis indignantibus longeque aliis curis exercentibus, animum ab eo studio distractum, revocarunt preces tue.

Mitto igitur paucos elegos eiusdemque sententie totidem, si malis, hexametros; utere vel utrisque vel utrislibet; utrosque raptim et extemporali impetu dictatos noveris, nuntio tuo mecum syllabas metiente, ita ut nulla tam brevis fuerit, que sibi non longissima videretur.

 

Vale.

 

A frate Bartolomeo, dell'Ordine di Sant'Agostino, vescovo d'Urbino.

 

 

Facesti cosa degna del tuo ordine, raccogliendo alfabeticamente in un grosso volume tutte le sentenze di Agostino; lavoro più di fatica che di gloria; e per questo io ti ammiro, che per desiderio di fare cosa utile a tutti, piegasti a umile lavoro il tuo ingegno capace di cose ben maggiori, ottenendo com'era giusto, quello scopo che avevi desiderato.

Poiché, essendosi dell'opera tua compiaciuto Clemente, Pontefice Romano, uomo eruditissimo ma anche occupatissimo, e perciò di tali compendi avidissimo, tu fosti nominato vescovo della tua patria non senza speranza di dignità ancor più alta - sebbene, nella tua modestia e religiosa umiltà, unite all'affetto della terra natale, io non so se alcuna, non dico più alta, ma più gradita dignità tu possa sperare tra quante sono di natura terrena - e da un lavoro ad un altro chiamato, ti viene ora imposto di fare per Ambrogio quel che già facesti per Agostino.

Obbedirai - so che hai già incominciato - e condurrai a termine anche questo lavoro con uguale facilità e felicità; obbedirai, se ben ti conosco, non per salire più in alto, ma per renderti più gradito.

Poiché, sebbene contento della tua sorte, tu non senta il desiderio di una più elevata condizione, tuttavia è giusto che un animo nobile si mostri riconoscente non meno per i favori spontaneamente offerti che per quelli desiderati e richiesti; e in materia di doni a nulla tanto si deve riguardare quanto all'intenzione del donatore.

Ma torno ad Agostino e a te. Tu mi chiedesti alcuni versi da porre in fine di quella tua grande opera, che con gran fatica tu componesti con pietre e cemento tratti dai libri di quel ricchissimo padre, per il nostro Pontefice e soprattutto per i posteri.

Anch'io volli obbedire a te, a cui nulla vorrei mai negare; e sebbene da un pezzo le Muse mi tengano il broncio e altri pensieri mi occupino, valsero tuttavia le tue preghiere a richiamare alla poesia l'animo mio altrove distratto.

Ti mando dunque pochi distici e altrettanti esametri sul medesimo soggetto, a tua scelta; serviti di quelli che vuoi, o anche degli uni e degli altri; ti accorgerai che sono stati scritti in fretta e all'improvviso, mentre il tuo messo contava con me le sillabe; e nessuna era tanto breve, che non gli sembrasse lunghissima.

 

Addio.