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lettera (XVIII, 5)      a Gerardo

 

Scritta nel 1353-1359

da Milano, il 25 aprile

 

Lettera inviata al fratello Gerardo, monaco certosino; che spesso i manoscritti dei dotti sono più scorretti degli altri.

 

(XVIII, 5)  Ad Gerardum monachum cartusiensem, sepe doctorum hominum libros incorrectiores esse quam reliquorum.

 

 

Promissum Augustini Confessionum librum cum his literis ad te misi, quem correctissimum forsan speres eo quod meus fuerit; sic enim tibi persuasum scio, me plus aliquid esse quam vulgus. Id in aurem tibi persuasor optimus amor eloquitur; noli sic, frater, opinari, noli, queso, te fallere, neque te ab alio falli sinas; si tibi hoc amor dicit, mendax est; si alius, ignarus mei est; si tu ipse, possem tibi credere nisi amares.

Quid ergo? de me michi crede, qui etsi me amem, tamen ignorantiam meam odi, interque odium et amorem temperatam sententiam ferre queo. Quid vero pronuntiem expectas? Unus ex multis adhuc sum, quamvis summo studio nitar assidue ut sim unus ex paucis; quod si accidat, bene erit feliciterque laboravero; alioquin vulgi aciem nisu saltem et voluntate transcendero.

'Et quando' inquis, 'hoc tibi futurum spondes, si nondum est, cum quicquid esse debueras iam nunc sis?' Care frater, querende sapientie ac virtuti nulla non etas apta est; quandocunque fuerit, serum esse non poterit, modo sit. Et de me quidem hactenus.

Quid de aliis dicam, qui non persuasione benivola sed vero et incorrupto iudicio docti sunt, rarum semper, nostra autem etate rarissimum genus? Sed ne ab illis quidem semper correctos ad unguem codices expectes: maiora quedam et laudabiliora pertractant. Non calcem temperat architectus, sed iubet ut temperetur; non gladios acuit dux belli, non magister navis malum dedolat aut remos, non tabulas Apelles, non ebur Policletus, non Phidias marmora secabat; plebei suum opus ingenii est preparare quod nobile consumet ingenium.

Sic apud nos alii membranas radunt, alii libros scribunt, alii corrigunt, alii ut vulgari verbo utar, illuminant, alii ligant et superficiem comunt; generosum ingenium altius aspirat, humiliora pretervolans. Itaque sic habe, sepe ut agros divitum, sic libros doctorum hominum incultiores esse quam reliquos: copia nempe securitatem, securitasque segnitiem, segnities situm parit.

Sic podagrici callem quem frequentare habent, offense licet facilis aut paventes aut memores, minutissimis quoque lapillis expurgant, cum sanipedes acuta etiam saxa contemnant; sic valitudinarii fenestrellam omnem vitro sepiunt, cum bene valentes aer liquidus et gelidi flatus mulceat aquilonis; sic igitur ydiote, quos sillaba una vel litera sepe diu tenuit perplexos, omnia accuratissime nequid tale iterum patiantur, emendant; quod ingenio fidentes et maioribus intenti negligunt. Et hec quidem in comune dixerim.

De libro autem hoc quid speres, ipsa te libri facies monebit: novus et nudus est et nullo correctoris dente percussus. Familiaris illum meus scripsit, quem mecum intra tuum limen anno altero vidisti, iuvenis digiti quam ingenii melioris. Neglectam tamen orthographiam potiusquam insignes defectus invenies; denique forte aliquid occurret quod intellectum exerceat, quod impediat nichil.

Perlege et insiste; accensum liber hic animum inflammabit, qui algentes accenderet. Videbis, quod de Biblide habetur in fabulis, Augustinum nostrum in fontem devotissimarum lacrimarum esse conversum, quem precare, oro te, ut ipse comunem Dominum pro me roget. Quid multa? et tibi inter legendum fluent lacrime et legendo flebis et flendo letaberis dicesque te in his literis vere ignitum eloquium et «sagittas potentis acutas cum carbonibus desolatoriis» invenisse.

 

Vale.

Mediolani, VII Kal. Maias, ad vesperam.

 

A Gerardo, monaco certosino; che spesso i manoscritti dei dotti sono più scorretti degli altri.

 

 

Ti mando con questa lettera il libro delle Confessioni di Agostino che ti avevo promesso, che forse tu spererai correttissimo perché fu mio; poiché so che tu credi ch'io sia qualche cosa più che gli altri uomini. Così ti dice l'affetto, ottimo persuasore; ma non lo credere, o fratello, non prendere inganno né ti lasciare ingannare da altri; se questo ti dice l'affetto, mentisce; se altri, non mi conosce; se tu stesso, potrei crederti se non mi amassi. Che dunque? credi soltanto a me, che sebbene ami me stesso, odio tuttavia la mia ignoranza, e tra l'odio e l'amore posso dare una giusta sentenza.

Vuoi sapere il mio pensiero? Io sono ancora uno dei molti, sebbene cerchi con ogni studio e assiduità di essere uno dei pochi; e se vi riuscirò, ne sarò felice e le mie fatiche saranno state utili; in caso contrario; avrò almeno cercato con ogni sforzo di sollevarmi sopra la schiera del volgo. 'E quando', tu dirai, 'speri che ciò avvenga, se ancora non è avvenuto e sei ormai quel che potevi essere? 'O mio caro fratello, ogni età è adatta ad acquistare sapienza e virtù, in qualunque tempo, non è troppo tardi, purché si ottenga lo scopo. Ma basti di me.

Che dirò degli altri; che non per benevola persuasione altrui, ma per vero 'e incorrotto giudizio son dotti, uomini sempre rari e al nostro tempo rarissimi? Ma neppure da costoro puoi sempre aspettarti codici accuratamente correttamente trascritti; hanno da pensare a cose più grandi e più nobili. Non è l'architetto che impasta la calcina, ma la fa impastare; non affila le spade il capitano, non pialla l'albero e i remi il nocchiero, non segava le tavole Apelle, o Policleto l'avorio, o il marmo Fidia; è opera da plebeo preparare ciò che il genio esegue.

Così presso di noi alcuni, lisciano le pergamene, altri scrivono, altri correggono, altri per usare la parola corrente. alluminano, altri legano e mettono eleganti copertine; il genio ha più alte aspirazioni e trascura queste piccolezze. Cosi, sta' pur certo che, come i campi dei ricchi, così i libri dei dotti sono più scorretti degli altri; ché l’abbondanza produce sicurezza, la sicurezza pigrizia, la pigrizia abbandono.

Così i gottosi da quella strada che sogliono percorrere rimuovono anche i più piccoli sassolini, temendo o ricordando qualche facile caduta, mentre chi è sano disprezza anche i sassi più acuti; così i malati muniscono di vetri ogni pertugio, mentre chi è in buona salute si gode l’aria libera e il gelido soffio dell'aquilone; e così anche gl'ignoranti, cui l'errore d'una sillaba o d'una lettera lascia perplessi, tutto accuratamente correggono per non ricadere nell'errore, ciò che invece trascurano quelli che si fidano del proprio ingegno e aspirano a più alte vette.

Questo io dico in generale, ché quanto a questo libro, quel che tu debba aspettarti puoi giudicare dalla sua stessa apparenza: è nuovo e nudo e senza una correzione.

L'ha scritto quel mio familiare, che l'anno passato tu vedesti meco nel tuo convento, giovane più abile di mano che d'ingegno. Più che gravi errori, troverai mende d'ortografia; forse vi troverai scorrettezze che ti indurranno ad aguzzar l'ingegno, ma non inemendabili. Leggi con cura e non perdere la pazienza; l'animo tuo già ardente s'infiammerà alla lettura di questo libro, che accenderebbe i più gelidi.

Vedrai, come si legge nella mitologia di Biblide, il nostro Agostino mutato in una fonte di devote lacrime; e tu pregalo che interceda per me presso il mio e tuo Dio. Che più anche: a te, leggendolo, scorreranno le lacrime; e piangendo ti rallegrerai, e dirai che nelle sue parole hai finalmente trovato la eloquenza di fuoco e «le saette acute del forte coi tizzoni che tutto consumano».

 

Addio.

Milano, la sera del 25 aprile.